sabato 18 aprile 2009

Abruzzo, un futuro fatto di pozzi di petrolio?

Fonte:

In questi giorni di tragedia e di passerelle politiche nessuno fra uomini politici e giornalisti si è sentito in dovere di rendere nota agli abruzzesi la volontà del governo, già espressa lo scorso giugno 2008, di trasformare l’Abruzzo in una regione mineraria.

di 
Marco Cedolin

Un pozzo di petrolio
Pozzi come questo potrebbero presto costellare l'Abruzzo
Nel corso delle ultime settimane l’Abruzzo si è ritrovato sotto la luce dei riflettori mediatici come mai prima d’ora a causa del terremoto che ha colpito l’Aquila provocando la morte di quasi 300 persone, oltre 1000 feriti e 30.000 senza tetto. Durante questi giorni di tragedia gli uomini politici hanno fatto a gara nell’ostentare presenzialismo e dispensare promesse di ogni sorta per quanto riguarda il futuro delle zone colpite dal sisma e dell’intera regione. Promesse che, partendo da una pronta ricostruzione delle abitazioni distrutte dal sisma, non hanno mancato di contemplare grande attenzione nei confronti degli equilibri di un territorio che si caratterizza come estremamente fragile.

Nessuno fra gli uomini politici ed i giornalisti, impegnati nel curare la buona riuscita della “passerella mediatica”, si è sentito in dovere di rendere nota agli abruzzesi la volontà del governo, già espressa lo scorso giugno 2008, di trasformare l’Abruzzo in una regione mineraria, come dimostrato dal fatto che ormai il 35% del territorio abruzzese risulta coperto da permessi estrattivi in favore delle compagnie petrolifere.

Leggendo l'interessantissimo blog della Dr.ssa Maria Rita D'Orsogna che da anni segue la vicenda con tutto l’ardore di chi pur vivendo all’estero continua a rimanere profondamente innamorato della propria terra, non si fatica a comprendere i termini del problema nella loro interezza. L’interesse dell’ENI, della Mediterranean oil and gas (MOG), di Total e altre compagnie petrolifere nei confronti del territorio abruzzese sembra essere molto alto, così come alta è stata fino ad oggi la disponibilità degli uomini politici di varia estrazione e colore, nei confronti di un progetto che riproponga in Abruzzo lo stesso scempio già sperimentato in Basilicata.

Anche per l’Abruzzo, così come accaduto proprio in Basilicata, potrebbe prospettarsi dunque un futuro fatto di trivellazioni e pozzi petroliferi, destinati a devastare ed inquinare il territorio, senza comportare nessun tipo di ricaduta positiva per la popolazione residente.

Se i cittadini abruzzesi, tenuti fino ad oggi all’oscuro del tutto dall’atteggiamento omertoso della politica e dell’informazione che conta, avrebbero già molto da recriminare per il solo fatto che si paventi dinanzi a loro una prospettiva di questo genere, occorre sottolineare come esista un ulteriore motivo di allarme che, soprattutto alla luce di quanto accaduto all’Aquila, non può certo essere sottaciuto.

La conformazione del territorio abruzzese, ad elevato rischio sismico, dovrebbe infatti sconsigliare nella maniera più assoluta qualunque ipotesi di trivellazione, dal momento che l’estrazione di petrolio e gas dal sottosuolo comporta un aumento dei rischi di movimenti tellurici indotti proprio dall’attività estrattiva. A questo proposito esistono molti studi che confermano la connessione fra attività di estrazione e terremoti, alcuni stralci dei quali si possono leggere proprio all’interno del blog della Dr.ssa D’Orsogna.

Dagli uomini politici che anche nelle prossime settimane con tutta probabilità continueranno la propria passerella mediatica condita di facili promesse tutti i cittadini abruzzesi credo dovrebbero pretendere la promessa di un futuro vivibile, all’interno di case più sicure, in una regione che continui a rimanere fra le più verdi d’Italia, anziché la prospettiva di un domani fatto di pozzi petroliferi e nuovi terremoti, ancora più gravi di quello che ha determinato la tragedia dell’Aquila.

venerdì 17 aprile 2009

Sgomorra

Fonte:



Foto di l3m4ns da flickr.com
Troppa sabbia nel cemento armato (si fa per dire). Stupore generale: chi l’avrebbe mai detto? In Abruzzo, poi, regione dotata di una classe politica così irreprensibile da aver avuto l’intera giunta arrestata nel ’93 (tutti assolti grazie all’abolizione del reato, tranne il presidente Salini, condannato per falso e dunque promosso deputato da FI e poi passato all’Udeur) e un altro governatore,Del Turco, arrestato l’anno scorso. 

Ora i pm paventano 
infiltrazioni della camorra nella ricostruzione e il neogovernatoreChiodi s’indigna. Camorra in Abruzzo, ma quando mai? Bastava leggere un libro semiclandestino scritto da un ragazzo casalese, uscito tre anni fa. A pagina 236, nel capitolo «Cemento armato», il giovane scrittore scandisce il ritornello post-pasoliniano «Io lo so e ho le prove», poi butta lì: «Tutto nasce dal cemento, non esiste impero economico nel mezzogiorno che non veda il passaggio nelle costruzioni: appalti, cave, cemento, inerti, mattoni, impalcature, operai… So come è stata costruita mezza Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi e ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia… attraversavano le terre costeggiate da contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma… Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi…». Quel giovane scrittore si chiama Roberto Saviano. E il suo romanzo «Gomorra». Lo celebrano tutti. Purché, beninteso, nessuno lo legga. 

Maurizio Pallante

Fonte:


giovedì 16 aprile 2009

Vivisezione: un male di cui liberarsi

Fonte:

I laboratori delle case farmaceutiche e di cosmesi costituiscono ancora oggi luoghi di tortura per topi, conigli, scimmie e tanti altri animali legalmente torturati per la sperimentazione. Dinanzi a queste atrocità non bisogna chiudere gli occhi ma, al contrario, guardare, capire, riflettere e, soprattutto, dire “basta”.

di 
Giovanna Di Stefano

un topo
I topi sono gli animali più utilizzati per la ricerca
All’udire la parola vivisezione la prima reazione è quella di volerne distogliere subito il pensiero, magari chiedendo al proprio interlocutore di cambiare immediatamente argomento a causa di una propria personale ipersensibilità nei confronti degli esseri viventi e di ogni forma di tortura che li vede vittime indifese.

Quante volte gli animalisti, nel desiderio di informare, semplicemente, il prossimo sulle atrocità compiute nei laboratori di vivisezione in nome della ‘scienza’, si sono sentiti ripetere la frase “non mi dire nulla di più per favore, non lo posso sopportare”? Tante. A quel punto alcuni obbediscono, preoccupati più di non provocare un momentaneo turbamento in chi hanno di fronte che di aprire loro gli occhi su ciò che realmente avviene a danni di milioni di animali, e a cui spesso ci si può opporre, tra l’altro, semplicemente facendo attenzione a cosa si mette nel carrello della spesa. Ad altri invece, per fortuna, preme di più la verità: che la gente almeno sappia quali orrori si nascondono tra le pareti dei laboratori delle principali case farmaceutiche e di cosmesi, perché questo avviene ancora oggi nella più totale legalità, ed infine cosa può fare il cittadino per manifestare il proprio dissenso.

In base ad una recente indagine risultano essere circa 115 milioni gli animali complessivamente detenuti e sfruttati nei laboratori di vivisezione di tutto il mondo. Di questi, circa l’80% sono roditori (ratti, cavie, topi, criceti), e il restante 20% cani, gatti, conigli ma anche asini, bovini e piccole scimmie. Tuttavia si tratta di cifre sicuramente sottostimate (complessivamente potrebbero essere 300 milioni, considerando gli animali non conteggiati nei dati ufficiali) a causa della mancata registrazione da parte dei laboratori di tutti gli animali realmente utilizzati.

Si pensi che per esempio negli Stati Uniti le statistiche tengono conto solo di alcune specie di animali per i dati ufficiali, ma se venissero conteggiati tutti quelli realmente usati (quindi anche uccelli, topi, pesci, anfibi e rettili) il loro numero salirebbe da appena un milione a 34 milioni.

conigli
Conigli nei box di contenimento, pronti per il test
A proposito dell’incertezza dei dati a disposizione e dell’enorme difficoltà nel reperirli la BUAV afferma:

"E’ sconvolgente che così pochi paesi ritengano importante contare il numero di animali che soffrono nei loro laboratori. E' impossibile avere un dibattito sul ruolo degli esperimenti sugli animali nel 21esimo secolo, quando il numero ufficiale degli animali coinvolti e' cosi' sottovalutato. Ciò significa che un'enorme quantità di sofferenza viene semplicemente ignorata, e gli sforzi volti a sostituire l'uso degli animali nella ricerca con tecniche più moderne viene ostacolato. La vivisezione è considerata uno dei più controversi campi di utilizzo degli animali, e' giunto il momento che i governi di tutto il mondo portino alla luce la verità”.

Di tutti gli esperimenti condotti su questa vastissima popolazione di animali solo il 30% riguarda la medicina, mentre il 70% serve a testare prodotti cosmetici, detergenti, formule industriali (detersivi, saponi, inchiostri, ecc.) o belliche (gas tossici, radiazioni nucleari, armi batteriologice, nuovi proiettili, ecc. ); infine, una piccola percentuale viene fatta a scopo didattico-dimostrativo nelle scuole.

Tutti gli animali ‘da laboratorio’ sono destinati, come facilmente intuibile, a non morire di morte naturale bensì ad essere, prima o poi, uccisi. I più fortunati moriranno prima; gli altri, sottoposti a test più lunghi o a più esperimenti consecutivi, dovranno agonizzare per un tempo maggiore, ma poi l’epilogo sarà lo stesso. L’aspetto tragico della vivisezione, come è evidente, non è la morte dell’animale in sè, ma tutto ciò che la precede. A questo proposito il punto cruciale del problema risiede nel corretto utilizzo dell’anestesia, in grado di ridurre drasticamente le agonie delle malcapitate creature durante l’esperimento e quindi di eliminare quella sofferenza che è atroce, infinita, intollerabile.

L’anestesia invece non viene sempre praticata e spesso dura solo una parte dell’esperimento, ma anche qualora il suo effetto durasse per tutto il test l’animale sottoposto soffrirebbe comunque per il dolore che si protrae normalmente ben oltre la fine dell’operazione. La totale negligenza nella pratica di un’anestesia corretta, che copra tutto il periodo di dolore, non ha nessuna motivazione se non quella economica: pur di non spendere soldi, o di non ‘perdere tempo’ per l’anestetico si lascia che l’animale, già sofferente per la condizione di prigionia e di privazione estrema conseguente al suo essere ‘animale da laboratorio’, soffra e agonizzi all’infinito. Non ha importanza, perché tanto è …‘solo un animale’. Non ci sarà nessun avvocato a difenderlo. In qualunque modo l’animale venga trattato saranno in pochi a saperlo: il vivisettore stesso e, forse, pochi altri colleghi, che in quanto tali non avranno nulla da obiettare. Dopo tutto quando c’è di mezzo la “scienza”, qualcuno deve sempre sacrificarsi. E così i vivisettori si mettono la coscienza a posto. Ma … sarà veramente così?

cani
Gli animali in gabbia, tenuti in isolamento, senza possibilità di socializzare, quasi sempre impazziscono
La sperimentazione animale, dicevamo, viene percepita come un qualcosa di terribile, di agghiacciante.

È proprio il rifiuto dell’opinione pubblica a volerne sapere di più che riduce la vivisezione sempre e solo ad un “qualcosa” di molto nebuloso. Come conseguenza di questa ignoranza diffusa sul tema si ha un’opinione pubblica che si esprime attraverso una serie di frasi fatte e senza nesso logico, come per esempio quella più classica in assoluto: ‘meglio salvare un bambino che un cane’.

La frase, perfettamente condivisibile nel contenuto, anche dagli antivivisezionisti, pecca invece gravemente nel presupposto, e cioè che sia inevitabile sacrificare uno dei due: uomo o animale. Al contrario il movimento antivivisezionista, composto oltre che da comuni cittadini anche da moltissimi medici ed esperti in materia (www.mediciinternazionali.org), sostiene che con i metodi alternativi a quelli tradizionali che impiegano animali, metodi che già esistono da tempo e vengono in parte applicati, non solo è possibile risparmiare inenarrabili sofferenze a milioni di poveri animali ma anche e soprattutto avere la garanzia di un risultato molto più affidabile e realmente scientifico in quanto questi metodi utilizzano come modello di studio direttamente l’uomo e non più l’animale. Il vantaggio, non da poco, è di avere risultati tangibili già definitivi, nel senso che non necessitano di successive estrapolazioni e correlazioni con altre specie, perché già si riferiscono alla specie giusta: quella umana.

Per la ricerca biomedica di base i metodi alternativi si avvalgono di dati epidemiologici e statistici, colture in vitro di tessuti o di interi organi umani, dello studio diretto dei pazienti tramite i moderni strumenti di analisi non-invasivi, infine di autopsie e biopsie; per i test di tossicità in campo cosmetico si lavora molto con le colture di cellule e di tessuti umani o modelli matematici computerizzati; infine per la didattica esistono ormai centinaia di metodologie alternative già validate: modellini, manichini e simulatori meccanici computerizzati, film, video ecc.

I metodi alternativi, benché veramente scientifici e sicuramente promettenti, stentano a decollare a causa di un’insormontabile barriera burocratica che prevede un iter, per la loro validazione ai fini dell’applicabilità, molto lungo e oneroso (può durare molti anni). Un criterio di validazione, quello in atto per i metodi alternativi, che, è bene dirlo, è da considerarsi inaccettabile in triplice misura. In primo luogo perché il metodo da validare viene ritenuto idoneo solo se riesce a fornisce dati simili a quelli ottenuti, in passato e per le medesime sostanze, con la sperimentazione animale. Un criterio questo del tutto irrazionale e antiscientifico in quanto i risultati andrebbero semmai confrontati con quelli già noti sull'uomo: si parla di sostanze già sperimentate, quindi già in commercio e sulle quali sono pertanto già noti gli effetti sull’essere umano; per cui perché prendere come riferimento i risultati ottenuti sui topi, ratti o altri animali, anche quando peraltro sono spesso diversi da quelli riscontrati successivamente sul corpo umano?

scimmia con elettrodi
Scimmia nel box di contenzione con elettrodi impiantati nel cervello
Inoltre, non ha senso confrontare i dati ottenuti da un organismo in toto con quelli di una coltura cellulare umana. Questi ultimi sono parziali, ma danno informazioni certe per l'uomo, invece i test sugli animalisono più completi (ossia sarebbero ovviamente molto utili se noi volessimo conoscere gli effetti del cancro su di loro e non sull’uomo!) ma danno informazioni incerte, e quindi irrilevanti o peggio fuorvianti, riguardo all'effetto sull'organismo umano.

Infine, e qui siamo al paradosso, i test su animali correntemente utilizzati, riconosciuti, ufficiali e quindi perfettamente legali, non sono mai stati validati! E ora questi stessi test vengono innalzati a metro di giudizio per la validazione di quelli nuovi, alternativi alla sperimentazione animale. A questi ultimi cioè si richiede, per essere riconosciuti ‘idonei’, di produrre risultati simili a quelli ottenuti con la sperimentazione animale (i cui test sono spesso tra l’altro estremamente datati, alcuni risalenti addirittura al 1930), la quale esse stessa non è mai stata sottoposta a nessun tipo di verifica, bensì, venne a suo tempo presa per buona a priori, non si capisce in base a quale evidenza scientifica, viste le macroscopiche differenze biologiche tra uomo e animale. È un po’ come mandare il proprio figlio a prendere lezioni di una materia per conseguirne un diploma, in una scuola che non ha alcun titolo per farlo.

La sperimentazione animale è entrata di diritto nelle linee guida, accettate a livello mondiale, dell'Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD - Organization for Economic Cooperation an Development) senza alcuna validazione.

La vivisezione si basa su un presupposto completamente sbagliato, la cui gravità è fin troppo evidente: ogni specie è differente, per metabolismo e altri parametri fisiologici, di conseguenza nessun risultato conseguito su una specie animale potrà mai essere estrapolato con certezza su un'altra.

In altre parole, ogni specie è un modello valido di sperimentazione solamente per la propria stessa specie e per nessun’ altra.

La strada che porta a liberare gli animali dagli strumenti di contezione e dagli stabulari dei laboratori si costruisce solo quindi continuando a dimostrare chetanta sofferenza, oltre che immorale e indegna di una società civile, è inutile per il benessere e la salute umana. E’ necessario dimostrarlo con i dati scientifici, confrontando quelli affidabili e certi che emergono dallo studio di cellule umane con quelli che derivano dai metodi tradizionali che analizzano l’animale, estremamente variabili a seconda della specie utilizzata, quindi pericolosi e fuorvianti se presi per buoni nella formulazione di cure o farmaci per l’uomo.

La struttura Delta

Fonte:



 Ogni decisione che prendiamo dipende da ciò che sappiamo. Quello che sappiamo si basa sulle informazioni che abbiamo. L'informazione ha smesso di essere diretta molto tempo fa. L'informazione è mediata. I media sono unalente deformante che concentra l'attenzione sulle notizie. Alcune vengono nascoste. Alcune esaltate. Spesso vengono storpiate. Chi controlla l'informazione, controlla le nostre decisioni. Chi controlla le nostre decisioni, controlla il mondo.

 Una volta era più semplice. Ciò che accadeva nelle tribù, nei villaggi, nei feudi non aveva bisogno di giornalisti per essere raccontato. Tra la 
fonte e l'informazionec'era una corrispondenza diretta che non lasciava spazio alle strumentalizzazione. Oggi non sappiamo più niente. Crediamo di sapere. In realtà conosciamo soloillusioni, prodotti finali frutto di reinterpretazioni a cascata che orientano il senso delle cose. San Tommaso aveva ragione. Aveva capito tutto. Aveva capito che se voleva essere sicuro di qualcosa, doveva metterci il naso. Poi l'hanno convinto a credere. Senza riflettere. E l'hanno fregato.

 La televisione americana è stata pensata per rivolgersi a un pubblico di
dodicenni. E noi dietro. Fate fatica a crederci? Guardatevi un qualsiasi estratto di una puntata del Grande Fratello. Vedrete uomini e donne comportarsi come preadolescenti sotto l'effetto di psicotici. L'educazione non è un'attività racchiusa tra le pareti di un'aula scolastica. Tutto ciò che vediamo ed ascoltiamo ci educa. Quando le immagini non erano ancora scollegate dal fluire del contesto reale, eravamo educati alla vita dalla vita stessa. Guardavamo il mondo davanti ai nostri occhi per come era, e imparavamo. Oggi guardiamo il mondo per come viene rappresentato. E impariamo non ciò che è ma ciò che appare. Ma l'apparenza inganna. E' il mito della caverna di Platone.

 Non fate guardare la televisione ai vostri figli. Non guardatela neppure voi. Togliete alla 
struttura delta il più grande strumento di ipnosi collettiva mai concepito a memoria d'uomo.

«
La realtà è che in questo Paese ha operato e probabilmente sta operando da anni una vera e propria intelligence privatadell'informazione che non ha uguali in Occidente, un misto di titanismo primitivo e modernità, come spesso accade nelle tentazioni berlusconiane. Potremmo chiamarla, da Conrad, "struttura delta". Un'interposizione arbitraria e sofisticatissima, onnipotente perché occulta come la P2, capace di realizzare un'azione di "spin" su scala spettacolare, offuscando le notizie sgradite, enfatizzando quelle favorevoli, ruotando la giornata nel senso positivo per il Cavaliere.» [Ezio Mauro - La Struttura Delta - La Repubblica - 22 novembre 2007]

 Non comprate televisori. Non fatevi ingannare dalle pareti dei centri commerciali addobbate di 
monitor LCD sgargianti e luminosi, dalle caratteristiche tecniche dischermi al plasma sempre più definiti e piatti. Farete un mutuo per acquistarli e non potranno mai mostrarvi quello che non viene trasmesso. Pagare per esseremanipolati è il colmo.

 Comprate e regalate 
computer, connessioni alla rete, create consapevolezza.Risvegliate tutti.

Ground Annozero

Fonte:

Il quartiere generale comunica: “E’ stato richiesto un riequilibrio alla trasmissione di Michele Santoro nei servizi esterni. Il vignettista Vauro è stato sospeso per oltraggio ai defunti”. Con questo secco e autorevole comunicato il nuovo direttore generale della Rai, Masi, ha stabilito alcuni punti fermi. 

Il primo: i punti di equilibrio li stabilisce chi ha autorità e potere, non chi ha responsabilità di informare. Secondo: la “correzione” dell’equilibrio non passa da un organo giudicante, con accusa e difesa e dibattito. La “correzione” la decide a la impone chi ha autorità e potere. Terzo: in che modo si fa la “correzione”? Attraverso un atto di sottomissione e ubbidienza. Ubbidisci e basta. Meno domande fai e più mostri di meritare la tolleranza del potere. Quarto: ma c’è, inesorabile, secca, virile, la punizione. Il vignettista Vauro è sospeso fino a nuovo ordine. 

L’accusa è infamante: ha riso alle spalle dei defunti. Invece di saltare alla Alberto Sordi dalla scaletta di aerei ed elicotteri come il Presidente-Padrone Berlusconi (che intanto ordinava sondaggi su ogni nuovo saltino e nuovo arrivo e poi su ogni luccichio di occhio furbo e abbraccio da far scricchiolare le ossa all’anziana scampata) e come mezzo governo (compreso il ministro dell’Agricoltura Zaia, indispensabile ai soccorsi), invece dello starsene tutto il giorno in Aula, alla Camera, a Roma, a vegliare sulla sua legge sulle ronde e la caccia ai clandestini, come Roberto Maroni, ministro dell’Interno e dunque capo della macchina dei soccorsi.

Invece di far perdere tempo ai terremotati vivi e ai veri soccorritori Vauro ha irriso ai defunti. Come?

Ha detto che erano tanti, erano troppi. E il volume in crescita dei loculi sarà il solo vero piano-casa che si realizzerà in Italia. Si può perdonare una creatura così ignobile che ha portato l’unica consolazione possibile per i ragazzi sepolti della Casa di Sabbia dello Studente dove bravi italiani liberi e ricchi, responsabili di quella Casa, partecipano agli scenografici funerali con tutti gli onori? I fervidi credenti che immaginano gli studenti sepolti in un’altra vita non possono non pensare alla loro unica risata in cielo, merito di Vauro.

Squilibrio da correggere subito, probabilmente facendo incontrare Bertolaso con il cittadino di Onna che ha detto in “Annozero”: “Qui il primo aiuto è arrivato 23 ore dopo”. Presumibilmente sarà corretto con due schiaffi.

Però non è in discussione quello che è stato fatto. E’ in discussione da un lato la pretesa di santità in luogo del dovere compiuto, e per il quale tutti ringraziano senza parate. Dall’altro l’intervento pronto, netto, sovietico, con cui il direttore generale con anzianità di due giorni corregge, mette in equilibrio e punisce.

La legge di Masi contraddice l’intero ordinamento giuridico italiano e la Costituzione. La sospensione di Vauro umilia i cittadini, provoca un senso di estraneità e di rigetto. Il silenzio del nuovo Presidente fa pensare a misteriosi voti monastici, un segreto Codice Da Vinci che induce al silenzio.

E’ un silenzio troppo imbarazzante per non avere una grave ragione. Evidentemente, dopo che si sono espressi tutti coloro che parlano a nome di Berlusconi, chi parla contro deve temere molto.

Non piace la formula “sospeso fino a nuovo ordine” e “da riequilibrare”, tipo manicomio sovietico. Potrebbe riguardare non solo Vauro.

MEGLIO TACERE.

Furio Colombo 

mercoledì 15 aprile 2009

Grazie al cielo

Fonte:


La bufala del 5 per mille alle vittime del terremoto

Fonte:

Una trovata che sposta soldi dai volontari ai terremotati. Oppure dallo Stato allo Stato. La ricostruzione comincia con una partita di giro.

di Roberta Carlini, da 
www.sbilanciamoci.info, 13 aprile 2009


Tra qualche giorno, compilando la dichiarazione dei redditi, forse avremo la possibilità di donare il 5 per mille delle nostre tasse ai terremotati d'Abruzzo. Solidarietà, tempestività, soldi che vanno dalle tasse a chi ne ha bisogno: cosa c'è di meglio, per fare qualcosa di utile? Eppure, le cose non stanno proprio così, e dietro l'apparenza buonista del 5 per mille all'Abruzzo si cela più di un'insidia. Tanto per cominciare: il 5 per mille non è una tassa in più, è la destinazione di una piccola quota delle nostre tasse a soggetti che operano nello spazio del volontariato e della ricerca scientifica. In più, l'anno scorso si era aggiunta la possibilità di dare il 5 per mille anche al proprio Comune per progetti sociali. Dunque, destinando il 5 per mille ai terremotati non si hanno soldi “nuovi” (“veri”, direbbe Marcegaglia), ma si spostano fondi. Lo spostamento può avere due direzioni: 1) dal mondo del non profit ai terremotati; 2) dallo Stato ai terremotati. Vediamo come.

Nel 2006 – ultimo anno di cui si hanno i dati e i conteggi precisi – il 61% dei contribuenti ha espresso la sua scelta sul 5 per mille, per una somma totale di 400 milioni. Si tratta di una manifestazione di volontà molto ampia, rispetto a quella dei “cugini” dell'8 per mille: nel caso del finanziamento delle confessioni religiose, infatti, si esprime normalmente meno del 40% dei contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi. Se all'interno di quel 61% ci sarà un moto di solidarietà verso i terremotati, e dunque un cambiamento della scelta, questo andrà – per forza di cose – a scapito del volontariato, della ricerca, del non profit: molte delle associazioni della lunga lista del 5 per mille sono impegnate proprio in Abruzzo in questo momento, altre si occupano di altri drammi sociali, altre integrano la scarsa presenza dello Stato nella ricerca scientifica. Ci si potrebbe chiedere se, invece di spostare risorse dalla Croce Rossa o dalla ricerca contro il cancro ai terremotati (per fare solo due esempi) non sarebbe meglio spostarle dai proprietari di ville (che non pagano più l'Ici) a chi non ha più la casa.

C'è una seconda possibilità: che tutti i “dichiaranti” del 5 per mille mantengano la scelta fatta negli anni scorsi, e all'Abruzzo vadano altre risorse, provenienti da coloro che non mettevano nessuna firma al 5 per mille, o da coloro che, non presentano affatto la dichiarazione dei redditi, per manifestare la volontà sul proprio 5 per mille dovrebbero mandare un modulo apposito all'Agenzia delle Entrate (una strada poco usata per l'8 per mille, tant'è che adesso si è introdotta anche la possibilità di inviare la richiesta in via telematica dai Caf). Si può anzi supporre che – al contrario di quanto succede per l'8 per mille, dove come si sa il meccanismo di ripartizione premia comunque la confessione maggioritaria – lo Stato si attivi per far esprimere a tutti la propria scelta, e altrettanto facciano i Caf, i patronati, etc. In tal caso, i fondi si sposterebbero da un capitolo all'altro del bilancio dello Stato: il 5 per mille “aggiuntivo” (poniamo, 2-300 milioni) andrebbe tolto dal gettito generale e messo nel capitolo “terremotati d'Abruzzo”. In fondo, è quel che qualsiasi Stato civile dovrebbe fare, di fronte a una sciagura del genere: prendere i soldi delle tasse e metterli lì. Ma in questo caso si tratta tutto sommato di pochi soldi, e - soprattutto - non sono risorse aggiuntive, dunque il problema del finanziamento – con altre tasse, o tagli di spesa o debito - resta immutato.
Si dirà: però così si fa prima, le tasse le paghiamo adesso, e mandiamo subito i soldi in Abruzzo. Ma anche questa è un'illusione ottica. Come si è visto prima, la ripartizione del 5 per mille del 2007 è ancora in corso. Dunque, bene che vada ci vogliono due anni per sapere come hanno “votato” gli italiani nelle loro dichiarazioni dei redditi. Dunque, il 5 per mille ai terremotati è una gigantesca bufala: ben che vada, sposta soldi da un capitolo all'altro del bilancio pubblico; mal che vada, toglie soldi al volontariato e alla società civile. Tutto in nome della bontà.

Punirne uno, per educarne cento

Fonte:



Vignetta di Vauro

La 
censura scattata contro Vauro e l'ordine impartito a Michele Santoro di "riequilibrare" nella puntata di domani di Annozero quanto raccontato giovedì scorso nei servizi sul terremoto, sono un crimine contro la libertà di parola. In qualsiasi democrazia liberale idee e opinioni possono essere sempre espresse. L'unico limite è quello dettato dal codice penale: posso dire quello che voglio, ma non posso calunniare o diffamare chi critico.

Nessuno ad oggi è stato in grado non di affermare, ma nemmeno di ipotizzare, che Vauro o i giornalisti di Annozero abbiano commesso qualche reato o detto falsità occupandosi del sisma in Abruzzo. Molte, se non tutte, le domande sollevate durante la trasmissione sono anzi 
rimaste senza risposta.

L'intervento del direttore generale della Rai, 
Mauro Masi, è dunque semplicemente sbagliato e dimostra ancora una volta come l'azienda radiotelevisiva di Stato non sia più un servizio pubblico, ma solo una tv al servizio dei partiti. I partiti sono i padroni di viale Mazzini e visto che più o meno tutti i partiti (compreso il Pd) hanno detto che la puntata non era piaciuta, l'editore, come avrebbe fatto qualsiasi altro editore privato, è corso ai ripari. Vauro è stato "sospeso" e ai collaboratori e ai dipendenti Rai è stato dato un segnale preciso: qui si fa come vogliamo noi.

Restano due problemi. Il primo: il servizio pubblico è del pubblico, cioè dei telespettatori. Tra di essi vi sono milioni di persone che, pur essendo in minoranza nel Paese, 
hanno diritto di veder rappresentato il loro punto di vista. Annozero e Vauro hanno insomma il diritto di andare liberamente in onda esattamente come ha il diritto di andare in onda Bruno Vespa o Gianluigi Paragone.

Ovviamente sia Santoro, che Vespa, che Berlusconi, Di Pietro o Franceschini, sono criticabili. Personalmente non condivido una parola del pensiero di 
Aldo Grasso che dalle colonne de "Il Corriere della Sera" ha accusato Annozero di «abuso di libertà» dando di fatto il via all'intervento in stile sovietico della politica italiana. Ma credo che Grasso abbia tutto il diritto di esprimere ciò che pensa e, parafrasando Voltaire, sarei disposto a dare la vita per difendere il suo diritto. 

E qui veniamo al secondo problema: quanti tra i sedicenti 
liberali alle vongoleprotagonisti della vita pubblica italiana, politici, editorialisti, direttori di giornali, capitani d'industria, prenderanno posizione per difendere non Santoro o Vauro, ma un principio? Io credo pochi. Perché la libertà di parola nasce nel '700 per poter parlare male di chi stava al potere. Per parlarne bene, infatti, c'erano già i cortigiani. C'erano allora e ci sono ancora. 
(Vignetta di Vauro)

Anno Zero delle libertà

Fonte:


Marco Cedolin
Non sono mai stato un grande estimatore di Michele Santoro, né ho mai considerato le trasmissioni da lui condotte nel corso della sua carriera un esempio da seguire in termini di analisi critica ed obiettiva. Santoro ha sempre fatto giornalismo partendo da un’appartenenza politica ben definita, così come altri in Italia lo hanno fatto e continuano a farlo ispirandosi a posizioni politiche molto differenti, penso aBruno Vespa, quando non diametralmente opposte, come Emilio Fede.
A prescindere dal 
livello qualitativo dell’informazione esperita da parte dei vari soggetti, la pluralità di pensiero (che in Italia è sempre stata molto scarsa) dovrebbe stare alla base di qualunque sistema mediatico abbia l’ambizione di considerarsi “libero” e di qualunque formazione politica consideri la “libertà” un valore fondante della propria identità.

Proprio per questa ragione si fatica a comprendere la veemenza con la quale ministri e uomini politici del “popolo delle libertà” si ostinano ad accanirsi contro la trasmissione “Anno Zero” di Santoro, domandandone la chiusura ogni qualvolta all’interno di essa vengono trattati argomenti scottanti, partendo da un’angolazione di lettura differente dalla loro.
Anno Zero non rappresenta sicuramente il punto di arrivo della “buona informazione”, però bisogna riconoscere alla trasmissione di Santoro il merito di avere ricoperto negli ultimi anni il ruolo dell’unica voce dissonante (in comproprietà con Report della Gabanelli che però ha un format totalmente differente) all’interno di un panorama di giornalismo televisivo assolutamente appiattito sulla logica del 
totale servilismo nei confronti del PDL e del PD. Non è infatti un caso che unicamente nell’ambito di Anno Zero si siano potuti apprezzare servizi e dibattiti sull'argomento rifiuti, sul massacro di Gaza e sulla tragedia del terremoto in Abruzzo, che andassero oltre la cortina di disinformazione portata avanti da tutti coloro che fanno “giornalismo” in televisione.

L’ostinazione a voler cantare fuori dal coro sembra essere costata cara tanto a Santoro quanto al vignettista Vauro, in quanto il direttore generale Rai, Mauro Masi, dando seguito all’indignazione espressa da Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi in merito alla puntata dedicata al terremoto in Abruzzo, ha deciso di prendere provvedimenti.
Vauro sarà sospeso, a causa di una sua vignetta giudicata "gravemente lesiva dei sentimenti di pietà dei defunti e in contrasto con i doveri e la missione del servizio pubblico".
Santoro nella prossima puntata (quella di domani) dovrà in qualche modo condurre una trasmissione che metta in luce le qualità magicali del governo e di Guido Bertolaso, nell’avere gestito al meglio la catastrofe, smentendo di fatto i servizi mandati in onda nella puntata precedente.
Il tutto ovviamente al fine di “riequilibrare” (tacitare sarebbe stato senza dubbio più corretto) il servizio informativo.

Ciò che più stupisce di questa vicenda è come proprio nell’ambito di una tragedia come il terremoto d’Abruzzo, durante la quale è emersa in maniera adamantina la dicotomia fra 
l'informazione imbavagliata dei grandi media, condita di luoghi comuni, servizi pilotati, assoluta mancanza di senso critico, passerelle politiche e battute di pessimo gusto del Cavaliere e l’informazione libera proposta sul web, dove si sono potute suggere le uniche “notizie” degne di questo nome, con relativi approfondimenti, si sia ritenuto di dover calare la scure della censura proprio nei confronti della sola trasmissione che abbia tentato di avvicinare i due mondi. Uno fatto di plastica e preconfezionato, all’indirizzo di teleutenti che si vorrebbero acritici e supini, l’altro fatto dalla gente e per la gente che vorrebbe capire e comprendere i termini di una tragedia di siffatte proporzioni.
Costringere il conduttore di Anno Zero a mandare in onda una puntata nella quale dovrà dire esattamente quello che in TV dicono tutti gli altri, oltre a manifestarsi come una coercizione assolutamente priva di senso, rappresenta solamente un puerile tentativo di ribadire quale distanza siderale separi ormai l’informazione della TV, dalle persone che i giornalisti televisivi avrebbero la pretesa d’informare pur senza essere in grado di farlo. E a questo riguardo, se si nutrisse la velleità di riequilibrare realmente il servizio informativo, non basterebbero 100 puntate di trasmissioni come Anno Zero, per ottenere qualche risultato in termini di credibilità.

martedì 14 aprile 2009

TERREMOTO E SEGRETI

Fonte:

Di Solange Manfredi

Dopo il terremoto che ha colpito l'Abruzzo vari paesi esteri ci hanno offerto aiuto. Erano pronti ad inviare uomini e mezzi. Il Governo ha rifiutato affermando che non ne avevamo bisogno.

Berlusconi ha rilasciato la seguente dichiarazione: "Ringraziamo i paesi stranieri per la loro solidarietà, ma invitiamo a non inviare qui i loro aiuti. Siamo in grado di rispondere da soli alle esigenze, siamo un popolo fiero e di benessere, li ringrazio ma bastiamo da soli”.

Siamo in grado di rispondere da soli alle esigenze? Siamo un popolo fiero e di benessere? Bastiamo da soli? Ma se i terremotati dell'Irpinia è trent'anni che vivono in prefabbricati e cenano con pantegane che sono più grandi del mio cane (che pesa 45 kg).

Lì per lì ho pensato che il rifiuto fosse stato motivato dal fatto che è più difficile rubare se hai accanto volontari di paesi esteri dove per una evasione fiscale vai in galera per trent'anni. Potrebbero non capire che, da noi, in Italia fa curriculum avere una, o due, condanne passate in giudicato per entrare in parlamento, e che rubare gli aiuti a chi è stato colpito da una calamità è una prassi consolidata.

Poi ho letto che il Governo ha rifiutato gli aiuti di uomini e mezzi, ma accetterà volentieri quelli economici........sempre, ovviamente, perché siamo un popolo fiero e benestante.....soprattutto stanno molto bene quelli che riescono a rubare di più, ad aggiudicarsi la ricostruzione e non ricostruire o, nella migliore delle ipotesi, costruire con cemento “disarmato”.

Poi, però, una domanda mi è sorta spontanea: perché l'Italia non vuole personale straniero nelle zone colpite dal terremoto?
Così ho provato a cercare di capire cosa potesse esserci di “particolare” in quelle zone, in aiuto mi è arrivata la segnalazione di un nostro lettore.


Due i risultati:

1. Sotto il Gran Sasso, a 1.400 metri sotto terra ci sono i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS), i più grandi laboratori scientifici sotterranei del mondo. Detti laboratori sono di proprietà dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). In cosa consistano questi esperimenti è facile immaginarlo trattandosi di FISICA NUCLEARE, comunque qualcosa, solo qualcosa, è consultabile visitando il sito:http://www.lngs.infn.it/home_it.htm .

Quanto materiale chimico, radioattivo, nucleare era presente nei laboratori al momento del sisma? Quali esperimenti erano in corso? Ma sopratutto quali e quanti danni ha subito la struttura? Perché i media non fanno un solo cenno a tutto ciò? Interi paesi sono distrutti, l'Aquila è una città fantasma e del più grande laboratorio di fisica nucleare del mondo, situato a 1400 metri di profondità sotto il Gran Sasso, zona colpita dal sisma, non si dice nulla? Se le strutture hanno retto perché non dirlo? Cosa successo a 1400 metri di profondità?

2. Vicino a Sulmona, poi, sotto le colline di S. Cosimo vi è un notevole deposito militare, chilometri di tunnel sotterranei con tanto di ferrovia privata. Meno di un anno fa, il deposito di San Cosimo è stato al centro di un'aspra polemica che aveva costretto il generale di Corpo d'Armata Giorgio Ruggeri ad affermare: “Nel deposito militare di San Cosimo non c'è nulla che possa rappresentare un rischio ambientale o una contaminazione radiologica pericolosa per la salute della popolazione residente. Posso affermare con estrema certezza che gli ipotetici casi di malattia non sarebbero assolutamente collegati alla presenza del deposito e che non sarà smantellato perché rappresenta per l'Esercito una presenza strategica sul territorio”.

Personalmente non mi fido molto delle rassicurazioni date dall'esercito, sopratutto dopo quanto fatto con i nostri soldati e l'Uranio impoverito ( articolo su questo bloghttp://paolofranceschetti.blogspot.com/2007/12/vergognamoci-per-loro-3-migliaia-di.html )
in cui ricordiamo 2000 nostri soldati che hanno partecipato alle missioni all'estero sono tornati ammalati di tumore.

Dal 1977 vi erano circolari e relazioni scientifiche che avvertivano del pericolo dell'esposizione dei militari alle particelle di uranio impoverito, scarto nucleare usato per rafforzare gli armamenti. Dal 1984, erano state emanate, dalla Nato, precise norme di protezione per chi operava nelle zone a rischio. Ma l'Italia, che pure fa parte della Nato, sino al 1999 non recepisce.

Ma la vergogna più grande avviene dopo. Infatti, i nostri soldati, una volta ammalati, hanno chiesto un indennizzo al Ministero. Sapete cosa dovevano firmare per poter ottenere l'indennizzo? Dovevano firmare un foglio in cui affermavano di essersi ammalati per paura! Si esattamente così. Non per l'uranio impoverito, la cui pericolosità è provata da innumerevoli relazioni scientifiche, ma per “strizza da sentinella”.

Ora, se l'esercito tiene questo comportamento con i suoi soldati, con buona pace dello “spirito di corpo”, mi riesce difficile pensare che possa comportarsi con maggiore correttezza con la c.d. “popolazione civile”.

Ma, a parte questa mia considerazione personale, la domanda è un'altra: ha subito danni quel deposito? Se si, quali e quanti? Anche in questo caso, da parte dei media, assoluto silenzio. Segreto di Stato!

Dunque, nella zona colpita dal terremoto ci sono:

- il più grande laboratorio sotterraneo di fisica NUCLEARE del mondo;

- un deposito di armi (non si sa quali) ed esplosivi con tanto di ferrovia privata.
Perché nessuno ne parla? Cosa è successo a quelle strutture? Sono state danneggiate? Ci possono essere state fuoriuscite di materiale radioattivo?

Nulla, il più assoluto silenzio, meglio fare un servizio giornalistico sulle uova di pasqua nelle tendopoli.

Annozero, l’infamia di informare

Fonte:

Che l’abbiano visto a no, tutti ormai in Italia sanno della puntata di “Annozero” e dell’infame lavoro svolto da Michele Santoro la sera di giovedì 9 aprile. A giudicare da corsivi, editoriali, interventi e paginate dei migliori giornali di destra (ma non solo di destra) Santoro è stato molto più malvagio del clan dei Casalesi e assai più dannoso del terremoto.

L’impressione di chi non avesse visto la trasmissione, normale collezione di critiche e dubbi su costruzioni, corruzioni e disattenzioni che hanno aggravato il danno del terremoto, e spazio per voci e immagini di chi ha voluto denunciare ritardi, omissioni, assenze, solitudini, è che si sia trattato di un gratuito e fantasioso gioco di diffamazione per pura cattiveria, o per biechi fini politici.

Tutti sanno che i soccorsi in Abruzzo sono stati imponenti e persino i critici instancabili di Berlusconi hanno dovuto prendere atto dell’efficace presenzialismo del Presidente-Padrone. Ma se voci e testimonianze di vuoti, di ritardi, di errori anche gravi ci sono, qual’è l’impegno professionale di un giornalista, negare e zittire e unirsi al coro della celebrazione?

Non dimentichiamo una curiosa, interessante analogia. Le stesse televisioni che nel pieno dello spaventoso terremoto non hanno interrotto né cambiato i loro programmi notturni per più di mezz’ora (radio comprese, con la sola eccezione di Radio Rock), poi si sono vantate di presenza perenne e di vigilanza inflessibile a fianco dei colpiti dal sisma.

Santoro non è stato al gioco della protezione civile “santa subito”. Vero, la protezione civile ha fatto tante cose. Ma se molta gente ha da raccontare altre storie, il dovere è di farli tacere? Pare di sì o sei un infame.

Va bene, lo dicono i giornali di Berlusconi che, dopo aver pagato il suo prezzo di alzatacce, vuole il dovuto tributo e ordina persino sondaggi per misurare il suo trionfo sulle macerie. La macerie sono tante ma anche il trionfo, dicono i sondaggi, è notevole.

Come si permette allora quel verme di Santoro di guastare la festa? Dove sta scritto nel mondo di Berlusconi, che un giornalista deve dare notizie, specialmente se stonate e sgradevoli? Ma ecco il punto alto della Repubblica di Newslandia, il Paese della informazione perfetta.

Ve lo racconta Aldo Grasso in persona, sul “Corriere della Sera” appena descritto come il luogo giusto per scrivere e per leggere, dal nuovo Direttore. Ecco l’indimenticabile “motivazione al valor giornalistico”:
“Santoro si è sentito in dovere di metterci in guardia dalla speculazione incombente, di seminare zizzania con i morti ancora sotto le macerie, di descrivere l’Italia come il paese dei furbi incapaci di rispettare le leggi. Santoro la chiama libertà di informazione. Esistono gli abusi edilizi, ma forse anche gli abusi di libertà”.

AH, SE DE BORTOLI AVESSE LETTO QUESTE RIGHE ESEMPLARI PRIMA DI SCRIVERE IL SUO ORMAI CELEBRE DISCORSO AI REDATTORI DEL CORRIERE.

Furio Colombo

Milano: un contadino in città

Fonte:
La frattura tra città e campagna è definitiva? Oppure c'è ancora un modo per ricucire il rapporto con la propria terra anche vivendo in contesti urbani? Vivere in un quartiere popolare di Milano un pezzetto di autoproduzione in armonia con il mondo contadino è allo stesso tempo un gesto rivoluzionario e conservatore che permette di ribellarsi al mondo delle merci e riscoprire la sapienza dei nostri nonni.

di Massimo De Maio

bicicletta
Anche in città può essere comodo e piacevole muoversi in bici
Sabato pomeriggio, ore 18:00, inforco la mia bicicletta e comincio a pedalare in direzione nord. Dopo dieci minuti mi lascio alle spalle gli ultimi scampoli di cemento e lo sguardo si allarga sorvolando i campi fino a scorgere le cime prealpine. Sono fortunato. Oggi ha piovuto, l'aria è tersa e in cielo c'è qualche nube. La presenza delle nuvole è segno che oggi in questa pianura, che è tra i quattro posti più inquinati del mondo, il cielo è un po' più pulito. Solitamente l'inquinamento impedisce alle nubi di formarsi e dona a Milano quel tipico cielo grigio uniforme.

Mentre le pedalate sembrano alimentare anche i miei pensieri, giungo al bivio per Bollate. Ancora cinque minuti e sarò alla cascina. Nelle borse sistemate a cavallo della ruota posteriore ci sono sei bottiglie di vetro. Le uso ormai da un paio di anni per trasportare il latte che l'azienda agricola “Furia” mi vende alla spina, direttamente senza intermediari. Sono sempre le stesse, lavate e riusate qualche centinaio di volte. Due anni di rifiuti evitati. Ecco, dopo la curva c'è il sottopasso e poi sono arrivato.

Lego la bici alla cancellata: siamo ancora troppo vicini a Milano, meglio non fidarsi. Il mio velocipede si trova sotto una bandiera gialla della Coldiretti che sembra indicare un presidio di “resistenza contadina” al globale che avanza. A quando, mi chiedo, il latte fresco cinese? Entro nella casetta di legno che i signori Fortini hanno costruito per metterci i distributori automatici di latte crudo alla spina. Fino all'anno scorso avevano un solo distributore. Adesso ne hanno due e quando vengo a prendere il latte c'è sempre qualche altro cliente prima di me.

latte
L'azienda agricola “Furia” vende latte alla spina, direttamente, senza intermediari
Aspetto il mio turno, poi la figlia della signora Fortini mi aiuta a riempire le mie bottiglie. Scambiamo come sempre qualche chiacchiera. Lei si lamenta del fatto che i fratelli la lasciano sempre da sola e che spesso non ce la fa a servire i clienti. Bene, penso, il popolo che beve latte sano, economico e ecologico si ingrossa sempre di più! Poi penso alla panna del latte non pastorizzato che sto acquistando, guardo la mia pancia e penso che lo stesso popolo ingrassa sempre di più!

Già che ci sono compro anche delle uova fresche di giornata. Sono di dimensione e colore diverso e mi chiedo come facciano al supermercato a vendere uova tutte perfettamente uguali. Per ridurre i costi e aumentare i profitti avranno standardizzato anche i culi delle galline?

Riparto per tornare a casa. Venti minuti e sono in cortile a legare di nuovo la bici alla rastrelliera. Questa volta niente bandiere. Il tessuto urbano non resiste al globale che avanza, anzi, vengo raggiunto dalla palla della bimba sudamericana che gioca da sola in cortile. Penso alla sua famiglia sradicata dalla propria terra e catapultata in qualche impresa di pulizia a fare uno di quei lavori “che gli italiani non vogliono più fare”. Forse perchè precarizzati, sfruttati e sottopagati?

Bando ai cattivi pensieri. Sono contento e sorrido alla inconsapevole bimba. Anche oggi ho risparmiato i soldi della palestra, che qui a Milano si chiama “Fitness club”, costa “un botto” e richiede fisico ed abbigliamento adeguati nonchè una certa predisposizione ad ingurgitare acqua colorata “per reintegrare i sali minerali”.

Sono le 19:00, metto su la pentola, e verso quattro dei sei litri di latte che ho comprato e accendo il fuoco. D'estate ho circa cinque minuti di tempo prima che il latte raggiunga i trentasette gradi. Ne approfitto per mettermi comodo e bere un po' di succo di mela fatto in casa che ci hanno regalato alcuni amici di Trento. Scambio qualche parola con Emanuela che sta finendo di cucire una gonna. Il gatto che sonnecchia, come sempre sul divano, apre un occhio per scrutarci quasi come per assicurarsi che tutto vada bene, poi subito lo richiude. Ritorno alla pentola, controllo la temperatura del latte con il termometro ad alcool: ci siamo. Verso il caglio e dò una mescolata.

farina
La farina, invece, è quella di Maurizio, uno straordinario contadino “colto”
Ho circa venti minuti per la formazione della cagliata. Sistemo sulla spianatoia farina, zucchero, uova fresche, il barattolo del sale e l'ingrediente segreto: lo strutto che ha fatto mia madre regalandomene un vasetto. La farina, invece, è quella di Maurizio, uno straordinario contadino “colto” con i tratti somatici e i capelli biondi e lunghi di uno svedese, che ha fondato più di vent'anni fa una cooperativa agricola biologica tra Cremona e Mantova e ora rifornisce i Gruppi d'Acquisto come quello di cui facciamo parte. La pastafrolla ha bisogno di essere impastata poco, così, quando la cagliata è pronta per essere spezzata, è pronto anche il panetto che da lì a poco si trasformerà in biscotti di varie forme e in una base per una crostata.

Lascio riposare il panetto di pastafrolla e torno alla pentola con il latte, che ora ha la consistenza di un budino. Rompo la cagliata con una frusta da cucina, con un colino la separo dal siero e la verso nelle fuscelle. In un paio di formette più piccole aggiungo del peperoncino per fare dei tomini più sfiziosi. Lascio sgocciolare il formaggio fresco nelle fuscelle e torno alla mia pastafrolla.

Taglio via un pezzo dal panetto, lo stendo, ritaglio i biscotti che posiziono in una teglia imburrata e con la parte restante ci faccio la base della crostata che preparo con la marmellata fatta in casa regalatami da un giovane e simpaticissino assessore di un paesino in provincia di Bologna. Anche lui, convinto autoproduttore, per qualche anno ha vissuto in un casolare senza riscaldamento sul Muggello. Guarnisco la crostata con delle fette di mela. Utilizzo una delle mele acquistate tramite gruppo d'acquisto da una cooperativa di giovani contadini biologici di Novara che ha recuperato diverse varietà destinate all'estinzione dall'agricoltura industrializzata e votata alla monocoltura. Tra queste c'è anche una straordinaria varietà di mele di origini celtiche.

soldi
L'autoproduzione consente di risparmiare tempo e denaro. Il guadagno è in termini di qualità del cibo.
Quando impasto il mio pane fatto in casa, quando rompo la cagliata per autoprodurmi del formaggio fresco,sento che nelle mie mani rivive il saper fare di mio nonno fornaio e di mia nonna contadina. È come se ristabilissi un contatto con loro saltando a pie' pari la generazione dei miei genitori. Quella degli anni sessanta, del boom economico e delle merci a buon mercato per tutti. Anche la mia compagna quando cuce recupera il saper fare della nonna sarta saltando la generazione delle nostre mamme, assidue frequentatrici di saldi di fine stagione. In fondo, non ci vuole molto.

Per autoprodurre parte del nostro cibo impieghiamo meno di un pomeriggio passato in un centro commerciale e spendiamo un terzo dei soldi necessari per comprare merci analoghe di peggiore qualità.

Sono da poco passate le 20:00, inforno i prodotti che serviranno per la prima colazione di una settimana intera e passo all'impasto del pane. Stasera sono pigro. Userò l'impastatrice elettrica al posto delle braccia e il lievito di birra al posto di quello naturale: ci verso circa mezzo litro d'acqua tiepida, il lievito di birra preventivamente sciolto in una parte dell'acqua, la farina e, in alto, distante dal lievito altrimenti blocca la fermentazione, un po' di sale. Avvio la macchina e mi riposo un po'. Nel frattempo Emanuela, ha finito di cucire la cerniera alla gonna, ha preparato la cena e ha messo mezzo litro di latte nella yogurtiera con un po' di yogurt tenuto da parte dalla precedente “produzione”. Durante la notte qualche milione di fermenti lattici lavorerà per noi e a colazione nei prossimi giorni avremo anche dell'ottimo yogurt sano, economico ed ecologico.

Prima di sedermi a tavola tiro fuori dal forno biscotti e crostata. La casa si è riempita del profumo della pastafrolla fatta con lo strutto e la ricetta di mamma. Dopo cena tiro fuori l'impasto del pane dalla macchina e lo metto a riposare in una grande ciotola coperta da uno straccio umido. Lo cuocerò domattina, con calma, in modo che possa lievitare bene.

È ancora presto ed è una bella sera d'estate. Usciamo a bere una birra con degli amici. Come fanno tanti altri milanesi il sabato sera.