sabato 28 febbraio 2009

I processi di Berlusconi

26.02.09 - Via d’Amelio: quella sentenza coperta dal silenzio

Fonte:
Nei giorni scorsi, riprendendo le denunce di Marco Travaglio e di Pancho Pardi, abbiamo raccontato il quasi tombale silenzio Raiset in merito alla condanna per corruzione dell’avvocato Mills. Di quella condanna non si doveva parlare perché non doveva essere pronunciato il nome del compare. In questo caso specifico non si è neppure atteso il lodo Alfano bis sulle intercettazioni per procedere al sequestro dell’articolo 21 della Costituzione. Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato.
In queste stesse ore, sulla vicenda delle centrali nucleari, si sta ripetendo lo stesso copione. Qualsiasi punto di vista critico, divergente dal pensiero unico nuclearista, è stato cancellato. Gli scienziati, i ricercatori, i rappresentanti dei comitati che promossero il referendum sono stati condannati al silenzio o alla marginalità, fatte salve naturalmente alcune lodevoli eccezioni che ancora resistono sulle poche piazza mediatiche non ancora occupate dalle truppe berlusconiane.
La condanna al silenzio riguarda anche il passato, e coinvolge anche la vita e le opere di alcuni grandi italiani che hanno letteralmente sacrificato la loro esistenza al bene comune e alla lotta contro le mafie e i loro mandanti. 
Ci riferiamo, in questo caso, al giudice Borsellino e alla sua misteriosa agenda rossa, zeppa di annotazioni e mai più ritrovata. Qualche giorno fa questa vicenda è stata archiviata, nell'indifferenza quasi totale, perché anche questa è considerata una pagina da strappare dal libro della nuova vecchissima Italia di Berlusconi, Dell’Utri e Mangano.
Da Palermo, un vecchio amico giornalista che per tante ragioni preferisce non firmarsi, ci ha inviato una lettera angosciata e indignata che ci permettiamo di pubblicare e di dedicare alla memoria del giudice Borsellino e degli altri eroi che hanno perso la vita per garantire davvero a tutti noi il diritto alla legalità e alla sicurezza.


Via d'Amelio: quella sentenza coperta dal silenzio

Colpo di spugna su uno dei più grandi misteri delle stragi mafiose del '92. L'agenda rossa di Paolo Borsellino, vista in via d'Amelio, scompare per sempre per una sentenza e nella disattenzione dei media. Palermo, 19 luglio 1992. Un uomo in abiti civili si allontana, a passo svelto, dall’inferno di fiamme di via D’Amelio. Tiene stretta una borsa di pelle. E’ quella del giudice Paolo Borsellino, appena trucidato insieme agli agenti della scorta. Dentro la borsa c’è l’agenda rossa dalla quale il magistrato non si separava mai. Quelle immagini riprese dalle telecamere dei primi reporter giunti sul posto, hanno rappresentato, in questi lunghi 17 anni, la speranza di giungere a una verità superiore, di capire quali interessi esterni alla mafia abbiano scatenato, due mesi dopo l’eliminazione di Giovanni Falcone, i macellai di Cosa nostra.

Ebbene, quella verità non la conosceremo mai. Con una sentenza passata nel silenzio, praticamente ignorata da giornali e TG, con gli italiani, forse ipnotizzati dal festival di Sanremo o impegnati a sbirciare nel buco della serratura del Grande Fratello, la Corte di Cassazione ha passato il definitivo colpo di spugna sulle stragi che hanno cambiato il volto dell’Italia.

L’uomo che sottrasse dall’auto blindata di Borsellino quella borsa era il capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, oggi colonnello. La suprema corte ha respinto il ricorso della Procura della Repubblica di Caltanissetta contro il proscioglimento dell’ufficiale. Non ci sarà un processo. Dunque, quelle immagini è come se non fossero mai esistite. E perciò l’agenda rossa sulla quale Borsellino annotava riflessioni, intuizioni, notizie, è un’invenzione. 

Arcangioli si è sempre difeso sostenendo di non aver mai preso l’agenda e che la borsa fu consegnata subito dopo. Un fatto è certo però: l’agenda non è mai stata ritrovata.

Carico di rabbia e di amarezza il commento di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, un uomo coraggioso che ha speso questi 17 anni, alla ricerca della verità. “La giustizia è morta – dice – e ogni volta che viene negata si rinnova quel massacro. E ci sono giudici che in questi anni sono stati eliminati senza bisogno di tritolo, quando hanno osato avvicinarsi ai fili scoperti della corruzione”.

Paolo Borsellino era a un passo dall’aprire la porta dei “santuari” della mafia, quel terzo livello su cui si era rotto la testa prima di lui Giovanni Falcone. 

Con la sentenza della Cassazione è stata messa la pietra tombale sulla stagione delle stragi. E Borsellino è sparito dall’agenda della nostra italietta.

Il 21 marzo prossimo a Napoli Libera, la gloriosa associazione fondata da Don Ciotti, terrà a Napoli la consueta giornata della memoria e del rispetto dedicata alle vittime della mafia e della camorra.
Quest’anno ci sarà un motivo in più per esserci e per ribellarsi al tentativo di oscurare persino i ricordi “scomodi”. 


Giuseppe Giulietti


LA LEGGE A TOTALE FAVORE DI CHI DELINQUE: NESSUNO TOCCHI CAINO... MA CHI AIUTERA' ABELE?

Fonte:

PORTICI (NAPOLI)
 / 28-02-2009

Il Sindacato Polizia Nuova, di fronte agli ultimi e terribili eventi, lancia il suo grido di protesta


PORTICI -NAPOLI (UNONOTIZIE.IT)

 

Dall’ottobre 1989, data di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, la criminalità ha avuto le “mani libere” e la concreta possibilità di rimanere impunita. Qualsiasi fosse il crimine commesso!

 

      Tra patteggiamenti, riti abbreviati, buona condotta, indagini fatte dalla Polizia poi affidate al Magistrato che le reinvia alla stessa Polizia, dei tanti psicologi dove, insieme ad un’altra miriade di “sconti e sconticini”, di sentenze discutibili, chi commette un reato, anche quello più efferato, non può essere messo in galera per un periodo lungo.

 

      Se una persona investe ed uccide qualcuno per strada, anche se sono 10 liberi cittadini, basta che questi entri, come è accaduto, in un bar e beva dell’alcool o assuma delle droghe per dichiararsi incapace di intendere e volere.

      Se qualcuno commette anche un omicidio od una violenza, basta che si costituisca, guarda caso con l’Avvocato,  48 ore dopo aver commesso il crimine più efferato e, se non c’è il pericolo di fuga, rimane libero.

 

      ADESSO LA MISURA E’ COLMA !!!

      Troppe vittime innocenti, troppe morti senza colpevoli o condanne vere, con una infanzia continuamente violata e violentata, con le memorie delle vittime continuamente offese, umiliate e calpestate, con il dolore delle famiglie delle vittime che non viene ripagato dallo Stato con una pena certa e vera.

      Nessuno mai pagherà per il sangue innocente versato, per il dolore atroce procurato e le lacrime che ancora bagnano la democrazia!!!

 

      Una legge che è A TOTALE FAVORE DI CHI DELINQUE, una Legge che mette a disposizione di assassini, violentatori, camorristi, brigatisti e terroristi anche lo psicologo e il posto di lavoro perché questi criminali hanno ucciso e violentato a causa di una infanzia piena di traumi familiari o per motivi politici!!!

      MA STIAMO SCHERZANDO?

      Una Legge definita “FAVOR REI” lascia intendere tante cose, una Legge che, in pratica, dice: “NESSUNO TOCCHI CAINO!”

 

      CHI AIUTERA’ ABELE??? A quanto pare a nessuno frega un bel niente di ABELE!!!

      In italia si è arrivati, addirittura, al ridicolo dove criminali, in un esodo da altri paesi, vengono a commettere i reati più atroci e le violenze più inaudite consapevoli che non andranno mai in galera a causa di una Legge che, in pratica, NON ESISTE e che tutela, sempre e comunque, chi consuma qualsiasi tipo di crimine.

      E quei Paesi? Diventano mete turistiche perché prive di criminalità!!!

 

      E gli uomini delle Forze di Polizia continuamente depotenziate???NON POSSONO FARE NULLA se non rischiare la vita per arrestareSEMPRE LE STESSE PERSONE da un ventennio e rimanere quasi come spettatori innanzi a crimini ed omicidi che vengono consumati e perseguiti senza mai UNA VERA GIUSTIZIA!!!

      La Costituzione dovrebbe prevedere qualcosa per le vittime???

      Al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, ai Presidenti di Camera e Senato, a tutti i Ministri e le Forze di Opposizione il Sindacato Polizia Nuova dice: IO STO CON ABELE E LA VERA GIUSTIZIA CHE ANCORA DEVE VENIRE!!!

 

      “In memoria del collega Salvatore D’ADDARIO e delle tante vittime e famiglie innocenti che non hanno ancora avuto vera Giustizia dallo Stato”.

 

p./ La Segreteria Nazionale

Pasquale DI MARIA

Quote latte: lunedì 800 trattori ad Arcore contro il Ministro Zaia

Fonte:

Il ministro dell'agricoltura, Luca ZaiaUna protesta così non veniva fuori da anni, neanche dai tempi del Ministro Paolo De Castro. Questa volta sul piede di guerra i produttori di latte e gli agricoltori, quelli del profondo Nord, che si ribellano al decreto quote latte voluto dal “loro” Ministro leghistaLuca Zaia. La protesta però ha radici più profonde e in genere gli agricoltori e gli allevatori sono arrabbiati per come sono trattati.

Dice Giuseppe Politi Presidente Cia:

Nei confronti del settore c’è un totale disinteresse. A noi si dice che le risorse non ci sono. Poi, invece, vengono varati interventi importanti per il settore dell’auto, per gli elettrodomestici, per i mobili. Ci sentiamo presi in giro. E questo non possiamo sopportarlo oltre.

E hanno promesso che lunedì con 800 trattori andranno verso Arcore a chiedere al Premier Berlusconi e al Ministro Umberto Bossi di intervenire con il Ministro Zaia. Dopo il salto le dichiarazioni degli allevatori.

Il decreto proposto dal Ministro Zaia premia quei pochi allevatori che in questi anni hanno prodotto più latte di quanto era loro stato concesso per precise disposizioni di legge nazionali e comunitarie, mentre la stragrande maggioranza degli allevatori Italiani e lombardi in particolare, rispettando le regole, hanno aumentato le proprie produzioni acquistando quote latte o gestendole in affitto o pagando regolarmente le multe per aver prodotto più del consentito con notevoli sacrifici economici e finanziari. E in più ,e ciò riguarda tutti i cittadini italiani, i produttori che hanno volutamente prodotto quantitativi di latte in più rispetto a quelli assegnati senza poi essersi messi in regola, hanno obbligato lo Stato italiano a pagare alla UE una maxi multa per la superproduzione nazionale (ad oggi circa 3 miliardi di euro) pagate con i soldi di tutti i contribuenti agricoltori e non. Le superproduzioni di latte, inoltre, hanno creato e creano condizioni di mercato e quindi di prezzo del litro di latte alla stalla, molto negative e particolarmente dannose per la presenza sul mercato lattiero caseario di quantitativi di latte superiori ai quantitativi legalmente consentiti.

Il Ministro Zaia, replica dal suo blog con il post Mente chi dice che si tratta di un decreto per pochi:

Solo i disinformati possono sostenere che il prezzo del latte sia crollato dopo la negoziazione italiana in Europa. Oggi abbiamo 640 mila tonnellate di nuove quote latte, che non incidono in maniera significativa sul prezzo, determinato non dal mercato italiano, ma da quello di altri Paesi europei, soprattutto da quello tedesco.Riguardo alla questione del Fondo di solidarietà c’è la volontà da parte di tutti di giungere ad una soluzione che risolva definitivamente la questione. Questo decreto consente di risolvere un problema antico di 25 anni e di riportare nell’alveo della legalità tantissime imprese, con vantaggi per il settore tutto e per i cittadini.

Ma per gli allevatori, c’è una sola soluzione: abrogare il decreto. Dice il presidente di Confagricoltura Parma, Lorenzo Bonazzi:

Questo provvedimento è una vera e propria beffa e la cosa migliore sarebbe farlo decadere. In 40mila abbiamo contenuto la nostra produzione secondo le regole, abbiamo speso centinaia di migliaia di euro per acquistare le quote latte e ora saranno invece premiati coloro che si sono comportati in modo scorretto. Tutti i contribuenti italiani, e non solo gli agricoltori, dovranno pagare le loro incombenze. Questo decreto aiuterà solo 600 produttori e non i 40mila che si sono comportati sempre e comunque in modo corretto facendo sacrifici e pagando quanto dovuto.

Striscia la giustizia


Vignetta di Roberto Corradi



La richiesta di archiviazione per letelefonate Berlusconi-Saccà inaugura un nuovo genere giurisprudenziale: la giustizia creativa. Secondo i pm napoletani che avviarono l’indagine, se il politico più ricco e potente d’Italia chiede al direttore di Raifiction di sistemare 5 ragazze «per sollevare il morale al Capo» a spese degli abbonati e aggiunge «poi ti ricambierò dall’altra parte quando sarai un libero imprenditore. M’impegno a darti grande sostegno», è corruzione. Basta ascoltare la telefonata per trovare l’atto illecito (far lavorare gente che non lavorerebbe senza raccomandazione) e la «promessa di denaro o altra utilità» in cambio, cioè i due ingredienti tipici della corruzione. Quanto basterebbe, in un paese normale con due imputati normali e una giustizia normale, per affidare la faccenda al giudizio di un tribunale. Ma, per i pm romani che hanno ereditato l’inchiesta per competenza, «non vi è certezza del do ut des», al massimo di un po’ di «malcostume». E poi Saccà non è un incaricato di pubblico servizio (al servizio pubblico radiotelevisivo non crede più nessuno). E soprattutto i due piccioncini hanno un rapporto talmente «stretto e asimmetrico» che «Berlusconi non ha alcuna necessità di garantire indebite utilità per avere favori da Saccà». Cioè: Berlusconi è il padrone dell’Italia, dunque della Rai, dunque di Saccà, dunque non può pagare tangenti: è lui stesso una tangente (resta da capire perché allora garantisse «utilità» nella telefonata a Saccà: forse scherzava). E così il conflitto d’interessi, anziché un’aggravante, diventa un alibi. Giustizia è fatta.

Ronde cittadine

Fonte:

Ronde cittadine

Pubblicato mercoledì 25 febbraio 2009 in Spagna

[El Pais]

L’ultima idea di Berlusconi per combattere l’insicurezza criminalizza l’immigrazione

Nei sistemi rappresentativi la tentazione di governare sul filo dei sondaggi d’opinione è crescente. Risulta ancora più attraente quando, come succede a Silvio Berlusconi, si cavalca l’onda del successo popolare. Può diventare una tentazione irresistibile se, come in Italia, si manca di un’opposizione articolata, o addirittura di una qualsiasi opposizione degna di tal nome. Il premier italiano non si caratterizza per il rispetto delle istituzioni, ma dopo la spaccatura del centro-sinistra e le dimissioni di Walter Veltroni, Berlusconi ed i suoi alleati si sentono finalmente d’avere man libera.

Uno dei temi forti del Governo di destra italiano è l’insicurezza nelle città, reale o percepita. Per combatterla ha portato i militari nelle strade di varie città. Ed è proprio a questa inquietudine che risponde l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, con procedura d’urgenza, di un decreto che rende più dure le misure contro la violenza sessuale e l’immigrazione illegale. L’origine del decreto non sta nell’aumento dei delitti a sfondo sessuale compiuti in Italia, che in un anno sono diminuiti di circa un 10%, bensì nel susseguirsi di vari episodi di stupro attribuiti ad immigrati, episodi che hanno emozionato l’opinione pubblica e sono sfociati nell’assalto e nel tentativo di linciaggio di alcuni di questi immigrati, soprattutto rumeni.

Le misure del Governo che, vista la maggioranza assoluta di Berlusconi, termineranno il loro iter parlamentare senza sorprese, innalzano la pena per violenza sessuale ed aumentano il periodo di reclusione degli immigrati nei centri d’identificazione. Ma la più controversa è quella che permette la formazione, su richiesta dei sindaci, di “ronde” formate da cittadini disarmati e volontari, coordinate da delegati del Governo, che avranno come missione quella di avvisare la polizia in caso di necessità.

Le ronde sono un vecchio cavallo di battaglia della xenofoba e rinvigorita Lega Nord, parte della coalizione al potere. Varie associazioni della Polizia hanno denunciato il rischio di vigilantismo insito in questa misura, il cui peggior rischio risulta essere, nonostante tutto, l’implicita criminalizzazione dell’immigrato. L’uso interessato del binomio delinquenza-immigrazione è, oltre che potenzialmente esplosivo, incompatibile con un Stato democratico. Ma la serenità e il rigore non sono il punto forte di un Berlusconi che ha fatto del trasporto emotivo - vedi il caso Eluana - uno dei suoi marchi di Governo.

[Articolo originale]

venerdì 27 febbraio 2009

Gioacchino Genchi accusa

Fonte:

Le mani della mafia sui centri scommesse, 12 arresti a Villabate

Fonte:

http://www.addiopizzo.org/


In manette presunti affiliati a Cosa nostra e prestanome dei boss


27/02/2009


Dodici persone, tra presunti affiliati a Cosa nostra e prestanome dei boss del clan di Villabate, sono stati fermati nella notte

nell´ambito dell´operazione antimafia "Senza frontiere" eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Palermo. Le

ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip Pasqua Seminara su richiesta del procuratore aggiunto della Dda di

Palermo, Ignazio De Francisci e dei sostituti procuratori Nino Di Matteo e Lia Sava. Contestati a vario titolo i reati di

associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni e di intestazione fittizia di beni.

Per oltre 7 mesi i militari dell´Arma hanno effettuato intercettazioni audio e video, oltre che una lunga serie di appostamenti.

L´attenzione degli investigatori si è concentrata in particolare sulla figura di Giovanni D´Agati, boss reggente della famiglia

mafiosa di Villabate che - dopo l´arresto di Nicola e Antonino Mandalà - aveva preso le redini della consorteria criminale,

gestendo il racket delle estorsioni e una complessa attività di riciclaggio di denaro sporco. Sono state centinaia le conversazioni intercettate nell´auto di D´Agati,

tutte riscontrate poi con le dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Bonaccorso, Campanella, Cusimano e Greco. A conferma delle ipotesi investigative c´è il

fatto che D´Agati aveva partecipato l´8 maggio 2008 ad un incontro con i boss di Bagheria, Pino Scaduto, Salvatore e Giovanni Adelfio e Benedetto Capizzi, tutti

finiti in manette nell´ambito dell´operazione “Perseo”.

In manette, oltre a D´Agati, sono finiti anche Francesco Antonino Fumuso, Gioacchino La Franca e Giovanni Montaperto, accusati di essere esattori del pizzo.

Insieme a loro sono stati arrestati anche Maurizio Cuppari, Marcello Carappa, Maurizio Di Peri, Davide Di Peri, Fabio Ribera, Salvatore Arena, Marco Arena e

Gianpiero Alaimo. Le indagini hanno consentito di individuare alcuni insospettabili che venivano utilizzati come facciata legale di attività economiche in effetti

riconducibili a mafiosi. Si tratta di due agenzie di scommesse sportive (il punto Snai Web e l l´agenzia Intralot, entrambi siti in via Giulio Cesare) e del

supermercato di alimentari (“Sapori genuini” di viale Europa), tutti ora posti sotto sequestro.

A poche ore di distanza dalla notizia degli arresti arriva il commento del sindaco di Villabate Gaetano Di Chiara che si congratula con le forza dell´ordine «Il

nostro centro, grazie ai carabinieri, che hanno brillantemente condotto questa operazione antimafia - afferma - oggi non può che esprimere soddisfazione per

l’importante risultato conseguito».

LO SCIENZIATO MATTIOLI: PERCHE' BISOGNA DIRE ''NO'' AL NUCLEARE

Fonte:



Vi consiglio di vedere anche il 2° e 3° filmato che li trovate qui


Non dite cazzate atomiche!

Fonte:


La denuncia arriva da Ecodem, associazione nazionale degli ambientalisti del Partito Democratico, secondo cui i numeri paventati dal governo sul beneficio dell'energia nucleare sono completamente sballati.
Prima falsita': le scorie. Non e' vero che il nucleare di nuova generazione produce meno scorie. Le quattro nuove centrali nucleari da 1,6 GW a tecnologia francese consumeranno infatti oltre 30 tonnellate di uranio arricchito all'anno che inevitabilmente generano rifiuti radioattivi.
Seconda falsita': la quota di produzione. E' stato affermato che gli impianti produrranno a regime il 25% del consumo nazionale, ma la cifra e' esagerata.
Quattro centrali potranno al massimo produrre 45 TWh di energia che oggi rappresentano circa il 13% del consumo nazionale.
Terza falsita': “Non e' assolutamente vero che l'Italia importa una grande quantita' di energia elettrica dall'estero, per lo piu' dal nucleare francese. Importiamo solo il 12,5% dell'energia e il dato interessante e' che ben l'80% di quell'energia e' prodotta da fonti rinnovabili, e non dal l'atomo”.
Quarta e ultima falsita': la spesa. Occorrono 20 miliardi di euro per quattro centrali, 5 per ogni impianto. In Finlandia, dove stanno costruendo una centrale a tecnologia francese, i costi finali sono raddoppiati rispetto ai preventivi.
(Fonte: Ansa Ambiente)

Nel video uno spot contro la reintroduzione dell'energia nucleare in Italia.

Il Codice da Vinci

Fonte:

26 febbraio 2009, in MARCO TRAVAGLIO


Enrico Mentana ha capito un po’ tardi, 15 anni dopo Montanelli e 7 dopo Biagi e Santoro, cos’è Mediaset e cosa pretende Al Tappone dai giornalisti. Invece Alessio Vinci, il brillante ex Cnn che ha preso il suo posto, ha capito subito la differenza fra Cnn e Canale5 e perché Mentana non c’è più: aveva osato intervistare Di Pietro senza linciarlo e bestemmiare San Grande Fratello e Santa Madre Audience. Infatti ha esordito a «Matrix» con la favorita del premier, Mara Carfagna, ministra delle Troppe Opportunità. La meravigliosa nullità ha ripetuto per due ore che «da venerdì» le molestie telefoniche non sono più un problema, perché lei le ha vietate col «decreto anti-stalking». Come dire che nessuno rapina più banche da quando, intorno al 1300, furono proibite le rapine. Ogni tanto una ministra-ombra del Pd pigolava qualcosa sulle leggi anti-intercettazioni e allunga-processi, che rendono impossibile scoprire e punire le molestie. Ma il furbo Vinci la interrompeva per precisare che i tempi della giustizia e i tagli alla polizia non sono colpa del governo (ma - com’è noto - delle avverse condizioni atmosferiche). Poi la Hunziker ha elogiato i giudici che si occupavano delle molestie ai suoi danni, e s’è sfiorato il dramma. Ma Vinci ha sventato agilmente la minaccia («Sicura che i giudici capissero il tuo dramma?»), lanciando un servizio sul solito pm che non arresta i cattivi. Chi lo trovasse troppo allineato, comunque, non ha che da attendere un paio d’anni: quando cacceranno pure lui perché avvistato a una partita dell’Inter, e lo sostituiranno con Povia, lo rimpiangeremo.

Un genio nucleare

Fonte:
http://ilcorrosivo.blogspot.com/


MERCOLEDÌ 25 FEBBRAIO 2009


Marco cedolin

L’intraprendenza
del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è pari solamente alla scelleratezza con cui il caramogio di Arcore è solito sottoscrivere con le altre nazioni accordi talmente sfavorevoli al nostro paese da risultare perfino imbarazzanti per coloro che ne beneficiano sfregandosi allegramente le mani.

Nel maggio del 2004 il Cavaliere diede prova del proprio genio firmando con il Presidente francese Chirac un accordo in merito alla suddivisione dei costi del TAV in Val di Susa, nell’ambito del quale l’Italia era disposta ad accollarsi il 50% del costo totale della tratta internazionale (di 72 km) pur risultando essa solamente per un terzo di competenza italiana. I francesi ringraziarono e portarono a casa il cadeaux.

Il 30 novembre 2005, costretto a trovare un barbatrucco che potesse permettere alla società Impregilo di defilarsi dal disastroso affare dei rifiuti in Campania, il genietto di Arcore varò nientemeno che un decreto legge che consentiva la risoluzione ope legis dei contratti con le società appaltatrici.
Impregilo ringraziò e pochi mesi più tardi venne perfino premiata con l’appalto per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina.

Alla fine di agosto 2008 il salapuzio più famoso d’Italia firmò il cosiddetto
accordo fra Italia e Libia, nell’ambito del quale l’Italia si impegnava a versare 5 miliardi di dollari a Gheddafi, in cambio della promessa di un maggior controllo da parte del paese libico in merito alle imbarcazioni cariche di clandestini che regolarmente salpano alla volta delle coste italiane, e dopo la stipula dell’accordo hanno continuato a salpare in quantità superiore a quanto accaduto in precedenza. Gheddafi sta ancora sorridendo compiaciuto ed ottimista.

Nell’autunno dello scorso anno il Silvio “nazionale”, dopo avere fortemente osteggiato la vendita di Alitalia ai francesi caldeggiata dal governo Prodi, ha pensato bene di svenderla ad una cordata d’imprenditori italiani che si sono a loro volta premurati immediatamente di risvenderla ai francesi, ad un prezzo notevolmente più contenuto rispetto a quello che Air France era disposta a sborsare solo qualche mese prima. I quotidiani d’oltralpe sono parsi perfino imbarazzati quando si sono ritrovati a fare dell’ironia sulla vicenda.
Ieri, 24 febbraio 2009, un Silvio Berlusconi impettito come non mai ha realizzato il suo vero capolavoro, firmando a Roma con il presidente francese Nicolas Sarkozy un accordo che prevede in collaborazione con la Francia la realizzazione sul suolo italiano di 4 centrali nucleari che utilizzeranno la tecnologia francese. Una vera manna per la Francia, unico paese al mondo a dipendere quasi totalmente (circa 80%) dal nucleare per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, ed ha necessità di esportare e capitalizzare i propri investimenti nell’atomo. Una vera iattura per l’Italia che dopo il referendum del 1987 era riuscita a liberarsi da una tecnologia pericolosa ed antieconomica che buona parte dei paesi nel mondo stanno abbandonando. Nonostante dopo più di 20 anni losmantellamento delle vecchie centrali nucleari italiane sia stato completato solamente all’8% e il governo non abbia la benché minima idea di dove stipare la grande quantità di scorie nucleari prodotte nel breve arco di tempo durante il quale le centrali sono state in attività.

Moratoria contro Francesco Alberoni

Fonte:
http://www.byoblu.com/post/2009/02/26/Moratoria-contro-Francesco-Alberoni.aspx#continue





In America un ultrasettantenne su quattro naviga e legge un blog. L'80% della popolazione è connessa. Obama fa campagna su internet e diventa Presidente, sfruttando il mezzo più democratico al mondo. In Europa l'utilizzo di internet è in forte ascesa. Nel 2008 la Francia è balzata dal 49% al 62%. La Spagna dal 45% al 51%. L'Inghilterra dal 67% al 71%. La Germania dal 71% al 75% e la Danimarca dal 78% all'82%. L'Italia è l'unico paese dei 27 dell'Europa allargata nel quale si registra una flessione dell'utilizzo di internet. Nel 2007 navigavano 43 famiglie ogni cento. Nel 2008 ne sono rimaste solo 42. Gli italiani erano un popolo di navigatori. Poi sono affondati.
Francesco Alberoni ha scritto un articolo sul Corriere della Sera nel quale si lamenta che «La nuova generazione non ha radici, non ha fondamenti etici, non ha cultura né classica, né politica». Alberoni è un sociologo. Specializzato negli affari di cuore. Sa tutto dell'amore. L'esperienza se l'è fatta sul campo. Ha tre figli da una donna. Un quarto da una seconda, ed è sposato con una terza. Se tanto mi da tanto, figuriamoci cosa mi può combinare quando parla di cose di cui non capisce niente. Internet, per esempio.

Eppure, il 23 febbraio sul Corriere della Sera la sua rubrica titola con scioltezza "Una moratoria per i giovani. Spengano YouTube e Chat". Firmato: Alberoni Francesco. Chissà se Alberoni ha mai letto un blog. A giudicare dal fatto che sul suo sito web non indica neppure un indirizzo email, sembrerebbe che non sappia neppure tenere in mano un mouse. Allora proviamo a spiegargli un paio di cose.

In Sardegna il corpo elettorale è formato da 1.456.422 iscritti, dei quali solo 957.983 hanno votato. Tra Cappellacci e Soru uno scarto di appena 87.000 preferenze. La mia Lettera aperta a Renato Soru è stata vista 50.000 volte. Circa 35.000 spettatori unici, il 2,4% degli elettori aventi diritto. Il resto si è informato sul network di Zuncheddu, l'imprenditore edile in affari con Berlusconi cui fanno capo i mezzi di informazione più influenti della regione: Videolina, Radiolina e l'Unione Sarda che si è sempre rifiutata perfino di intervistare Renato Soru.
Non dico il 100%, ma se anche solo il 5% degli elettori si fosse informato in rete, Berlusconi e il figlio del suo commercialista sarebbero andati a casa.

La moratoria Alberoni dovrebbe chiederla contro Il Grande Fratello, contro Uomini e Donne, contro il TG1 che non titola nulla sulla corruzione di Mills ad opera di Berlusconi, e contro il giornale dove scrive, che nell'edizione del 18 febbraio riserva un riquadro di 3,5x9cm, in un azzurrino chiaro poco visibile, alla condanna che avrebbe coinvolto il Presidente del Consiglio di un grande stato democratico se il suo avvocato Ghedini non avesse promulgato in fretta e furia il Lodo Alfano, riportando poi l'articolo a pagina 21, dopo i gossip e le notizie di cronaca.

Caro Alberoni, se tu fossi un ottantenne americano, avresti una possibilità su quattro di informarti in rete, di leggere un blog, di spegnere la televisione e guardare con quanta passione milioni di italiani cercano disperatamente di produrre e consumare informazioni che non siano controllate, strumentali, deformate ad uso e consumo delle oligarchie di potere.
Ma sei italiano, e la rete per te è come il Rock'n'Roll per i miei nonni: un'invenzione del demonio.

Per questo motivo, siamo noi a chiedere una moratoria contro Francesco Alberoni, per istigazione alla schiavitù culturale.

La destra contro lo sciopero, il Pd mostra di gradire

Fonte:
http://www.carta.org/campagne/precariato+e+lavoro/16681


Silvio Magnozzi
[26 Febbraio 2009]

Il governo approverà domani il testo di legge del ministro del lavoro Maurizio Sacconi: senza neanche passare per il dibattito parlamentare l'esecutivo limita il diritto di sciopero e per l'ennesima volta attacca un principio costituzionale. Il Pd, per bocca di Pietro Ichino concorda. La Cgil protesta.

E’ arrivato il turno della limitazione del diritto di sciopero. Il disegno di legge «per la regolamentazione e prevenzione dei conflitti collettivi di lavoro con riferimento alla libera circolazione delle persone», che sarà all’attenzione del Consiglio dei ministri di domani prevede «l’istituto dello sciopero virtuale, che può essere reso obbligatorio per determinate categorie professionali», le quali «per le peculiarità della prestazione lavorativa e delle specifiche mansioni», possano determinare «la concreta impossibilità di erogare il servizio principale ed essenziale». Secondo il disegno del ministro del lavoro Maurizio Sacconi, ex socialista da sempre in polemica con la Cgil, per proclamare uno sciopero nel settore dei trasporti sarà necessario un referendum consultivo preventivo obbligatorio, a meno che non si tratti di proclamazioni da parte di sindacati che hanno più del 50 per cento di rappresentatività, fattispecie molto rara. Inoltre, nei servizi di «particolare rilevanza», servirebbe anche l’adesione preventiva da parte del singolo lavoratore. Secondo indiscrezioni, Sacconi era pronto a proporre una modifica costituzionale, ma sarebbe stato dissuaso da Cisl e Uil, i sindacati più morbidi con la maggioranza. La Costituzione riconosce che il diritto di sciopero è «individuale» e non deve essere soggetto all’approvazione di una qualche «maggioranza». Anche in questo caso, il governo gioca sul filo di lana del dettato costituzionale, cerca di forzarne i contenuti a suo piacimento tramite delega al governo, e dunque senza neanche passare per un dibattito parlamentare.
Intanto, dal ministro della pubblica amministrazione Renato Brunetta, arriva la conferma che il governo approverà domani il testo di legge del ministro Sacconi. «Lo sciopero – ha detto Brunetta, un altro ex socialista che ha il dente avvelenato contro il sindacato – va tutelato, ma vanno tutelati anche la mobilità, la vita e il lavoro. Quando due valori entrano in conflitto servono la regola e la legge». E le perpessita della Cgil? «Ce ne faremo una ragione», ha commentato sprezzante Brunetta.
Iieri il segretario confederale Cgil Fabrizio Solari auspicava «a guidare l’iniziativa del governo sul diritto di sciopero non sia, dopo aver favorito la rottura del sindacato, il tentativo di impedire che il dissenso possa manifestarsi». Oltretutto, prosegue Solari, «la leggge sul diritto di sciopero attualmente in vigore è la più severa d’Europa, ed è una legge osservata, visto che le contestazioni della commissione di garanzia non vanno oltre lo 0,7 per cento».
«Si vuole portare così a compimento l’attacco al lavoro e alla democrazia alla base dell’accordo separato sulla contrattazione, si vuole distruggere l’autonomia del sindacato e la possibilità che questo ha di organizzare i lavoratori», esclama il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Il Partito democratico ha una posizione più sfumata: «L’introduzione dello strumento del referendum tra i lavoratori per proclamare lo sciopero – spiega Cesare Damiano – può essere un passo avanti. Quello che non ci piace è la dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero dei lavoratori. Stiamo parlando di un diritto costituzionale, molto delicato». Secondo Pietro Ichino, deputato Pd, le proposte del governo rispecchiano «in gran parte» quelle avanzate dal Pd. Ichino auspica «una convergenza tra maggioranza e opposizione». Le misure sugli scioperi, spiega, sono necessarie perché «i trasporti si fermano in media una volta al mese. Questa non è lotta sindacale, è diventata una caricatura grottesca del sindacalismo».

mercoledì 25 febbraio 2009

Quando il padrino si riprende i beni confiscati

Fonte:

di Marco Arnone e Elio Collovà, lavoce.info

Il governo modifica la destinazione dei beni sottratti alle mafie. Non tornano più alla società civile, ma sono dirottati ai ministeri e alle spese correnti, tramite aste pubbliche. Si tratta di una norma frettolosa e incoerente sotto il profilo giuridico. E' inefficiente dal punto di vista economico e amplia l'area di illegalità perché incentiva i mafiosi a cercare prestanomi in ambienti sempre più allargati. E i ricavi per lo Stato potrebbero essere davvero minimi. La logica sembra quella di sottrarre sequestri penali e misure di prevenzione al controllo del giudice.

L’aggressione ai patrimoni mafiosi è sicuramente il percorso vincente per la lotta alla criminalità organizzata. Ma colpire le organizzazioni criminali nella loro principale ragione d’essere - i redditi e i patrimoni - suscita il loro interesse, nel tentativo di appropriarsene nuovamente tramite i curcuiti collusivi e di prestanomi di cui queste organizzazioni si servono.
Questa considerazione, unita all’idea di restituire le risorse alla società civile a cui erano state tolte, ha per anni costituito la base della scelta di destinare alla comunità i beni sottratti alle mafie. Lo stesso ministero della Giustizia afferma: “In effetti la elevata concentrazione di beni oggetto dei sequestri e delle confische perché nelle disponibilità di appartenenti alle organizzazioni criminali nelle aree dell'Obiettivo 1 ha posto in evidenza come la sicurezza, intesa come condizione ed insieme effetto dello sviluppo economico e sociale, sia strettamente legata alla percezione sociale della effettiva pratica della legalità. In tal senso il valore anche simbolico dell'immediato uso sociale dei beni stessi, reso possibile dalla sistemazione dei loro elementi identificativi, diventa elemento cruciale nella affermazione di una nuova cultura libera da sudditanze rispetto alle ideologie criminali”. (1)
Recenti interventi dell’esecutivo, per motivi di bilancio o per togliere giurisdizionalità al sequestro di beni in generale, hanno di fatto delegittimato l’impianto dell’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali faticosamente costruito.

IL FONDO UNICO GIUSTIZIA

Come si è arrivati al “Fondo unico giustizia”? E di che cosa si tratta?
Il 27.10.2005 viene costituita Equitalia spa partecipata da Agenzia delle Entrate, cioè ministero dell’Economia, e altri. La società effettua la riscossione a livello nazionale di ogni forma di tributo, imposta, contributo: gestisce in regime privatistico fiumi di risorse finanziarie pubbliche. Il 28.4.2008 viene costituita Equitalia Giustizia spa, con Equitalia come socio unico. Gestisce in regime privatistico, fra l’altro, tutte le risorse afferenti al cosidetto “Fondo unico giustizia”: sono tutte le somme liquide o comunque investite sotto qualsiasi forma in prodotti bancari o finanziari sui quali è stato pronunciato un sequestro penale o per misure di prevenzione o che siano state sottoposte a confisca nei medesimi procedimenti,e addirittura le somme confiscate a società a seguito di provvedimenti giudiziari riguardanti le violazioni in materia di modelli organizzativi aziendali (responsabilità penale dell’impresa). Viene disposto che ciascun terzo delle risorse finanziarie intestate al “Fondo unico giustizia” vengano destinate al ministero dell’Interno, al ministero della Giustizia e all’entrata del bilancio dello Stato. (2)
La nuova normativa impone alcune riflessioni.
In primo luogo, appare formulata in maniera assai frettolosa tenuto conto non solo delle molte imprecisioni e improprietà nella terminologia adottata. In particolare, si rileva un’inconcepibile confusione nell’accostamento o accomunamento fra l’istituto del sequestro e quello della confisca. Il provvedimento di sequestro, sia esso per misure di prevenzione o penale, ha natura temporanea e conclude la sua vita solamente a seguito della pronuncia definitiva dell’autorità giudiziaria competente che vi ha dato luogo. La confisca invece, se coperta da giudicato, assume il carattere della definitività da cui consegue il diritto dell’Erario di appropriarsi del bene.
Inoltre, il trasferimento delle disponibilità in sequestro al “Fondo unico giustizia” in costanza di sequestro determinerebbe una considerevole incoerenza giuridica, ancorché la norma preveda la possibilità di rimborso nel caso in cui il sequestro debba concludersi con la sua revoca. Ciò produrrà un ingente contenzioso con richieste di onerosi risarcimenti per il danno subito. Inoltre, la norma appare nettamente in contrasto con l’articolo 2 ter legge 575/65: l’amministratore giudiziario deve amministrare i beni in sequestro, ivi comprese le somme di disponibilità finanziarie, incrementandone il patrimonio e il loro rendimento. Tutto ciò non potrà avvenire se le disponibilità verranno sottratte alla gestione dell’amministratore giudiziario.
La norma presenta anche profili di incostituzionalità. E infatti proprio per effetto della confusione concettuale e terminologica tra sequestro e confisca, al legislatore è sfuggito che, fino al provvedimento che in via definitiva disponga la confisca, il soggetto destinatario del sequestro penale o per misura di prevenzione, non è affatto espropriato dei beni ma solamente spossessato; è quindi in netto contrasto con l’articolo 42 della Costituzione la norma che azzera il diritto di proprietà al di fuori di un provvedimento giurisdizionale avente autorità di giudicato (la confisca definitiva) senza neppure la previsione dell’indennizzo.
L’amministratore giudiziario molto spesso utilizza le disponibilità liquide ottenute con il sequestro e quelle derivanti dalla locazione degli immobili pure sotto sequestro, per provvedere a opere di manutenzione o per il pagamento delle tasse e imposte dovute, come Ici, Irpef, Imposta registro. Nel caso di trasferimento delle somme, le imposte rimarranno non pagate e gli immobili non vedranno crescere il loro valore patrimoniale per effetto della mancata manutenzione.
Ancora più grave è la questione del trasferimento al “Fondo unico giustizia” delle disponibilità finanziarie relative ad aziende in piena attività. In questo caso, risulta di fatto impossibile mantenere in vita l’azienda, con danno per gli occupati e per il mercato privato di una parte dell’attività economica costituita dall’azienda in sequestro che, benché possa essere il frutto di illeciti arricchimenti, in prospettiva, esercitate tutte le attività di bonifica aziendale, potrà entrare di diritto nell’economia sana del territorio. L’applicazione della normativa porterà inevitabilmente al fallimento della società amministrata per insolvenza procurata dalla privazione delle proprie finanze. Nel migliore dei casi, ove il valore dei beni aziendali sia sufficiente a coprire il passivo, le aziende potranno essere poste in liquidazione. Ma sorge sempre il dubbio che, nel corso della fase liquidatoria, il “Fondo unico giustizia” possa pretendere che le somme rinvenienti dalla vendita dei beni e destinate al pagamento dei debiti, vengano trasferite anch’esse. Anche in questi casi l’eventualità che il sequestro venga revocato, cosa che si verifica non di rado, non potrà che arrecare grave danno al legittimo titolare dell’azienda, che nel frattempo sarà stata dichiarata fallita o avrà concluso la propria liquidazione.

LA SOCIETÀ CIVILE PERDE TRE VOLTE

L’esecutivo ha scelto di modificare la destinazione dei beni sottratti alle mafie, orientandoli ai ministeri e alle spese correnti, tramite aste pubbliche. ネ chiaro che gli stessi meccanismi con cui i mafiosi si aggiudicano appalti pubblici sono utilizzati anche in questi casi per riappropriarsi di “propri” beni sequestrati. Emergono alcune considerazioni da questa scelta di nuova destinazione di beni sequestrati o confiscati. In primo luogo, la comunità ha subito tre tipi di perdite sullo stesso bene: 1. sottrazione del bene alla economia legale, 2. costi di indagini - umani, materiali e di tempo - per recuperarlo e mantenerlo, 3. (con l’ultima scelta dell’Esecutivo) costi di nuove indagini per recuperare nuovamente tale bene. Quindi, abbandonare uno dei principi che aveva guidato il ritorno alla comunità dei beni sottratti ai mafiosi non sembra una scelta particolarmente efficiente né favorevole alla “rule of law”. In secondo luogo, questa scelta incentiva i mafiosi a cercare ulteriori prestanomi in ambienti (fisici o relazionali) sempre meno vicini a quelli originari del mafioso, i cui contatti usuali sono presumibilmente già stati individuati nelle indagini che hanno portato alla prima confisca o al primo sequestro: si favorisce così un ampliamento dell’area di illegalità. In terzo luogo, gli accordi illegali o gli atteggiamenti collusivi dei mafiosi con prestanomi fanno sì che la stessa asta non porti alla massimizzazione del ricavo per l’offerente, come è usuale nell’asta all’inglese, anzi si può facilmente prevedere che le offerte porteranno alla minimizzazione dell’esborso per i prestanome dei mafiosi. Ne segue che i ricavi per lo Stato potrebbero essere davvero minimi, prossimi ai prezzi di riserva, se questi sono stati posti, oppure a cifre quasi nulle in caso di prezzo di riserva pari a zero. Infine, questo supplemento di operazioni a parità di risorse degli organismi di contrasto non può che ridurne l’efficienza complessiva, a meno di un proporzionale aumento di produttività di tutti i pezzi della macchina repressiva alla stessa velocità con cui tali norme vengono introdotte; il che pare improbabile visto che fautore di tale miglioramento dovrebbe essere lo stesso esecutivo (inistero della Giustizia), che è responsabile della scadente gestione della macchina amministrativa della giustizia.
Non è dunque comprensibile lo spirito con il quale il governo abbia affrontato l’argomento. C’è da ipotizzare che abbia voluto porre in essere il primo tassello per togliere giurisdizionalità ai sequestri penali o per misure di prevenzione, sottraendoli al controllo del giudice per porli invece sotto il controllo del governo medesimo.

Note
(1) Ministero della Giustizia: http://www.giustizia.it/ministero/struttura/sippi_bis.htm
(2) Il ministero della Giustizia ha diramato le istruzioni operative per l’applicazione della riforma e indicazioni procedurali e organizzative relative a tutte le risorse che devono affluire al “Fondo unico giustizia”. Nelle stesse si fa riferimento alle somme che dovranno eventualmente essere restituite agli aventi diritto anche nel caso di revoca di sequestro: “La riforma normativa prevede che affluiscano a tale fondo, tra l’altro, le somme di denaro sequestrate e i proventi derivanti dai beni confiscati nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione, che saranno gestiti e successivamente riversati agli aventi diritto o allo Stato dalla società Equitalia Giustizia”. Dunque, nel caso in cui il provvedimento di sequestro, dovesse concludersi nel merito con una revoca, Equitalia Giustizia dovrà farsi carico di restituire (sic!) agli aventi diritto le somme a suo tempo incamerate. Non è dato di sapere come e in che misura verranno restituiti anche gli interessi che ne sarebbero derivati e di cui non si può negare il diritto a riceverli da parte dei legittimi titolari, che tali sono in quanto affrancati da decreto coperto da giudicato definitivo.

(24 febbraio 2009)

Mercedes Bresso: "Non vogliamo il nucleare in Piemonte". E chiede un nuovo referendum

Fonte:


Mercedes Bresso, Presidente della Regione PiemonteMi è arrivato un Comunicato dalla Regione Piemonte che dice che loro non sono disponibili ad ospitare una centrale nucleare. Scrive la Presidente Mercedes Bresso:

Non vogliamo nucleare in Piemonte. In un quadro nazionale preoccupante sulle culture energetiche, il Governo dichiara di voler costruire 4 centrali nucleari di quarta generazione con la Francia in progettazione paritetica. Il Piemonte non ci sta e mantiene ferma la sua proposta: investire nelle energie da fonti rinnovabili per sostenere lo sviluppo, rilanciare l’economia, ridurre i consumi, proteggere l’ambiente. Oggi infatti, come dimostrano le scelte fatte da tutti i Paesi avanzati nel mondo, che riducono il nucleare e potenziano ricerca ed energie rinnovabili, le soluzioni sono altre. Il nostro no, lo sottolineiamo, riguarda anche lo scenario economico, non solo quello ambientale. Il Piemonte ha iniziato questo cammino un anno fa, producendo così opportunità di lavoro e miglioramento della qualità del nostro territorio.

Sindrome N.I.M.B.Y.? Sembrerebbe di no, infatti aggiunge Andrea Bairati, assessore regionale all’Energia che a questo punto andrebbe rifatto unreferendum per conoscere la volontà degli italiani: Dopo il salto la dichiarazione.

Il Paese si è già espresso attraverso un referendum: vorremmo capire dal Presidente del Consiglio e dal Ministro Scajola come il Governo intende aggirare i risultati di una consultazione popolare. Occorrerebbe tornare a interpellare i cittadini per sapere se hanno cambiato idea o almeno aprire una grande discussione nel Paese. Per quanto riguarda il sito di Trino, restiamo fermi sulle posizioni precedentemente espresse.

Conclude Nicola de Ruggiero Assessore regionale all’ambiente:

Penso che prima di parlare di una nuova stagione nucleare in Italia, che riteniamo obsoleta, pericolosa e improponibile, sia opportuno che il Piemonte venga definitivamente liberato dalle scorie radioattive che conserva ancora nel suo territorio. Il Piemonte ha pagato sinora un prezzo salatissimo.

Il Piemonte ha investito nelle energie pulite oltre 300 milioni di Euro fino al 2013.

Rifiuti hi-tech: Greenpeace scopre traffico illegale in Nigeria

Fonte:http://www.terranauta.it/a804/greenpeace/rifiuti_hitech_greenpeace_scopre_traffico_illegale_in_nigeria.html

Con un’operazione segreta, Greenpeace ha scoperto un traffico illegale di rifiuti elettronici destinati al riciclo che, sotto la falsa veste di beni di seconda mano, lasciavano la Gran Bretagna per finire in Nigeria. Greenpeace ha nascosto un dispositivo di tracking con collegamento GPS dentro un vecchio televisore non più riparabile e ha potuto seguire tutto il percorso del rifiuto hi-tech.

Cartina Nigeria
Operazione segreta di Greenpeace svela traffico illegale di rifiuti hi-tech in Nigeria
L’operazione, eseguita insieme a Sky television (la sezione britannica di Sky), sottolinea come lo scarso impegno di molte aziende elettroniche rispetto alla gestione dei loro prodotti a fine vita stia inevitabilmente incrementando il fenomeno dell’esportazione di rifiuti pericolosi dall’Europa ai Paesi in via di sviluppo. La Nigeria è sola una delle molte destinazioni di questi traffici, scoperti anche in Ghana, Pakistan, Cina e India.

“Le aziende possono fermare questo traffico illegale e pericoloso, mettendo in commercio prodotti che siano privi di sostanze tossiche e assumendosi la piena responsabilità di gestire il riciclo in sicurezza dei propri articoli.– Afferma Vittoria Polidori responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace. - Solo in questo modo si può mettere fine a un fenomeno illegale e in crescita che avvelena la gente e i posti incontaminati dei paesi meno ricchi.”

Greenpeace ha portato il televisore rotto con il dispositivo di tracking nascosto all’interno presso il servizio di riciclo in Gran Bretagna (chiamato UK’s Hampshire County Council) e ha scoperto che invece di smantellare la tv in sicurezza in UK, o comunque in Europa, l’azienda di riciclo del Consiglio, BJ Electronics, l’ha esportata in Nigeria, come bene di seconda mano.

Migliaia di vecchi prodotti elettronici lasciano ogni giorno l’Europa per raggiungere l’Africa, nonostante il divieto del Regolamento europeo di esportare rifiuti pericolosi, come sono considerate le TV rotte irreparabilmente, in paesi in via di sviluppo, come la Nigeria. Solo alcuni di questi articoli saranno riparati, ma gran parte finirà per essere smaltita in questi paesi, divenuti discariche a cielo aperto di Europa, Stati Uniti, Giappone e Sud Corea.

Le aziende hi-tech dovranno aumentare i loro sforzi per raccogliere e trattare in modo sicuro i rifiuti elettronici. È l’unico modo per evitare che giovani lavoratori dei paesi più poveri - molto spesso bambini - continuino a essere esposti a un cocktail di sostanze tossiche, altamente nocive per la loro salute.

Rifiuti tecnologici: odissea tra traffici illeciti e normative poco efficaci

Fonte:

Ogni giorno sul pianeta vengono prodotte milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici, fonti di inquinamento e simboli di spreco. Le normative europee (e non solo) prevedono smaltimento controllato e recupero dei materiali riciclabili. Eppure, ogni giorno, enormi quantità di elettronica di scarto raggiungono illegalmente mercati o discariche a cielo aperto in Africa e Asia.

di
Virginia Greco


Giorno dopo giorno si accumulano milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici
I progressi tecnologici sono continui e costanti. Quotidianamente si affacciano sul mercato dispositivi elettronici più moderni, complessi e dalle maggiori potenzialità. Ma la corsa all’acquisto del prodotto ultimo-grido o dalle prestazioni migliori si porta dietro come conseguenza inevitabile lo scarto di quello precedentemente in uso.

Ed è così che giorno dopo giorno si accumulano milioni di tonnellate di rifiuti tecnologici: piaga non trascurabile del nostro tempo. Secondo le stime elaborate dall’ONU, leapparecchiature elettriche ed elettroniche gettate via ogni anno ammontano a 20-50 milioni di tonnellate e crescono in quantità con un tasso del 3-5% annuo, tre volte superiore a quello dei rifiuti normali.

Ma dove vanno a finire computer e televisori dinosauro? Che ne è degli elettrodomestici attempati scaricati a favore del gioiello dell’ultimo minuto?

Qualche giorno fa l’associazione ambientalista Greenpeace ha reso pubblici i risultati dell’ultima indagine da essa condotta sul destino dei rifiuti tecnologici: un televisore rotto, consegnato in Gran Bretagna ad un’azienda che si sarebbe dovuta interessare dello smaltimento, è passato invece di mano e ha preso la via della Nigeria, su una nave ultra-carica di apparecchiature di seconda mano o del tutto inutilizzabili.

Ciò che è stato scoperto conferma quanto già emerso in precedenti investigazioni: i prodotti destinati allo sfascio, anziché essere smaltiti secondo il dovuto protocollo ed eventualmente parzialmente recuperati, si avviano attraverso traffici illeciti in direzione di paesi del sud del mondo, dove vengono rivenduti come beni usati, ma più spesso semplicemente depositati in immense discariche a cielo aperto ai margini dei villaggi e dei sobborghi poveri. Qui gente del posto, per lo più ragazzi se non bambini, pur di guadagnare qualche soldo per la sopravvivenza, si dedica al recupero dei componenti riciclabili, intervenendo senza alcuna precauzione sanitaria.


I prodotti destinati allo sfascio si avviano attraverso traffici illeciti in direzione di paesi del sud del mondo

La maggior parte delle apparecchiature elettroniche che popolano il nostro quotidiano (impiegate per l’informatica, le telecomunicazioni, lo svago, la pulizia della casa) contengono sostanze altamente nocive, in particolare metalli come piombo, rame, alluminio e cadmio. Quando vengono destinate alla distruzione, sono classificate come rifiuti pericolosi e non possono seguire l’iter normale di demolizione, bensì devono essere sottoposte ad interventi speciali.

Nelle discariche del sud del mondo, invece, i lavoratori operano a mani nude, sventrano le apparecchiature, bruciano gli involucri e le plastiche - diffondendo così fumi neri altamente nocivi che respirano sistematicamente -, sottraggono i componenti da rivendere e lasciano i resti sul luogo. Le conseguenze sono gravissimi danni alla salute dei ragazzi che operano direttamente sui rifiuti, nonchéinquinamento del suolo, dell’aria e spesso anche dell’acqua (se i veleni penetrano nel terreno fino a raggiungere le falde acquifere).

Quando, qualche anno fa, la realtà dei paesi in via di sviluppo adibiti a pattumiera del mondo “civile” iniziò a saltare all’occhio, il nord del mondo prese a dotarsi di leggi che impedissero i traffici di rifiuti tecnologici (denominati RAEE, ossia Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) e lo smaltimento al di fuori dei confini del paese o della federazione di stati. Queste normative, però, vengono spesso eluse e i dispositivi destinati alla distruzione riescono a compiere viaggi illegali.

Greenpeace dichiara che al giorno d’oggi “si perdono le tracce del 75% dei rifiuti tecnologici prodotti nell’Unione Europea e di oltre l’80% di quelli originati negli Stati Uniti. Se anche una parte di essi è ancora nelle case, nelle cantine e nei garage, o viene smaltito in discarica o inceneritore, una buona parte viene esportata – spesso illegalmente – per finire in discariche incontrollate in Africa oppure a riciclatori clandestini in Asia”.


Ragazzi e bambini, pur di guadagnare qualche soldo per la sopravvivenza, si dedicano al recupero dei componenti riciclabili, intervenendo senza alcuna precauzione sanitaria

Le destinazioni più frequenti delle navi che trasportano dispositivi elettrici ed elettronici di scarto sono il Ghana, la Nigeria, il Pakistan, la Cina e l’India. Greenpeace, in anni di inchieste svolte in tali terre, ha raccolto testimonianze e documentifilmati shockanti ed illuminanti allo stesso tempo.

In Italia, considerando che si producono annualmente più di 800.000 tonnellate di RAEE, e se ne raccolgono circa 110.000, si può concludere che non si ha notizia delle sorti di almeno l’85% dei rifiuti elettronici prodotti nel nostro paese.

Nell’Unione Europea lo smaltimento dei RAEE è regolato da varie direttive, che sono state recepite dall’Italia nel decreto legislativo 151 del 25 luglio 2005. La legge, entrata in vigore il primo gennaio 2008, sposta il compito di occuparsi di tali rifiuti dagli organismi comunali agli stessi produttori, che sono così diventati responsabili delle proprie apparecchiature anche al termine della loro vita commerciale sul mercato o nelle case dei consumatori. I produttori hanno l’obbligo di iscriversi in un apposito registro e di costituirsi in un sistema collettivo o consortile che si occupi di raccolta, trasporto, stoccaggio, disassemblaggio, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti hi-tech.

Purtroppo, però, la legislazione è tuttora carente di alcuni decreti attuativi, che sono fondamentali affinché la legge sia tradotta in pratica e non resti mera norma virtuale. Particolarmente necessario e atteso è il cosiddetto “Decreto Semplificazioni”, che obbligherà i rivenditori a ritirare gratuitamente l’apparecchio dismesso nel momento in cui il cliente ne acquisti uno nuovo (secondo il principio dell’uno a uno, ossia “prendo uno, lascio uno”). La pubblicazione di tale documento era prevista per la fine del febbraio 2008, ma ha subito una serie di rinvii ed oggi, ad un anno di distanza, risulta ancora non effettuata.


In Italia particolarmente necessario e atteso è il cosiddetto “Decreto Semplificazioni”

Nel nostro Paese esistono 9 consorzi per lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti tecnologici, coordinati dall’Associazione Nazionale Italiana dei produttori di apparecchiature Elettroniche (ANIE), la quale fa capo a Confindustria. I consorzi sono amministrati dagli stessi produttori che li costituiscono (e ne sono, dunque, soci). Essi sono operativi ed alcuni, come ReMedia, Ecoelit ed Ecolamp, vantano una notevole attività. Al momento, però, ci si può affidare solo al senso civico del singolo cittadino che, obbligato a distinguere i rifiuti pericolosi da quelli tradizionali, abbia la buona volontà di depositare l’apparecchio elettrico o elettronico presso l’opportuna isola ecologica (o contattare personalmente l’azienda che si occupa del recupero).

E’ auspicabile che il Ministro dell’ambiente vari al più presto il “Decreto Semplificazioni”, anche in virtù del ritorno sulla stampa del tema in virtù dell’inchiesta pubblicata da Greenpeace.

Ma è anche opportuno che le aziende produttrici di dispositivi hi-tech investano di più nella ricerca, al fine di realizzare apparati che non impieghino materiali tossici o eccessivamente inquinanti, perché – come ancora diciamo e ripeteremo sempre - non produrre è meglio che riciclare o smaltire in maniera controllata.