sabato 24 gennaio 2009

AGOSTI SILVANO

Caso Europa7

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23 gennaio 2009, in MARCO TRAVAGLIO

Tutto comincia nel 1996. Il ministro delle Comunicazioni del governo Prodi, Antonio Maccanico, presenta il ddl 1138 con una norma antitrust: entro il 28 agosto, come ha stabilito nel 1994 la Corte costituzionale, Mediaset dovrà cedere una rete o mandarla sul satellite. Ma subito dopo annuncia un decreto salva-Rete4: proroga di 5 mesi in attesa della riforma complessiva del sistema, che non arriverà mai, bloccata dall’ostruzionismo della destra in commissione Lavori pubblici e Telecomunicazioni del Senato (presidente Claudio Petruccioli). A fine anno la proroga di agosto sta per scadere. Ma niente paura: Maccanico ne concede un’altra. Intanto D’Alema diventa presidente della Bicamerale coi voti di Forza Italia: due anni di inciucio sfrenato. Il Parlamento approva una piccola parte della riforma Maccanico: nessun operatore può detenere più del 20% delle frequenze nazionali, dunque Rete4 è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà essere la nascente Agcom, e solo quando esisterà “un effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi via satellite o via cavo”. Solo allora Rete4 andrà su satellite e Rai3 trasmetterà senza spot. Cioè mai. Che vuol dire «congruo sviluppo» del satellite? Nessuno lo sa.

Nell’ottobre ’98 cade il governo Prodi, rimpiazzato da D’Alema. L’Agcom presenta il nuovo piano per le frequenze e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali che si divideranno le frequenze analogiche disponibili, in aggiunta alle tre reti Rai. Oltre a Mediaset e Tmc, si presenta un outsider: Francesco Di Stefano, imprenditore abruzzese proprietario di un network di tv locali: Europa7. La commissione ministeriale esamina le offerte e stila la graduatoria: Canale5, Italia1, Rete4, Tele+ bianco, Tmc, Tmc2, Tele+ nero, Europa7. Quest’ultima è 8^ in totale, ma addirittura 1^ per qualità dei programmi. E passerà al 6° posto appena Rete4 e Tele+nero traslocheranno su satellite dopo il famoso “congruo sviluppo” delle parabole. Il 28 luglio ‘99 un decreto del governo D’Alema le assegna la concessione. Di Stefano apre un mega-centro produzione di 22 mila mq sulla Tiburtina, 8 studi di registrazione, uffici, library di 3mila ore di programmi e tutto quanto occorre per una tv nazionale con 700 dipendenti. Non sa che sta iniziando un calvario infinito: diversamente che per le altre reti, già attive da anni, il decreto ministeriale non indica le frequenze di Europa7: sono occupate da Rete4 e Tele+ nero.

Nel 2002 si rifà viva la Consulta: basta proroghe a Rete4, che dovrà emigrare su satellite entro il 1° gennaio 2004. Così le frequenze andranno a Europa7. Ma Berlusconi, tornato al governo, salva la sua tv con la legge Gasparri: il tetto del 20% va calcolato sui programmi digitali e le reti analogiche, cioè sull’infinito. Dunque Rete4 non eccede la soglia antitrust e può restare dov’è. Il 16 dicembre 2003, però, Ciampi respinge la legge al mittente. Ma a fine anno Berlusconi firma il decreto salva-Rete4: altri 6 mesi di proroga. Intanto scatta la Gasparri-2: per mantenere lo status quo in barba alla Consulta, si stabilisce che nel 2006 entrerà in vigore il digitale terrestre moltiplicando i canali per tutti e vanificando ogni tetto antitrust. Nel frattempo i «soggetti privi di titolo» che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, cioè Rete4, possono seguitare a trasmettere. Chi ha perso la gara (Rete4) vince, chi ha vinto la gara (Europa7) perde.

Di Stefano non demorde. Respinge gl’inviti a ritirarsi o a “mettersi d’accordo” e nel luglio 2004 si rivolge al Tar Lazio. Che però nel 2005 gli dà torto. Si va al Consiglio di Stato, per avere le frequenze negate e un risarcimento danni di 2 miliardi di euro (con le frequenze) o di 3 (senza). Il Consiglio di Stato passa la palla alla Corte di giustizia europea di Lussemburgo perchè valuti la compatibilità delle norme italiane con il diritto comunitario.

Nel maggio 2006 il centrosinistra torna al governo. Ma non fa nulla per sanare l’illegalità legalizzata dai berluscones. E si guarda bene dal modificare le regole d’ingaggio all’Avvocatura dello Stato, che seguita a difendere la Gasparri in Europa. Come se governasse ancora Berlusconi. Il 31 gennaio 2008, finalmente, la sentenza della la Corte di Lussemburgo: le norme italiane che consentono a Rete4 di trasmettere al posto di Europa7 sono “contrarie al diritto comunitario”, dunque illegali: la Maccanico, il salva-Rete4, la Gasparri, ma anche il nuovo ddl Gentiloni. Tutte infatti concedono un infinito “regime transitorio” a Rete4, che va spenta subito, dando a Europa7 ciò che è di Europa7. Le norme comunitarie “ostano a una normativa nazionale che impedisca a un operatore titolare di una concessione di trasmettere in mancanza di frequenze assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”. Uno tsunami che spazza via vent’anni di tele-inciuci. O almeno dovrebbe.

La sentenza è immediatamente esecutiva e il governo Prodi - pur dimissionario - dovrebbe applicarla ipso facto. Ma il ministro Gentiloni ci dorme sopra, e intanto finisce anticipatamente la legislatura. Quella nuova si apre con un’ennesima legge salva-Rete4, poi ritirata da Berlusconi. Non ce n’è più bisogno. Il governo assegna a Europa7 una frequenza della Rai, peraltro inattiva. Ma l’altro giorno il Consiglio di Stato, dopo 10 anni di soprusi, si beve anche l’ultima truffa. Ed emette la sentenza-beffa: Europa7 ha ragione (Rete4 andava spenta fin dal 2004). Ma ha diritto alla miseria di 1.041.418 euro di danni, anche perché "non poteva ignorare i caratteri specifici della situazione di fatto nella quale maturò il bando": avrebbe dovuto "dubitare seriamente" che le frequenze gliele dessero davvero e rassegnarsi, abbandonando il settore tv, anziché proseguire la battaglia legale. Dove si credeva di vivere, questo ingenuo signore: in una democrazia?

L'addio all'Anm della Pm di Salerno Gabriella Nuzzi, trasferita dal Csm

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22 gennaio 2009, in MARCO TRAVAGLIO

Questa è la lettera che Gabriella Nuzzi - pubblico ministero a Salerno, trasferita dal suo ufficio dal Csm su richiesta del ministro Alfano per aver osato indagare sul malaffare giudiziario di Catanzaro che aveva già espulso come un corpo estraneo Luigi De Magistris - ha inviato al presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, annunciandogli le sue dimissioni dal sindacato delle toghe, che si è schierato dalla parte del ministro e del Csm. E' un documento che parla da sè, per la sua dolente onestà intellettuale e per la sua drammatica rappresentatività della notte che avvolge la nostra democrazia.
m.t.

Alla Associazione Nazionale Magistrati - Roma

"Signor Presidente,
Le comunico, con questa mia, l’irrevocabile decisione di lasciare l’Associazione Nazionale Magistrati.
Il plauso da Lei pubblicamente reso all’ingiustizia subita, per mano politica, da noi Magistrati della Procura della Repubblica di Salerno è per me insopportabilmente oltraggioso.
Oltraggioso per la mia dignità di Persona e di essere Magistrato.
Sono stata, nel generale vile silenzio, pubblicamente ingiuriata; incolpata di ignoranza, negligenza, spregiudicatezza, assenza del senso delle istituzioni; infine, allontanata dalla mia sede e privata delle funzioni inquirenti, così, in un battito di ciglia, sulla base del nulla giuridico e di un processo sommario.

Per bocca sua e dei suoi amici e colleghi, la posizione dell’Associazione era già nota, sin dall’inizio.

Quale la colpa? Avere, contrariamente alla profusa apparenza, doverosamente adottato ed eseguito atti giudiziari legittimi e necessari, tali ritenuti nelle sedi giurisdizionali competenti.
Avere risposto ad istanze di verità e di giustizia. Avere accertato una sconcertante realtà che, però, doveva rimanere occultata.

Né lei, né alcuno dei componenti dell’associazione che oggi degnamente rappresenta ha sentito l’esigenza di capire e spiegare ciò che è davvero accaduto, la gravità e drammaticità di una vicenda che chiama a riflessioni profonde l’intera Magistratura, sul suo passato, su ciò che è, sul suo futuro; e non certo nell’interesse personale del singolo o del suo sponsor associativo, ma in forza di una superiore ragione ideale, che è – o dovrebbe essere – costantemente e perennemente viva nella coscienza di ogni Magistrato: la ricerca della verità.

Più facile far finta di credere alla menzogna: il conflitto, la guerra tra Procure, la isolata follia di “schegge impazzite”.
Il disordine desta scandalo: immediatamente va sedato e severamente punito.
Il popolo saprà che è giusto così.
E il sacrificio di pochi varrà la Ragion di Stato.

L’Associazione non intende entrare nel merito. Chiuso.

Nel dolore di questi giorni, Signor Presidente, il mio pensiero corre alle solenni parole che da Lei (secondo quanto riportato dalla stampa) sarebbero state pubblicamente pronunciate pochi attimi dopo l’esemplare “condanna”: “Il sistema dimostra di avere gli anticorpi”.

Dunque, il sistema, ancora una volta, ha dimostrato di saper funzionare.

Mi chiedo, allora, inquieta, a quale “sistema” Lei faccia riferimento.
Quale il “sistema” di cui si sente così orgogliosamente rappresentante e garante.

Un “sistema” che non è in grado di assicurare l’osservanza minima delle regole del vivere civile, l’applicazione e l’esecuzione delle pene?
Un “sistema” in cui vana è resa anche l’affermazione giurisdizionale dei fondamentali diritti dell’essere umano; ove le istanze dei più deboli sono oppresse e calpestato il dolore di chi ancora piange le vittime di sangue?
Un “sistema” in cui l’impegno e il sacrificio silente dei singoli è schiacciato dal peso di una macchina infernale, dagli ingranaggi vetusti ed ormai irrimediabilmente inceppati?
Un “sistema” asservito agli interessi del potere, nel quale è più conveniente rinchiudere la verità in polverosi cassetti e continuare a costellare la carriera di brillanti successi?

Mi dica, Signor Presidente, quali sarebbero gli anticorpi che esso è in grado di generare? Punizioni esemplari a chi è ligio e coraggioso e impunità a chi palesemente delinque?

E quali i virus?

E mi spieghi, ancora, quale sarebbe “il modello di magistrato adeguato al ruolo costituzionale e alla rilevanza degli interessi coinvolti dall’esercizio della giurisdizione” che l’Associazione intenderebbe promuovere?

Ora, il “sistema” che io vedo non è affatto in grado di saper funzionare.
Al contrario, esso è malato, moribondo, affetto da un cancro incurabile, che lo condurrà inesorabilmente alla morte.
E io non voglio farne parte, perché sono viva e voglio costruire qualcosa di buono per i nostri figli.
Ho giurato fedeltà al solo Ordine Giudiziario e allo Stato della Repubblica Italiana.

La repentina violenza con la quale, in risposta ad un gradimento politico, si è sommariamente decisa la privazione delle funzioni inquirenti e l’allontanamento da inchieste in pieno svolgimento nei confronti di Magistrati che hanno solo adempiuto ai propri doveri, rende, francamente, assai sconcertanti i vostri stanchi e vuoti proclami, ormai recitati solo a voi stessi, come in uno specchio spaccato.

Mentre siete distratti dalla visione di qualche accattivante miraggio, faccio un fischio e vi dico che qui sono in gioco i principi dell’autonomia e dell’indipendenza della Giurisdizione. Non gli orticelli privati.

Non vale mai la pena calpestare e lasciar calpestare la dignità degli esseri umani.

Per quanto mi riguarda, so che saprò adempiere con la stessa forza, onestà e professionalità anche funzioni diverse da quelle che mi sono state ingiustamente strappate, nel rispetto assoluto, come sempre, dei principi costituzionali, primo tra tutti quello per cui la Legge deve essere eguale per deboli e potenti.
So di avere accanto le coscienze forti e pure di chi ancora oggi, nonostante tutto, crede e combatte quotidianamente per l’affermazione della legalità.
Ed è per essa che continuerò sempre ad amare ed onorare profondamente questo lavoro.

Signor Presidente, continui a rappresentare se stesso e questa Associazione.
Io preferisco rappresentarmi da sola".

Dott.ssa Gabriella NUZZI
Magistrato

giovedì 22 gennaio 2009

Acerra, il sindaco Marletta vuole come risarcimento per l'inceneritore un Polo pediatrico

fonte:
http://www.ecoblog.it/post/7669/acerra-il-sindaco-marletta-vuole-come-risarcimento-per-linceneritore-un-polo-pediatrico

mercoledì 21 gennaio 2009

A poche ore dall’inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra che avverrà venerdì prossimo, lascia perplessi la richiesta (attraverso un intervista rilasciata a La Repubblica il 20 gennaio 2008) fatta dal Primo cittadino Espedito Marletta al Premier Berlusconi: chiede, come una sorta di risarcimento, la realizzazione di un Polo pediatrico, una nuova ferrovia ad Alta Velocità e controlli strettissimi sui fumi che usciranno dalle tre torri del “mostro”.

Il Polo pediatrico è un progetto che sta in piedi da almeno 20 anni (ne hanno parlato prima i vecchi della democrazia cristiana e i socialisti e poi a seguire comunisti, pidiessini ecc. ecc.), ma che ha visto l’approvazione solo nel 2004 i cui finanziamenti, 130milioni di euro, però sono stati congelati proprio a causa della presenza dell’inceneritore che ovviamente non risulta compatibile con un ambiente salubre da destinare ad un ospedale per bambini.

Chiede il Sindaco Marletta di scongelare il progetto e di dare qualcosa alla città, ma il Polo Pediatrico secondo il Puc il Piano Urbanistico presentato nel maggio 2008 dovrebbe sorgere in località Pezzalunga- Gaudiello, cioè a 2,5km in linea d’aria dall’inceneritore, quindi presumibilmente proprio sotto il cono di interesse delle nanopolveri.
Intanto i comitati cittadini organizzano la protesta su facebook e Gennaro Esposito coordinatore del movimento “Quelli che…l’inceneritore non lo vogliono”, che ha organizzato per venerdi una giornata di protesta (nella foto l’ecoballa vestita a lutto che sarà in mano ai partecipanti alla manifestazione) scrive a proposito del Sindaco Marletta che ha invitato il Premier Berlusconi a rinviare l’inaugurazione:

l’invito a Berlusconi di rinviare l’inaugurazione dell’impianto “perchè non ancora dotato di tutti gli accorgimenti per il monitoraggio e la sorveglianza dello stesso” sembra tardivo, inopportuno e capziosamente estorto alla nostra stessa federazione, che da tempo chiedeva alle Autorità (comune compreso) di mettere in atto ogni accorgimento per garantire la salute pubblica degli acerrani, invito che era stato, tra l’altro, diramato proprio nella giornata di ieri agli organi di stampa.

Foto | Courtesy Quelli che l’inceneritore non lo vogliono

Prove tecniche di repressione dell’Onda

fonte:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/140109-tecniche-di-repressione/

14.01.09
Il diario dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all'Università La Sapienza di Roma.

Ogni tanto si parla di fascismo, di democrazia in pericolo e di regime. Ogni tanto si teme e si paventa questo o quello, ci si interroga sul futuro dei propri diritti, si aspetta il giorno in cui la "voce contro" finirà in galera. Come la sera del quattordici aprile: le mie amiche mi guardavano basita, affacciate alla finestra e in attesa di chissà quale strano evento, quale assurda epifania. Nulla di tutto ciò accadde, ovviamente: le strade rimasero uguali, la brezza la stessa, il sibilare macchinoso dei tram continuò a conquistarsi quel poco di silenzio che resta a una città.
E così oggi, in questa farsa di democrazia - che, a mio parere, monca lo è sempre stata -, tutto sembra tale a ieri; eppure tutto peggiora, giorno dopo giorno. La repressione è subdola, è culturale, è indotta anche in chi, razionalmente, se ne tira fuori. Non ha né un volto né un mandante, non si sporca mai le mani, non lascia tracce evidenti né indizi che la inchiodino come assassina.
E' un clima. Una sorta di nuovo vizio nazionale. Quando la censura era uno scandalo, ci si guardava bene dal praticarla apertamente; la si lasciava a loro, a quelli di destra, a quelli che, tanto, non se n'erano mai vergognati. Oggi no; oggi è un'arma politica come le altre, uno stratagemma che può sempre tornare utile qualora il silenzio mediatico, le forze dell'ordine e l'indifferenza generale non bastino più.
Durante queste vacanze, il neo-rettore della Sapienza Pierluigi Frati si è prodigato in una strana kermesse polemica nata e cresciuta senza l'apporto di uno studente che fosse uno: il caso Morucci. Ecco i fatti: un docente di letteratura angloamericana, su consiglio di un ufficiale della polizia di Stato, aveva invitato l'ex-brigatista Morucci a tenere una conferenza dal titolo "Cultura, violenza, memoria". Subito tutti si sono indignati moltissimo, e hanno iniziato a strillare: "Non sia mai un brigatista in cattedra!". Il non possumus è così rimbalzato fra le pagine dei vari quotidiani, e non se n'è più fatto nulla. Ciononostante, il polverone è bastato al rettore per rilasciare dichiarazioni molto istituzionali e molto sagge, approvate da parlamentari del PdL e anche da esponenti del PD, ribadite da membri dell'Udc e dal responsabile degli "Studenti per le Libertà" - un gruppo universitario la cui originalità nella denominazione non lascia adito a fraintendimenti.
Anche perché, com'è stato sottolineato da più parti, non sarebbe stato pensabile far parlare indisturbato un assassino dopo che, l'anno scorso, si era negata la parola al Papa. Malgrado Ratzinger - sembra superfluo ricordarlo, eppure a molti sfugge - non fu certo sequestrato dai collettivi, tantomeno fisicamente imbavagliato da un gruppo di studenti mitomani e bisognosi d'attenzione; semplicemente rinunciò, di sua pontificia volontà, all'invito, poiché la sua sacra persona non poteva rischiare di essere oggetto di contestazioni. Ma non importa; l'italiano e la semantica sono superflue in questi casi. Sostituire "rinuncia" con "proibizione" non è grave dal punto di vista del resoconto fattuale, e poi l'espressione "parola negata" rende meglio lo smottamento emotivo di chi quella situazione l'ha vissuta male, di chi è si è sentito ferito da una democratica manifestazione di dissenso come tante altre.
Senza contare che, accostando il Papa al brigatista, si ottiene un effetto mediatico importante. "La tiara e l'assassino": sembra il titolo di uno di quei romanzi da quattro soldi che la gente legge sotto l'ombrellone. Il richiamo al Papa, d'altronde, non serviva mica a scomodare il Vaticano, bensì a richiamare nella mente dei lettori l'idea di "Sapienza in mano a pazzi sinistroidi violenti e liberticidi" - tanto di moda l'anno scorso. Se non fosse stato per il rettore e quei prodi parlamentari che l'hanno incitato con le loro dichiarazioni, chissà cosa sarebbe successo... E difatti: "Il Papa no e Morucci sì? Il vero problema della Sapienza sono quei gruppuscoli di professori e assistenti marxisti-leninisti che hanno impedito al Papa di partecipare all'inaugurazione dello scorso anno" - Volontè, Udc; oppure: "Che questo avvenga nella prestigiosa università che negò di tenere la lectio magistralis a Benedetto XVI non deve stupire più di tanto." - Bonivier, PdL (Il Tempo, 03/01/09).
Era stato raggiunto l'obiettivo: colpire gli studenti; che, per la cronaca, di tutta questa storia hanno potuto leggere sui giornali, essendo - come tutti - a casa, con la famiglia, a mangiare il panettone.
Come per la Pantera, l'idea dei "brigatisti in cattedra" ha provato a far breccia nel cuore di un'opinione pubblica ancora stordita dallo spumante e dai pacchi natalizi. E mentre Frati rinnovava l'invito a Benedetto XVI, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha dichiarato da Cortina: la Sapienza è ostaggio di "trecento piccoli criminali", gente di cui "dobbiamo liberarci".
A chi si riferisse di preciso, non è dato saperlo. Si può solo pensare che abbia fonti sconosciute e più accurate delle nostre. Noi, un po' scossi - beh, in fondo era il quattro gennaio, non il primo di aprile - l'abbiamo presa a ridere, giocando sui numeri: perché proprio trecento? Per richiamare i trecento valorosi spartani delle Termopili? "Questa è la Sapienza!", urlammo scherzando da alcuni manifesti. Eppure ricordiamo: "Criminale è chi distrugge l'università", non chi la difende con la lotta.
E' inutile: in questa battaglia all'ultima dichiarazione il nostro contributo non era richiesto. Subito si sono accalcate le voci contro e le voci pro: Alemanno ha esagerato, Alemanno ha ragione, Alemanno non si deve permettere di criminalizzare le opposizioni sociali con dichiarazioni siffatte. Il Presidente del X Municipio, Sandro Medici, ha denunciato la "volontà repressiva" di una frase del genere. Tutto sembrava uguale alla solita, infinita bagarre para-politica a cui siamo stati abituati in questi ultimi anni: un inseguirsi spasmodico di idiozie senza senso, rivelazioni aberranti, cose a caso dette per riempire il buco di trenta secondi di un tg a scelta; un copione sgangherato, tanto delirante da non tornare utile nemmeno per una di queste fiction scadenti con cui ogni giorno annichiliamo le nostre intelligenze.
Ma - c'è un ma. Il rettore Frati, a sorpresa, ha difeso il sindaco: "Credo che quella di Alemanno sia stata solo una battuta". Un po' come una goliardata di fine anno. Frati ha ipotizzato inoltre a quale dei tanti nemici del suo magnifico governo universitario potesse far riferimento Gianni: magari ai senza casa che occupano abusivamente Regina Elena, o a quelle forme di microcriminalità diffusa all'interno dell'ateneo oppure, dulcis in fundo, agli occupanti delle varie facoltà. Per poi aggiungere: "Comunque non commento". Già, in effetti non ha commentato.
E arriviamo così all'ultimo capitolo di questa affascinante storiella natalizia. Dalle pagine di "La Repubblica Roma", il cinque gennaio Frati ha chiarito una volta per tutte la sua ferrea intenzione di mantenere l'ordine e la disciplina all'interno dell'università. "La mia linea è che si faccia sempre e solo ricerca e didattica nell'Ateneo"; "Ribadisco che l'istituzione universitaria non può essere, come le sue attività, ostacolata o peggio, 'autorizzata', da parte degli occupanti"; e ha concluso, rifacendosi alle polemiche sorte l'anno scorso per la visita del Papa, accompagnate allora dallo scontro sulla questione Galileo-Feuerbach-Ratzinger: "All'Università di un argomento ne parlano i competenti".
Ed è dunque in questo modo un po' rocambolesco che, nelle prime assemblee dell'anno nuovo, voci di corridoio hanno cominciato a segnalare la volontà, da parte del rettore, di regolamentare a sua immagine e somiglianza i dibattiti interni all'ateneo. Probabilmente - si è aggiunto - attraverso un'apposita commissione di fantomatici "esperti" che giudichi di volta in volta quali voci ospitare e quali no, quali argomenti trattare e quali invece lasciar perdere. L'ultima parola sulle iniziative dovrebbe averla sempre lui; tanto più se le iniziative in questione potessero avere un sentore di politicità. Se aggiungiamo tutto ciò alle intimidazioni e alle minacce di sgombero di questo dicembre, il quadro è completo.
Il movimento, ovviamente, non si ferma né si lascia intimidire. Noi andremo avanti; anzi: lo stiamo già facendo, con nuove assemblee, nuove date e nuovi incontri. Continueremo ad invitare chi ci pare e piace e ad occupare le aule necessarie a ospitare le conferenze, nonostante le grandi tarantelle di questi incravattati, suscitate per compiere un gesto di censura che, vista la nostra determinazione, otterrà l'unico effetto di renderci ancora più uniti.
Questa vicenda non è che uno dei tanti esempi di come alcune autorità stiano reagendo per frenare l'opposizione sociale, proprio adesso che questa si sta riorganizzando per essere ancora più potente e incisiva. Riguarda la Sapienza perché è la realtà che vivo, e che - attraverso me - ha voce. Ma sono certa che in tutte le città si potrebbero fare simili esempi, raccontare storie altrettanto grottesche di follia e costrizione.
Utilizzare i media e le loro parole contate, le battute entro cui debbono contenere le voci dei protagonisti amputandone i pensieri, iniziare gazzarre assurde apparentemente gratuite e senza scopo serve per far passare alcune parole chiave estrapolate dal contesto, indirizzare l'indignazione. Brigatista, assassino, Papa, criminali, esperti: nero, nero, bianco, nero, bianco; male, male, bene, male, bene. Studenti: neutro; occupanti: male. Trecento perché? Perché sono l'avanguardia, la bugia che ha plagiato gli altri. In fondo, bamboccioni eravamo, e bamboccioni dobbiamo rimanere; se diventassimo nemici autentici, tutti insieme, tutte le migliaia di noi che sono scese in piazza in questi mesi, il castello di carte crollerebbe: non ci sarebbe più spazio per minimizzare, zittire, nascondere sotto il tappeto. Dovrebbero confrontarsi con noi in veri scontri dialettici; e noi, sui contenuti, siamo più forti.
Come dissi alla mia amica, quella sera del quattordici: non ci sarà nessuna epifania, nessun segno eclatante, nessuna marcia in camice nere. Non è così che lavorano. Un po' non ne hanno bisogno, un po' - forse - non vorrebbero nemmeno. Ed è più comodo per chi la attua fingere che la repressione sia un banale esercizio del potere; normalizzare la violenza verbale per far apparire scontata, in un secondo momento, la violenza nascosta nelle loro leggi.
Non si tratta di agire sulle azioni, ma sui pensieri che quelle azioni generano, azzoppandoli, negandoli in partenza. Ancora più efficace e, se vogliamo, più deprimente.

Gaia Benzi

Miglior premier non protagonista

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http://temi.repubblica.it/micromega-online/170109-miglior-premier-non-protagonista/

17.01.09

Ha suscitato interesse nel mondo dello spettacolo la frase ormai storica pronunciata solennemente dal noto performer italiano Silvio Berlusconi, frase che qui riproponiamo testualmente affinché non si perda nulla del peso e del significato delle parole pronunciate:

“Non sarò presente all’inaugurazione del Presidente Obama perché io sono un protagonista, non una comparsa”.

La frase è apparsa talmente significativa da travalicare e superare l’ovvia domanda: “Ma era stato invitato?”. Infatti un altro argomento si impone: Berlusconi si definisce “protagonista” e questo reclamo di titolo ha subito messo in subbuglio sia i circoli politici che le giurie dei vari premi di televisione, varietà e cinema.

In politica l’obiezione è stata: “Protagonista di che cosa?”. Berlusconi non ha avuto e non ha alcun ruolo in Europa e nella politica europea. Non risulta avere preso parte, meno che mai da protagonista, ad alcun evento che abbia a che fare con la crisi finanziaria che attanaglia il mondo e al rischio di crollo della economia globale.

E’ in corso in Medio Oriente una guerra pericolosa e sanguinosa in cui da un lato è in gioco la vita di moltissimi civili e dall’altra la sopravivenza di un intero paese. Non si conosce sull’argomento neppure il suono della voce di Berlusconi.

Ma attenzione, lo stesso Berlusconi la mattina del giorno 12 gennaio fa sapere che nella serata precedente (una delle più violentemente combattute e distruttive della guerra appena citata) il primo ministro italiano ha dedicato tutta la sua attenzione e il suo tempo all’“Isola del Famosi”.

La straordinaria dichiarazione non può restare senza conseguenze. Uscito da ogni rilevanza politica, Berlusconi balza subito in primo piano nel mondo dello spettacolo. A differenza di “Gomorra”, Berlusconi sarà certamente preso in considerazione dalle più autorevoli giurie di show business. Però molti esperti hanno già fatto sapere: “COME PROTAGONISTA NO”. Infatti Berlusconi entra in tutti gli spettacoli (e questo è il grande talento dei caratteristi), ma non ne finisce nessuno, o perché si distrae, o perché si stanca o perché dimentica il copione, o perché abbandona per giorni, a volte per settimane, la sua compagnia di giro.

Dunque “caratterista”, anche perché gli giovano gli strani capelli, la bassa statura, i tacchi alti, il sorriso finto, le tenute sportive, le bandane, il vezzo di puntare il mento verso l’altro forse per tenere in tensione la pelle del sottomento che tende a cedere. In altre parole, un caratterista non si deve dimenticare, si ripete per sempre e questa è certo la sua forza.

Hollywood però suggerisce un riconoscimento più preciso, scrupolosamente costruito su fatti veri, Ecco che cosa dirà la targa:

“MIGLIOR PREMIER NON PROTAGONISTA” nel senso che nessun premier è mai riuscito, come lui, ad essere protagonista di nulla, ormai per anni.

Furio Colombo

Pierdalemando

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http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

20 gennaio 2009, in MARCO TRAVAGLIO

Oggi - annuncia La Stampa - le fondazioni “Italianieuropei” di Massimo D’Alema e “Liberal” di Pierferdinando Casini lanceranno le loro proposte congiunte per la riforma della giustizia. Anzi, dei giudici, visto che nessuna di quelle anticipate sveltirebbe di un nanosecondo i tempi biblici dei processi, anzi alcune li allungherebbero ancora. La trovata, poi, di studiare la riforma dei giudici col partito di Cuffaro, Cesa, Bonsignore e altri noti galantuomini, partito che nel 2001-2006 ha votato tutte le leggi vergogna berlusconiane, è destinata a incrementare il tasso di entusiasmo dell’elettorato Pd. Ma vediamo cosa bolle in pentola.

1) Anziché dai singoli pm, le intercettazioni dovranno essere richieste dai capi delle procure (è più facile controllare 150 procuratori che 2 mila sostituti), rispettando un rigoroso “budget annuale”. Geniale: se la Procura di Palermo arriva a esaurire il budget per gli ascolti a settembre, negli ultimi tre mesi dell’anno sospende la caccia ai mafiosi latitanti. I boss, opportunamente avvertiti, potranno incontrarsi, chiacchierare e telefonare indisturbati fino a Capodanno.
2) Se i giornali raccontano intercettazioni - com’è lecito, una volta depositati gli atti - gli editori incorreranno nelle sanzioni previste dalla legge 231 sulla responsabilità penale delle imprese: così, per evitare la rovina dell’impresa, nessuno pubblicherà più nulla (a meno che le notizie non facciano comodo agli interessi politici o affaristici dell’editore).
3) Sulla carriera del pm, un’idea ottima e una balzana. Quella ottima è l’obbligo per ciascun magistrato di fare esperienza sia come pm sia come giudice (il contrario della demenziale separazione delle carriere); quella balzana è l’immissione periodica di avvocati nei ranghi della magistratura saltando i concorsi. Non si vede perché mai un laureato in legge, per diventare magistrato, debba sostenere un concorso, e un iscritto all’albo forense no.
4) Netta separazione fra pm e polizia giudiziaria (copyright Violante-Alfano). In pratica il pm se ne resta in ufficio ad aspettare che la polizia gli porti le notizie di reato. E se non gliele porta? Non può sollecitarle o agire d’iniziativa. Così addio alle indagini sui potenti, specie se politici o amici degli amici: le forze di polizia dipendono dal governo e difficilmente indagheranno autonomamente, senza ordini del pm, sui reati di membri o sostenitori o alleati dei governi. Tantomeno sui delitti commessi da poliziotti. Senza gli impulsi dei pm, non avremmo mai avuto i processi per le sevizie degli agenti al G8, per le deviazioni del Sisde, per la mancata cattura di Provenzano da parte del Ros del generale Mori, e così via. La controriforma svuota dall’interno l’indipendenza del pm e anche del giudice, che resterebbero formalmente autonomi, ma non potrebbero più occuparsi dei reati dei colletti bianchi, perché le relative notizie verrebbero bloccate alla fonte. Un abominio incostituzionale.
5) A decidere sulle misure cautelari non sarebbe più un solo Gip, ma un organo di 3 giudici “in contraddittorio con la difesa dell’indagato”, cioè dell’arrestando. Strepitoso: prima di arrestare qualcuno, lo si avverte, così può scappare. E si impegnano tre giudici al posto di uno anche per infliggere l’obbligo di firma. Mentre un solo gip continuerà a infliggere ergastoli col rito abbreviato.
6) Le responsabilità disciplinari dei magistrati vengono affidate a un’Alta Corte di Giustizia esterna al Csm, un plotone d’esecuzione per un solo terzo formato da toghe per due terzi da politici. Così sarà più facile punire i magistrati sgraditi ai politici. D’Alema e gli amici di Casini sanno già dove mettere le mani.

NO TAV in Spagna come in Val di Susa

fonte:
http://ilcorrosivo.blogspot.com/

MARTEDÌ 20 GENNAIO 2009

Marco Cedolin

Anche la costruzione dell’alta velocità spagnola, impropriamente magnificata durante una puntata di Report nell’aprile dello scorso anno, sta incontrando grande opposizione fra le comunità locali dei cittadini iberici che protestano in maniera veemente contro una grande opera faraonica di dubbia utilità, che farà scempio del territorio prosciugando le falde acquifere, inquinando i terreni e pregiudicando gli equilibri ambientali. Anche in Spagna, come già accaduto in Val di Susa, la risposta dello Stato, incapace di produrre argomentazioni concrete che dimostrino l’utilità dell’opera, continua a rivelarsi unicamente di carattere repressivo e consiste nel pestaggio selvaggio dei manifestanti al fine di indurli al silenzio.

Sabato 17 gennaio ad Urbina, a pochi km da Gasteiz nella regione basca, alcune migliaia di cittadini contrari alla costruzione del TAV, al termine di un corteo di protesta, hanno tentato pacificamente di occupare i terreni che sono oggetto dei cantieri per la costruzione dell’opera, con l’intento di recuperarli ad un uso socialmente compatibile.
La risposta delle forze dell’ordine della polizia autonoma basca, accorse in massa, è stata perentoria e di una violenza inaudita, facendo oggetto i manifestanti oltre che di cariche e pestaggi selvaggi (tutto il campionario già espresso nel 2005 dagli uomini di Pisanu in quel di Venaus) anche dell’uso di proiettili di gomma e del tentativo d’investimento con l’ausilio dei mezzi blindati. Come se non bastasse, dopo la decisione dei manifestanti di abbandonare i terreni per evitare che la situazione potesse degenerare ulteriormente, le forze dell’ordine hanno scatenato una vera e propria “caccia all’uomo” protrattasi per ore, durante la quale sono penetrate perfino all’interno delle abitazioni e del municipio della cittadina. Il bilancio finale di questa giornata di follia parla di oltre 100 feriti e 8 manifestanti arrestati, ma occorre tenere conto del fatto che molti feriti non si sono recati presso le ambulanze, dal momento che queste erano presidiate dalla polizia decisa a trarle in arresto.

Come spesso accade in questi casi, i responsabili delle forze dell’ordine e l’informazione spagnola hanno tentato di giustificare l’operato degli agenti lamentando un mai avvenuto lancio di pietre da parte dei manifestanti che sono stati dipinti come violenti e facinorosi, nonostante due reporter del giornale spagnolo “El Mundo” (quotidiano di centrodestra) presenti sul posto, avessero confermato il carattere assolutamente pacifico della manifestazione.

In Italia naturalmente i grandi media si sono guardati bene dall’inserire la notizia all’interno dei propri palinsesti, preferendo disquisire riguardo alla casa del grande fratello, alla miliardaria cessione di Kakà, al decalogo della chiesa su come usare facebook e alle mirabolanti funzioni dei nuovi cellulari. Gli italiani, tranne quell’esigua minoranza che raccoglie informazioni su internet, continueranno pertanto a pensare che il TAV in Spagna rende tutti felici (perfino le trasmissioni più “trasgressive” come Report ne hanno dato conferma) e solamente uno sparuto gruppo di valsusini contrari al progresso continua ad opporsi al “treno del futuro” che prosciuga le montagne e le finanze, per arricchire le banche, l’industria del cemento e quella delle costruzioni.

lunedì 19 gennaio 2009

De Magistris: E’ il momento di resistere e di lottare

fonte:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/de-magistris-e-il-momento-di-resistere-e-lottare/

di Luigi De Magistris

L’altro giorno, in uno dei tanti viaggi tra Napoli e Catanzaro, ascoltavo la bellissima canzone di Francesco De Gregori e mi venivano in mente frammenti di storia scritti da magistrati della Repubblica italiana.
Pensavo al coraggio del Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa, che, da solo, si assunse la responsabilità di firmare degli ordini di cattura, al coraggio di Rosario Livatino ed Antonino Scopelliti che non piegarono la testa e decisero di esercitare il loro ruolo con rigore ed indipendenza, a quello di Paolo Borsellino che consapevole di quello che stava accadendo ai suoi danni cercava di fare presto per giungere alla verità e per comprendere anche le ragioni della morte di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta.
Pensavo a quanta mafia istituzionale accompagna tanti eccidi accaduti negli ultimi trent’anni.
Pensavo a quello che sta accadendo in questi mesi in cui si consolidano nuove forme di “eliminazione” di magistrati che non si omologano al sistema criminale di gestione illegale del potere e che pretendono, con irriverente ostinazione, di adempiere a quel giuramento solenne prestato sui principi ed i precetti della Costituzione Repubblicana, nata dalla resistenza al fascismo.
Pensavo a quello che possono fare i singoli magistrati oggi per opporsi ad una deriva autoritaria che ha già modificato di fatto l’assetto costituzionale di questo Paese.
Pensavo a quello che può fare ogni cittadino di questa Repubblica per dimostrare che, forse, ormai, l’unico vero custode della Costituzione Repubblicana non può che essere il popolo, con tutti i suoi limiti.

In attesa di quel fresco profumo di libertà – del quale parla il mio amico Salvatore Borsellino e per il quale ci batteremo in ogni istante della nostra vita, in quella lotta per i diritti e per la giustizia che contraddistingue ancora persone che vivono nel nostro Paese – che ci farà comprendere quanto concreto sia il filo conduttore che accomuna i fatti più inquietanti della storia giudiziaria d’Italia degli ultimi 30 anni, non dobbiamo esimerci dall’evidenziare alcune brevi riflessioni.
In attesa dei progetti di riforma della giustizia (che mi pare trovano d’accordo quasi tutte le forze politiche) che sanciranno, sul piano formale, l’ulteriore mortificazione dei principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, non si può non rilevare che i predetti principi – che rappresentano la ragione di questo mestiere che, senza indipendenza ed autonomia, è solo esercizio di funzioni serventi al potere costituito – sono stati e vengono mortificati proprio da chi dovrebbe svolgere le funzioni di garanzia e tutela di tali principi.

Dall’interno della Magistratura, in un cordone ombelicale sistemico di gestione anche occulta del potere, con la scusa magari di evitare riforme ritenute non gradite, si procede per colpire ed intimidire (anche con inusitata deprecabile violenza morale) chi, all’interno dell’ordine giudiziario, non si omologa, non intende appartenere a nessuno, non vuole assimilarsi alla gestione quieta del potere, ma rimane fedele ed osservante dei valori costituzionali di uguaglianza, libertà ed indipendenza che chi dovrebbe garantirne tutela – anche con il sistema dell’autogoverno – tende, in realtà, a voler governare, dall’interno, la magistratura rendendola, di fatto, prona ai desiderata dei manovratori del potere.

Ma non bisogna avere timore. La storia – ed ancora prima la conoscenza e la rappresentazione di fatti quando essi saranno pubblici – ci faranno capire ancor meglio di quanto tanti hanno già ben compreso, le vere ragioni poste a fondamento di prese di posizione anche di taluni magistrati (alcuni dei quali ritengono anche di svolgere una funzione di “rappresentanza”, in realtà, concretamente, insussistente).
Quello che rileva in questo momento e che mi pare importante è che, in attesa del fresco profumo di libertà, che spazzerà via alcuni protagonisti indecenti di questo periodo, ogni magistrato abbia un ruolo attivo, non si disorienti, diventi attore principale – nel suo piccolo ma nella grande “forza” di questo mestiere che richiede oneri prima ancora che onori – della salvaguardia dei valori costituzionali.

Ognuno di noi, chi ha deciso di fare questo lavoro con amore, passione e forte idealità, ha un luogo, interno alla propria coscienza, al proprio cuore ed alla propria mente, dal quale attingere forza e determinazione nei momenti bui. E’ questa l’ora delle risorse auree: se insieme sapremo esercitare le nostre funzioni in autonomia, libertà, indipendenza, senza paura di essere eliminati da intimidazioni istituzionali o da “clave” disciplinari utilizzate in violazione della Costituzione Repubblicana.
Per me, le riserve energetiche sono state e sono tuttora, soprattutto, le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche perché nei giorni delle stragi mafiose – con riferimento alle quali attendiamo verità e giustizia anche per le complicità sistemiche intranee alle Istituzioni – avevo appena consegnato gli scritti nel concorso in magistratura. Quando Antonino Caponnetto disse che tutto era finito, nel mio cuore ed in quello di molti altri magistrati è scattata una molla per dimostrare che non doveva essere così, che, invece, bisogna lottare e non mollare mai. Anche nella certezza di poter morire - come diceva Paolo Borsellino nella consapevolezza che tutto potesse costarci assai caro – vi sono magistrati che ogni giorno cercano di applicare, nei provvedimenti adottati, il principio che la legge è uguale per tutti.

Da quando le organizzazioni mafiose hanno dismesso la strategia militare di contrasto ed eliminazione dei rappresentanti onesti e coraggiosi delle Istituzioni, il livello di collusione intraneo a queste ultime si è consolidato enormemente, tanto da rappresentare ormai quasi una metastasi istituzionale che conduce alla commissione di veri e propri crimini di Stato. Questo comporta che oggi dobbiamo difendere, ogni giorno e con i denti, la nostra indipendenza e l’esercizio autonomo della giurisdizione – nell’ossequio del principio costituzionale sancito dall’art. 3 della Costituzione – anche da veri e propri attacchi illeciti, talvolta condotti con metodo mafioso, provenienti dall’interno delle Istituzioni.

Che può fare, allora, un magistrato? Che può fare un Uditore Giudiziario che a febbraio prenderà le funzioni giurisdizionali? Che può fare un Giudice civile? Che può fare un Giudice del Tribunale del Riesame? Che può fare un Giudice del settore penale? Che può fare un Pubblico Ministero? Che possiamo fare quelli di noi che non si piegano al conformismo giudiziario? Che possiamo fare quelli che vogliono esercitare solo questo lavoro con dignità e professionalità, senza pensare a carriere interne o esterne all’ordine giudiziario?

Credo che la ricetta è semplice, anche se sembra tutto così complicato in questo periodo così buio per la nostra Costituzione per la quale non dobbiamo mai smettere di combattere: si deve decidere senza avere paura – innanzi tutto di chi dovrebbe tutelarci e che si dimostra sempre più baluardo di certi centri di interessi e poteri, nonché fonte di pericolo per l’indipendenza del nostro stupendo lavoro –, senza pensare a valutazioni di opportunità, senza scegliere per quella opzione che possa creare meno problemi, decidere nel rispetto delle leggi e della Costituzione, pronunciarsi nel segno della Verità e della Giustizia. In tal modo, avremmo adempiuto, con semplicità e nello stesso tempo con coraggio, al nostro mandato, la coscienza non si ribellerà con il trascorrere del tempo, magari potremmo anche capitolare, ma, come dice Salvatore Borsellino, lo avremmo fatto senza “esserci venduti”. Non avremo svenduto la nostra indipendenza, non avremo piegato la nostra coscienza, non avremo abdicato al nostro ruolo, non avremo abbassato la testa: ci ritroveremo con la schiena dritta, con il morale alto, con il rispetto di tutti (anche dei nostri avversari). Questo ci chiedono le persone oneste: di non “consegnarci” e mantenere alto il prestigio dell’ordine giudiziario in un momento in cui la questione morale assume connotati epidemici anche al nostro interno. Non bisogna avere paura di un potere scellerato che pretende di opprimere la nostra libertà ed il nostro destino.

Ai giovani colleghi mi permetto, con umiltà e per l’immenso amore che preservo per questo lavoro, di esortarli a non temere mai le decisioni giuste e di perseguire sempre la strada della giustizia e della verità anche quando questa può costare caro. Io ero consapevole che mi avrebbero colpito e che mi avrebbero fatto del male, ma non ho mai piegato, nemmeno per un istante, il percorso delle mie scelte ed oggi mi sento, come sempre, sereno, ricco di energie, molto forte, perché dentro il mio cuore e la mia mente sono consapevole di aver espletato ogni condotta nell’interesse della Giustizia e nel rispetto delle leggi e della Costituzione Repubblicana.
Non ascoltate quelle sirene, anche interne alla nostra categoria, che vi inducono – magari in modo subdolo e maldestro – a piegare la testa in virtù di una pseudo-ragion di stato che consisterebbe nel pericolo imminente di riforme sciagurate, per evitare le quali dobbiamo, strategicamente, “girarci” dall’altra parte quando ci “imbattiamo” nei cd. “poteri forti”. Le riforme – anzi le controriforme – ci saranno comunque, forse saranno terribili, ma almeno non dobbiamo essere noi a dimostrarci timorosi e con le gambe molli, malati, come diceva Piero Calamandrei, di agorafobia. L’indipendenza si difende senza calcoli e ad ogni costo, l’amore della verità può costare l’esistenza. Ed essa si difende anche da chi la mina, in modo talvolta anche eversivo, dal nostro interno. Nella mia esperienza gli ostacoli più insidiosi sono sempre pervenuti dall’interno della nostra categoria: non sono pochi i magistrati, oramai, pienamente inseriti in un sistema di potere criminale che reagisce alle attività di controllo e che si muove, dal sistema, per evitare che sia fatta verità e giustizia su tanti fatti criminali inquietanti avvenuti nella storia contemporanea del nostro Paese.

Sono convinto che la magistratura non soccomberà definitivamente solo se saprà ancora esercitare la sua funzione senza paura, ma con coraggio, nella consapevolezza che anche da soli, nella solitudine propria della nostra funzione, quando ognuno di noi deve decidere e mettere la firma sui provvedimenti, e, quindi, valutare fatti e circostanze, lo farà senza farsi intimidire dalle conseguenze del suo agire. La paura rende gli uomini schiavi, così come le decisioni dettate con un occhio a carriere e posti di comando sono destinate a mortificare le funzioni prima ancora che rendere indegne le persone che le rappresentano.

Quindi, in definitiva, la storia la dobbiamo scrivere anche noi, nel nostro piccolo mondo, pur nella consapevolezza che alcuni di noi pagheranno un prezzo ingiusto e magari anche molto duro, ma questo è per certi versi ineluttabile quando si è deciso di svolgere una funzione che ci impone di difendere, nell’esercizio della giurisdizione, i valori di uguaglianza, libertà, giustizia, verità, quali effettivi garanti dei diritti di cui i cittadini, ed in primis i più deboli, ci chiedono concreta tutela.

Luigi De Magistris è giudice del Riesame a Napoli

Il nuovo editto bulgaro di Berlusconi

fonte:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/190109-il-nuovo-editto-bulgaro-di-berlusconi/

19/01/09
“Questa tv pubblica è indegna di un paese civile..”, se la frase avesse compreso anche la tv privata, forse sarebbe stato persino possibile avviare un dialogo con l’interlocutore del quale, per il momento, non sveliamo il nome.
Contro chi e contro cosa si scagliava l’incazzato anonimo? Forse era indignato per i troppo quiz milionari che rappresentano uno schiaffo alle povertà, forse era sconvolto dall’ultima puntata dei grandi fratelli o delle piccole sorelle, forse era disgustato dall'ultima apparizione televisiva di Moggi o di Licio Gelli, può darsi che non sopportasse le tante censure che stanno condizionando l’informazione da Gaza e su Gaza, oppure poteva aver casualmente letto i verbali delle intercettazioni tra il presidente del consiglio e alcuni dirigenti della Rai.
Una simile lettura avrebbe consigliato qualcosa più del disgusto e del giudizio d’indegnità. Nulla di tutto questo l’incazzato ignoto era ed è il medesimo Silvio Berlusconi questa volta in versione editto bulgaro bis. La sua esternazione non ha nulla a che vedere con i tanti programmi ignobili che effettivamente vanno in onda, molti dei quali trasmessi dalle reti di sua proprietà. A Berlusconi non viene neppure in mente di proporre una riforma dei media e delle tv, non ha intenzione alcuna di liberare la tv dai tanti programmi spazzatura, più modestamente la sua esternazione è tutta mirata a chiedere la testa di Santoro, dei Travaglio e di quei rompiscatole che ancora osano dare un diritto di rappresentazione a quei soggetti politici e sociali altrove letteralmente cancellati. Non si discute il diritto a criticare, anche aspramente una qualsiasi trasmissione ed un singolo conduttore. Ci mancherebbe altro! Sarebbe ora e tempo di aprire una seria discussione sui modelli televisivi prevalenti nel pubblico e nel privato.
Nel caso in questione, tuttavia siamo in presenza solo e soltanto della ennesima variante dell’editto bulgaro.
Gli stessi che ora puntano il dito contro Annozero hanno taciuto di fronte alle liste di proscrizione e alle tante censure e omissioni di questi anni e persino di questi giorni. Come definire il silenzio che ha circondato la “la fucilazione mediatica del giudice Caselli? Cosa dire dell’esibizione di Luciano Moggi, appena condannato dal tribunale? Le medesime autorità istituzionali che hanno tuonato contro Annozero hanno, invece, taciuto su Eluana Englaro e sulla decisione del governo di sospendere la applicazione di una sentenza. Il loro amore per la verità e per la legalità, evidentemente, non va oltre la richiesta di misure disciplinari contro una sola trasmissione giornalistica.
In queste ore, anche nel mondo giornalistico e politico, molti già si fregano le mani, sperando che finalmente sia data una bella lezione a Michele Santoro e alla sua squadra. Presto molto presto, scopriranno che il nuovo editto bulgaro non si fermerà qui. Da mesi il presidente del consiglio, il fido Dell’Utri, il fidatissimo sottosegretario Romani, l’antico maestro Licio Gelli, scrivono e ripetono che la Rai dovrà essere pulita da ogni presenza sgradita. Nell’ordine hanno bersagliato Santoro, Travaglio, Fabio Fazio, Carlo Lucarelli, i comici, gli autori di satira, Blob, il commissario Montalbano, Milena Gabanelli, il TG3, i conduttori e le conduttrici del TG3 definite troppo “dark“, tutta Rai 3 e persino alcune trasmissioni di Mediaset, troppo sensibili alla cronaca sociale. Il medesimo Silvio Berlusconi ha chiesto che dalle trasmissioni siano espulsi quei temi che potrebbero generare ansia: le povertà, il malessere sociale, gli sbarchi sulle isole, il puntuale ripetersi di questi casi di cronaca nera che, durante le scorse elezioni, rappresentarono il piatto forte della propaganda della destra.
Quello che oggi se la ridono, scopriranno presto, molto presto che, per parafrasare De Andrè, anche se si credono assolti saranno inevitabilmente coinvolti.

Giuseppe Giulietti