sabato 4 aprile 2009

Centrali domestiche

Fonte:

“Scommetto che in Italia non ci sarà nessuna centrale nucleare”.

Lo ha dichiarato l’economista Jeremy Rifkin durante un incontro con gli studenti dell’università La Sapienza di Roma, in occasione dei dieci anni compiuti da Banca Etica.

Secondo Rifkin infatti la quantità di energia che le centrali nucleari riescono a produrre è un’inezia: “Oggi in tutto il mondo sono presenti 439 centrali che realizzano solo il 5% dell’energia.

Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate. E nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se lo fossero tutte si tratterebbe sempre di un risparmio del 5%. Ora, per avere un qualche impatto sull’ambiente, si dovrebbero ridurre del 20% le emissioni di Co2.

Bisognerebbe dunque costruire almeno 3 centrali ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni. Così si fornirebbe il 20% di energia totale, la soglia critica che comincia a fare una differenza. Ma, è evidente che questo non è possibile”.

“Inoltre -ha ricordato Rifkin- “nel 2025 le scorte di uranio si esauriranno” e “giànon c’è abbastanza acqua per raffreddare i reattori, basti pensare che solo la Francia utilizza il 40% delle risorse idriche a questo scopo”.

C’é poi il problema delle scorie. “Non sappiamo ancora come trasportarle e stoccarle. Gli Stati Uniti hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all’interno di montagne dove sarebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Invece, hanno già cominciato a contaminare l’area”.

Rifkin propone di “fare diventare le nostre case centrali energetiche”. “Dobbiamo trovare l’energia nel nostro giardino, prendendola dal terreno e dal sole”, solo così si possono risolvere i problemi legati alla scarsità delle risorse energetiche e alle emissioni inquinanti.

Inoltre, per trovare un accordo sul tema, in vista del vertice di Copenaghen sul clima, ha invitato i governi a presentare dei programmi che non assomiglino a “punizioni ma a opportunità”. Per quanto riguarda i cittadini, Rifkin ha consigliato di iniziare a “ridurre il consumo di carne” e ad “adottare la dieta mediterranea”. Infatti, secondo l’economista “il 37% delle emissioni di metano e anche una parte di quelle di anidride carbonica” sono proprio dovute alla produzione di carne.

Rivolte anti-banche e disinformazione

Fonte:


Parlamento Europeo - Roberto Vassalle (1 aprile 2009)

Fonte:


giovedì 2 aprile 2009

Lettera del sindaco di San Francisco al sindaco di Parma

Fonte:

Scritto da Gavin Newsom   
giovedì 02 aprile 2009

di Gavin Newsom

Caro Sindaco di Parma,

Sono profondamente preoccupato nell’apprendere che Parma sta considerando l’incenerimento degli scarti dei suoi cittadini come un sistema di gestione dei rifiuti. Come sindaco di una città grande, geograficamente complessa e fisicamente costretta desidero portate alla sua attenzione il successo di San Francisco: noi ricicliamo e compostiamo il 70% del flusso dei nostri rifiuti.

Dal nostro rifiuto organico noi creiamo un compost che è fortemente richiesto, che arricchisce il nostro terreno, che ci fa risparmiare acqua, che riduce il ricorso a pesticidi e fertilizzanti mentre fissa l’anidride carbonica sottraendola all’atmosfera. In più, ci fa ottenere splendidi prodotti. In precedenza tutto questo finiva in discarica. Ma l’incenerimento ha impatti

ancora maggiori e più negativi sull’atmosfera.

Parma è al centro della regione Emilia Romagna, patria di alcuni dei cibi più famosi e prelibati al mondo. Questo ben di Dio agricolo è l’eredità che avete avuto dal vostro terreno e dai vostri contadini. Negli Stati Uniti San Francisco è ugualmente un centro di produzione agricola ed alimentare. Qui i nostri rifiuti ci forniscono il più ricco dei compost organici per la frutta, per la verdura e per i vini biologici.

Io esorto il sindaco di Parma a venire a visitare San Francisco, così come hanno fatto oltre cento sindaci in occasione del World Environment Day nel 2005. A lui mostrerò personalmente come recuperiamo, a nostro beneficio, oltre il 70% dei rifiuti che produciamo.

Ciao,

Gavin Newsom

mercoledì 1 aprile 2009

Crisi: bollettino di guerra da quelli a bolletta

Fonte:

La primavera di fuoco è cominciata. L’Europa è in subbuglio. In Francia gli operai creditori degli stipendi hanno cominciato a sequestrare i datori di lavoro.
In Grecia ogni giorno si contano disordini, dalla Tessaglia al Peloponneso, Atene compresa. Quelle poche agenzie che si leggono in merito, dicono che ce l’hanno ancora coi poliziotti che hanno ammazzato un ragazzino qualche mese fa. Ma in realtà i riottosi sono tutti disoccupati.
L’Ungheria è sul baratro. Il primo ministro si è dovuto dimettere. L’Austria è sull’orlo del precipizio. Le sue maggiori banche hanno crediti con i paesi dell’est di importi che vanno ben oltre la ricchezza totale annuale prodotta dal paese asburgico.
Lettonia e Lituania sono nel caos. La Romania vacilla assieme al governo bulgaro.
La Spagna ha il primato europeo di nuovi senza lavoro dell’ultimo anno. In Svezia chiudono decine di aziende e la disoccupazione si fa sentire, esattamente come in Norvegia.

In Italia ogni giorno ci sono dirigenti e capi azienda che fanno richiesta di cassa integrazione: 30 operai qua, 20 impiegati là e via di questo passo. Aziende senza commesse, cariche di debiti e di crediti che non riescono più a pagare gli stipendi ai loro dipendenti. E di conseguenza l’erario.
La cassa integrazione la paga l’Inps ma se all’Inps entrano meno soldi di quelli che devono uscire, fra un po’ la cassa integrazione non si pagherà più. Susanna Camusso, leader della Cgil, ha detto che il crack delle casse integrazioni avverrà fra 2 mesi.

Intanto i furtarelli di prosciutto e aranciate nei supermercati sono in sensibile crescita. I nuovi ladri sono giovani precari, madri con bebè a carico e pensionati.
In tutte le città ci si arrangia come si può. A Roma, addirittura a fianco del Senato dove si fanno le leggi, c’è un cantiere edile in cui lavorano, fra gli altri, pensionati a nero perché il loro introito “sociale” non basta per vivere.
Berlusconi si dice preoccupato. Alla buon’ ora. Quando è ormai tardi.
L’economia dovrà rivoltarsi come un calzino ma per farlo dovrà lasciare sul campo delle vittime. 
La storia lo insegna.
Io spero in una crisi forte, fortissima. Peggiore sarà, prima cadranno Berlusconi, Alfano, Dell’Utri e Schifani.
Viva la crisi.

E' questa la decrescita?

Fonte:

Marco Cedolin

La crisi economica mondiale sta producendo una recessione che diviene ogni giorno più profonda. Stando alle stime dell’Ocse il Pil italiano scenderà del 4,3% (il calo medio previsto per l’area euro è del 4,1%) nel corso del 2009. La produzione industriale nel mese di marzo è diminuita del 20,1% rispetto a marzo 2008. Il tasso di disoccupazione è previsto in crescita nell’anno in corso dal 6,8 al 9,2%, per arrivare al 10,7% nel 2010. Perfino l’ottimismo modello Unieuro di Silvio Berlusconi sembra venire meno, di fronte al fatto che durante il G8 di Roma è stata ventilata la perdita di 20 milioni di posti di lavoro a livello mondiale entro il 2010.
Consumi che si 
contraggono notevolmente, fabbriche che chiudono o delocalizzano la produzione nei paesi a basso costo di manodopera, opportunità di lavoro che si riducono drasticamente, tenore di vita di molte famiglie in caduta libera, insofferenza sociale che in alcuni paesi (non l’Italia) sta iniziando a raggiungere il livello critico, sono tutti elementi di una nuova realtà, per molti versi antitetica rispetto a quella degli ultimi decenni del secolo scorso, vissuti all’insegna della crescita e dello sviluppo.

Alcuni elementi di questa nuova realtà, la diminuzione del Pil e della produzione su tutti, potrebbero indurre a credere che la profonda recessione (parola sdoganata solo di recente) in cui siamo entrati, 
somigli in fondo molto da vicino alla società della decrescita, teorizzata da lungo tempo da molti studiosi, fra i quali Serge Latouche, Maurizio Pallante, Nicholas Georgescu-Roegen, Alain De Benoist e Gilbert Rist. Sempre più frequentemente chi ha una conoscenza parcellare dell’argomento, non avendo potuto o voluto studiarlo più in profondità, sta maturando la percezione che la decrescita felice di Pallante o quella serena di Latouche non siano molto diverse dall’Italia (o per meglio dire l’Europa) che giocoforza sarà costretto a vivere nel corso dei prossimi anni.

Questa percezione, basata sul fatto che la 
diminuzione del Pil e la riduzione dei consumi superflui costituiscono parte integrante della filosofia della decrescita, risulta profondamente sbagliata, poiché il pensiero della decrescita rappresenta in realtà l’antitesi della situazione che stiamo vivendo, caratterizzata da una società profondamente malata che non riesce più a crescere, pur rimanendo fondata sui dogmi della crescita e dello sviluppo.
Nel pensiero di tutti coloro che hanno teorizzato e praticato fino ad oggi la decrescita, il calo del Pil e dei consumi superflui s’inserisce in maniera armonica all’interno di un contesto profondamente diverso da quello attuale ed è finalizzato ad ottenere un maggiore benessere individuale e ad una migliore qualità della vita. Il tutto ovviamente nell’ottica della consapevolezza che il pianeta non sarebbe in grado di sostenere a lungo (tanto ambientalmente quanto socialmente) una crescita bulimica come quella sperimentata nella seconda metà del 900.

La diminuzione del Pil a lungo auspicata dai fautori della decrescita non è quella determinata dalla chiusura generalizzata delle fabbriche e degli esercizi commerciali, che si traduce nella profonda disoccupazione, nella 
carestia e nell’emarginazione sociale. Bensì una riduzione del Pil ottenuta riducendo gli sprechi ed i consumi superflui, per indirizzare le risorse risparmiate verso la creazione di opportunità occupazionali più abbondanti e gratificanti di quelle finora offerte dalla società della crescita. Così come la diminuzione del consumo di merci (acquistate per mezzo del denaro contribuendo ad innalzare il Pil) non sottende stenti e privazioni, dal momento che esse saranno sostituite dai beni ottenuti attraverso l’autoproduzione, lo scambio ed il dono, che non incrementeranno il Pil ma risulteranno di maggiore qualità.
Nel pensiero della decrescita si auspica la costruzione di una società che sostituisca la macroeconomia globalizzata con microeconomie autocentrate, che valorizzi le risorse locali e le identità culturali, interpretando la diversità come un valore aggiunto da non disperdere attraverso l’appiattimento e l’omologazione.
L’individuo che attraverso l’autoproduzione, gli scambi non mercantili e la reciprocità, riduce la propria dipendenza da merci e servizi acquistati per mezzo del denaro è un individuo più felice e più libero. Acquistare in piccoli punti vendita di prossimità prodotti alimentari locali di qualità che non hanno compiuto viaggi di migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole è sicuramente preferibile rispetto all’acquisto fra gli scaffali di un ipermercato di alimenti che arrivano dai quattro angoli del globo, trasportati da mezzi energivori ed inquinanti.
Ripopolare le campagne e le montagne riscoprendo un rapporto armonico con l’ambiente nel quale viviamo, recuperando la ciclicità dei ritmi naturali è certo più stimolante rispetto a continuare a vivere nelle periferie delle grandi metropoli atomizzate, incolonnandosi sulle tangenziali nelle ore di punta per poi rinchiudersi fra il cemento dei quartieri dormitorio.
Destinare i soldi delle nostre tasse alla creazione di occupazione che consenta di ridurre gli sprechi e gli impatti ambientali è sicuramente più costruttivo che dissiparli nella costruzione di ciclopiche opere cementizie che devasteranno i territori in cui viviamo.
Riscoprire i rapporti di vicinato, la convivialità, la capacità di donare e ricevere, accresce la nostra interiorità molto più di quanto non accada oggi nella nostra realtà quotidiana sterilizzata dove “gli altri” vengono considerati semplicemente degli avversari con i quali competere in maniera sfrenata. Lavorare in prossimità delle proprie abitazioni rifuggendo il pendolarismo esasperato, valorizzando le proprie qualità, in un clima sereno dove la cooperazione sostituisca la competizione, rappresenta senza dubbio un’esperienza più creativa rispetto a quella che generalmente sperimentano milioni di persone fra i gironi di quell’inferno dantesco che è il “mondo del lavoro” attuale.

In sostanza la decrescita è quanto di più lontano possa esistere dalla società basata sulla crescita e sui 
consumi smodati, che stiamo vivendo nella sua fase terminale, costituita da una profonda recessione. Al tempo stesso ne costituiscel'alternativa naturale, probabilmente l’unica in grado di fare fronte agli effetti devastanti determinati dal crollo di un modello di sviluppo dimostratosi impraticabile.

martedì 31 marzo 2009

Madonnina, tutta una mafia

Fonte:

di Davide Milosa, il manifesto, 29 marzo 2009

Ogni mattina, cascasse il mondo, salgono i pochi gradini del palazzo di Giustizia di Milano, prendono l'ascensore e si fermano al quarto piano, quello della Procura. Entrano in uffici che rigurgitano carte, informative giudiziarie, brogliacci di intercettazioni. Loro annotano, confrontano, evidenziano, ascoltano. Per tutto il giorno non fanno altro. Quindi si incontrano. E quando si riuniscono sono sempre in tre. Fanno gruppo. Sono il nuovo pool antimafia della procura di Milano. Sono i sostituti procuratori Ilda Boccassini, Alessandra Dolci e Mario Venditti. Una novità assoluta non ancora formalizzata ma che funziona a pieno regime già da qualche mese. Il pool oggi è la dimostrazione di quanto sia grave l'infiltrazione mafiosa in Lombardia. Un'infiltrazione guidata e programmata dall'alto di una cupola che ha nel clan calabrese Barbaro-Papalia il suo vertice assoluto.

Milano come Palermo, dunque. E come in Sicilia anche qui la battaglia è chiara, aperta, dichiarata: da un lato questi tre magistrati, dall'altro un esercito di uomini d'onore pronti a tutto. Perché all'ombra del Duomo la mafia esiste. C'è e si vede. Addirittura si sente. Quando uccide ad esempio: tre morti in appena tre mesi, da marzo a settembre 2008. Tre boss freddati in luoghi pubblici. Come a Platì o a Gela o a Casal di Principe. A Milano la mafia fa rumore quando spara nei cantieri che sono "roba loro", tanto sicuri da usarli per testare le armi. Capita ad Assago alle ex Cartiere Binda. Capita troppo spesso, solo che qui fino ad oggi tutto è scivolato via in nome di una strana idea di pulizia morale tanto dannosa quanto colpevole. «La mafia a Milano non esiste. La Piovra è soltanto una favola raccontata in televisione, questa città è sana e pulita». Lo disse negli anni Ottanta un sindaco socialista. Non era vero allora, non lo è soprattutto oggi con gli uomini della 'ndrangheta e di Cosa nostra che si spartiscono droga, appalti, ristoranti, discoteche.

Gli affari sono tanti e quando qualcosa non va, ci sono picciotti dal grilletto facile da reclutare nelle periferie di Quarto Oggiaro, della Barona, di Baggio, del Corvetto, tutte ottime palestre criminali. Perché anche a Milano gli imprenditori che non si piegano vengono gambizzati, mentre chi collabora paga una tangente, anche qui i sindaci onesti ricevono proiettili in busta chiusa, anche qui capita che dodici camion per il movimento terra vadano a fuoco in una sola notte, anche qui le gare d'appalto sono truccate, anche qui le teste di capretto vengono ritrovate all'alba appese ai cancelli delle case di alcuni industriali.

Fatti del genere se ne contano a decine, ma fino ad ora erano stati tutti interpretati come episodi scollegati l'uno dall'altro. L'obiettivo del pool, invece, è quello di mettere assieme le varie piste. Un lavoro in fondo semplice. È bastato, infatti, analizzare le diverse inchieste per accorgersi, ad esempio, che il clan Barbaro oltre a gestire in totale monopolio mafioso il movimento terra nei cantieri di Milano, aveva in mano anche tutti i lavori della Tav.

Ecco cosa è successo: nello scorso luglio Alessandra Dolci, brillante pm cresciuta all'ombra di Alberto Nobili, il padre della Nord-Sud, l'inchiesta che ha svelato vent'anni di mafia in Lombardia, ha arrestato Salvatore Barbaro, il giovane boss dell'edilizia. Lo stesso che aveva rapporti stretti con il cugino Pasquale Barbaro, il referente, secondo Mario Venditti, per i lavori nei cantieri dell'Alta velocità.

Ecco perché ogni giorno i tre magistrati del pool confrontano dati, sovrappongono fatti, proseguono a cerchi concentrici, svelando a poco a poco uno scenario criminale senza precedenti. Così dall'Arco della Pace si passa a Buccinasco e si arriva fino a Monza, da qui alle infiltrazione nel comune di Desio e poi oltre verso la Brianza. E mentre le pagine delle informative aumentano, le intercettazioni rivelano inquietanti dati di fatto. Il più clamoroso: una telefonata in cui due boss disegnano in diretta la mappa del controllo mafioso in Lombardia.

Così, se in Procura stanno i buoni, là fuori vivono i cattivi, quelli che il Comune di Milano, tanto impegnato nel combattere rom e clandestini, dimentica o vuole dimenticare, ad esempio, boicottando la Commissione antimafia votata dal consiglio. E intanto il direttivo mafioso progetta nuovi affari. Al vertice, si è detto, il clan Barbaro-Papalia che ha nel 25enne Domenico Papalia, figlio del superboss Antonio Papalia, il nuovo referente per il nord Italia. Una carica di responsabilità. Ma lui, che vive a Buccinasco e che molti chiamano già don Mico, è uno che sa giocare da golden-boy del crimine. Scrivono gli investigatori: «Domenico Papalia è in grado di aggregare attorno a sé gruppi di giovani provenienti da Platì affascinati da facili guadagni particolarmente attivi e mobili nel traffico di droga». Il giovane boss in aprile si sposerà a Platì con una Barbaro. Intanto prende decisioni sui fatti di sangue da compiere a Milano e dirime controversie negli affari. Così se a Baggio i calabresi Muià hanno problemi con un gruppo di siciliani, lui interviene, ascolta e poi decide.

Dal canto suo Ilda Boccassini, il magistrato che prima dei processi a Silvio Berlusconi mise a segno la prima inchiesta di mafia al nord, subito ribattezzata Duomo connection, seguendo le tracce di Luigi Bonanno, proconsole milanese dei Lo Piccolo, ha incrociato un noto imprenditore astigiano legato ai boss e già comparso nell'inchiesta sulla 'ndrangheta del pm Dolci. Da qui poi è ripartita disegnando la nuova presenza di Cosa nostra.

Milano, infatti, non è solo la capitale degli affari mafiosi ma è anche città di latitanti. I boss in fuga all'ombra della Madonnina hanno appoggi importanti. E così uno come Gianni Nicchi, l'ultimo vero erede dei Corleonesi, già delfino di Bernardo Provenzano e Nino Rotolo, nel capoluogo lombardo ha vissuto per mesi senza problemi. Dove? «Girava voce - racconta il pentito Andrea Bonaccorso - che Nicchi fosse a Milano protetto da Enrico Di Grusa». Di Grusa è il marito di Loredana Mangano, la figlia di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore. Non solo, secondo un altro pentito, assieme alla moglie gestirebbe una serie di cooperative costituite ad hoc per creare fondi neri utilizzati da Cosa nostra. Di più: Enrico Di Grusa, secondo i magistrati siciliani impegnati oggi nel processo al clan Lo Piccolo, «a Milano costituisce una filiale del mandamento palermitano di Porta Nuova dedita alla tutela di latitanti». Un nucleo, quello di Di Grusa, che da un lato «beneficia di amicizie importanti come quella con Marcello Dell'Ultri», vecchio amico di Vittorio Mangano, e dall'altro aggrega attorno a sé boss di livello come Sandro Mannino, uomo d'onore di Passo di Rigano che si incontra con le figlie dell'ex stalliere del presidente del Consiglio. Su questo lavora oggi il pool di Milano. Tutte vicende che prima si perdevano in mille rivoli, e che invece oggi compongono un unico romanzo criminale tutto da leggere.

Solidarietà a Pino Maniàci

Fonte:




La scienza in noir

Fonte:

Scritto da Stefano Montanari   
martedì 31 marzo 2009

Il mondo è strano.

In fondo mia moglie ed io siamo degli addetti ai lavori. Anzi, GLI addetti ai lavori.  Ma questo pare non importare a nessuno. Come qualche anno fa ci volle Beppe Grillo, un comico, per far conoscere le nostre ricerche al di fuori di ristretti circoli scientifici (dei quali, ahimé, l’accademia italiana, troppo impegnata a gonfiare se stessa come un patetico rospo, non fa parte), ora è Massimo Carlotto, grande scrittore di noir, ad avvertire che esiste una verità al di fuori delle bufale di cui si viene infarciti.

Chi ha un po’ di minuti a disposizione potrebbe ascoltare la prima parte dell’intervista radiofonica riportata in

http://medialab.sissa.it/scienzaEsperienza/radioSE/2009/Uesp090327s001 e, come sempre, meditare. Meditare su come i mezzi d’informazione siano diventati più dannosi che inutili, e come la conoscenza viaggi attraverso canali non proprio ortodossi.

Se noi siamo arrivati a questi risultati fondamentali non solo per la scienza iperurania ma per chiunque, lo dobbiamo al microscopio elettronico di cui riusciamo ancora a valerci. Questo fino a che non andrà in porto la manovra per togliercelo

NON DOBBIAMO TRADIRLI

fonte:

Di Solange Manfredi


Ieri sono stata alla giornata della legalità, organizzata dall'associazione “I Grilli del Pigneto” a Genzano (Roma).

La sala era piena, molte le persone in piedi.

Nella sala spiccavano le magliette, i cappellini e i cartelloni con la scritta: Io sto con Giachino Genchi.

E Gioachino Genchi era lì. Una presenza silenziosa la sua, simbolica.

Ma le parole di Salvatore Borsellino sono state chiare: “Abbiamo paura che Gioachino Genchi, lasciato solo, possa venire eliminato. Non solo professionalmente e personalmente, cosa che è già stata fatta, ma anche fisicamente”.

Non solo, dunque, una giornata in cui si è parlato di legalità, di democrazia, di giustizia ma, sopratutto una giornata in cui tutti i presenti hanno voluto lanciare un messaggio forte a quei “poteri” che vorrebbero isolare Gioachino Genchi: 
Gioachino Genchi non è solo.


Chi è Gioachino Genchi?

Gioachino Genchi, vice questore della polizia di stato, da 20 svolge l'attività di consulente dell'autorità giudiziaria. E' un consulente informatico.

Da qualche mese a questa parte Genchi subisce attacchi violentissimi, dalla politica, dalla stampa, dalle istituzioni. Attacchi basati sulla menzogna, sulla calunnia. Attacchi tesi a delegittimare, ad isolare, sicuramente a massacrare personalmente ed eliminare professionalmente.

Lo hanno accusato di aver intercettato illegalmente milioni di italiani.

Ma Gioachino Genchi non ha mai intercettato nessuno, il suo lavoro è quello di incrociare tabulati telefonici, ovvero numeri. E, quando ha fatto questo, lo ha fatto perché incaricato da una procura, ovvero legittimamente.

Lo hanno accusato di aver esaminato, e conservato, illegalmente, i tabulati telefonici di 13 milioni di italiani. Si è poi scoperto che i Ros avevano basato questa loro affermazione sul sequestro, a Giachino Genchi, degli elenchi del telefono. (Se non si dovesse tremare davanti a tanta superficialità, commessa da uomini che dovrebbero rappresentare l'elitè dell'Arma dei Carabinieri, ci sarebbe da rotolarsi per terra dalle risate)

Lo hanno sospeso dal servizio, levandogli tesserino, pistola e manette perché reo di essersi difeso, in maniera peraltro assolutamente moderata e civile, dall'accusa di un giornalista che su Facebook gli dava del bugiardo.

Difendere il proprio onore è stato considerato così grave da comportare la sospensione dal servizio.
Meno grave, tanto da non venir sanzionato, è stato considerato il comportamento di quei poliziotti che si sono resi responsabili del massacro del G8 e della scuola Diaz.

Meno grave è stato considerato il comportamento del Generale Mori che, dopo le stragi di Capaci e Via D'Amelio, ha portato avanti una “Trattativa” con la mafia. Eppure nella sentenza che assolveva il generale Mori dal reato di favoreggiamentro a Cosa nostra si legge:

Non può non rilevarsi che nella prospettiva accolta da questo decidente l'imputato Mori pose in essere un'iniziativa spregiudicata....Questo elemento, tuttavia, se certamente idoneo all'insorgere di una responsabilità disciplinare, perché riferibile ad una erronea valutazione dei propri spazi di intervento, appare equivoco ai fini dell'affermazione di una penale responsabilità degli imputati per il reato contestato

Oggi Mori è nuovamente sotto processo, a Palermo, per aver favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano. Processo ovviamente di cui la stampa si guarda bene di parlare, ma che c'è.

Eppure il Generale Mori non è mai stato sottoposto a procedimento disciplinare, mai stato sospeso, solo nuovi incarichi, sino ad essere nominato capo dei servizi segreti. Dall'ottobre del 2001 alla fine del 2006 ha diretto il Sisde, il servizio segreto civile. Oggi dirige l'ufficio per la sicurezza della capitale d'Italia

Genchi, per aver difeso il suo onore da un giornalista che gli dava del bugiardo, invece, è stato sospeso dal servizio.

Qualsiasi persona di buon senso capisce che qualcosa non va.

Ma perché fa tanta paura Genchi?

Perchè Genchi sa.

Cosa sa è lui ha dircelo in una intervista pubblicata su questo blog (http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/02/intervista-gioacchino-genchi.html )

“.....E l'attacco che viene fatto nei miei confronti parte esattamente dagli stessi soggetti che io avevo identificato la sera del diciannove luglio del 1992 dopo la strage di via D'Amelio, mentre vedevo ancora il cadavere di Paolo Borsellino che bruciava e la povera Emanuela Loi che cadeva a pezzi dalle mura di via D'Amelio numero diciannove dov'è scoppiata la bomba, le stesse persone, gli stessi soggetti, la stessa vicenda che io trovai allora la trovo adesso!
Ancora nessuno ha detto che io sono folle. 
Anzi, sarò pericoloso, terribile ma che sono folle non l'ha detto nessuno. Bene allora quello che io dico non è la parola di un folle perché io dimostrerò tutte queste cose. E questa è l'occasione perché ci sia una resa dei conti in Italia. A cominciare dalle stragi di via D'Amelio e dalla strage di Capaci. Perché queste collusioni fra apparati dello Stato, servizi segreti, gente del malaffare e gente della politica, è bene che gli italiani comincino a sapere cosa è stata."



Per questo fa paura Genchi. Perchè probabilmente potrà raccontarci la verità su quella trattativa tra Stato e mafia, perchè, probabilmente, potrà spiegarci e provare perchè oggi la massoneria e la mafia sono al governo.

Per questo chi combatte per la giustizia ha paura che non basti delegittimare, calunniare, massacrare professionalmente e personalmente Genchi, ma teme possa subire un incidente, o possa venire suicidato o, ancora, possa venir fatto morire di infarto.

Tanti, troppo uomini onesti sono morti perchè noi non sapessimo la verità.

Tanti, troppi uomini onesti sono morti perchè dei criminali potessero oggi sedere in Parlamento.

Tanti, troppi uomini onesti sono morti perchè oggi, capito il meccanismo, la gente onesta, come è accaduto ieri, non si stringa intorno a Gioacchino Genchi per far sapere al potere occulto che
Genchi non è solo...e non si tocca!

Ieri Salvatore Borsellino ha concluso il suo intervento leggendo uno scritto di Pietro Calamandrei stupendo che riporto:


"....Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco chiedono in verità i nostri morti, non dobbiamo tradirli".


E' vero, non dobbiamo tradire i nostri morti, ma ancor di più non dobbiamo abbandonare i vivi. Dobbiamo difenderli, far sentire loro che non sono soli, proteggerli con la nostra presenza quotidiana ed attenta.

Coloro che, come dice Clamandrei, sono morti “
senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere” sono morti anche perché, quando è partito il terribile meccanismo, noi non siamo stati lì a far quadrato intorno a loro. Li abbiamo lasciati soli, non ripetiamo lo stesso errore.

lunedì 30 marzo 2009

Berlusconi riesce sempre a cavarsela

Fonte:

Pubblicato sabato 28 marzo 2009 in Olanda

[de Volkskrant]

Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie

Da corrispondente in Italia mi sento spesso come Keanu Reeves nel film The Matrix, o Jim Carrey nel Truman Show. È una sensazione spaventosa: vivere e lavorare in una democrazia dell’Europa Occidentale che fu tra i fondatori dell’Unione Europea e fa parte di prominenti forum internazionali come il G8, e ciò nonostante sentirsi come i personaggi che lottano in angosciosi film su illusione e realtà.

Ma l’Italia di Silvio Berlusconi ne dà tutto il motivo. Quindici anni dopo l’ingresso di Berlusconi nella politica italiana, il paese si allontana sempre piú dai valori democratici essenziali.

Neo (Reeves) e Truman Burbank (Carrey) in The Matrix e The Truman Show si rendono conto che il loro intero ambiente vive secondo la sceneggiatura di un regista onnipotente. Però non vedono la loro sorpresa e preoccupazione al riguardo riflessa in alcun modo nella reazione delle persone che li circondano; tutti si comportano esattamente come se non succedesse niente di strano, o semplicemente non se ne rendono conto. Chi cerca di seguire e di capire la politica e la società in Italia inevitabilmente avrà la stessa esperienza.

Corrotto

Il raffronto si è imposto all’attenzione molto chiaramente il mese scorso. Nel pomeriggio di martedì 17 febbraio è apparsa sui siti dei principali giornali italiani una notizia dal titolo: ‘David Mills è stato corrotto’: condannato a 4 anni e sei mesi.

Riguardava una notizia esplosiva: il tribunale di Milano aveva riconosciuto l’avvocato britannico David Mills colpevole di corruzione per aver accettato 600 mila dollari da Silvio Berlusconi negli anni novanta, in cambio di rendere falsa testimonianza in due processi per corruzione istituiti contro l’imprenditore-politico. La sentenza contro Mills era altamente incriminante anche per il premier italiano dell’Italia, perchè se c’è un corrotto ci deve essere anche un corruttore.

Cose strane

Ma in Italia sono successe un paio di cose strane con questa notizia. Per iniziare diversi giornali hanno scritto la sentenza tra virgolette, come se si trattasse non di un fatto giuridico ma semplicemente di un’opinione personale da poter contestare con facilità. Ciò infatti è immediatamente successo.

Nel sito web del Corriere della Sera, un giornale di riguardo in Italia, vari lettori hanno messo in dubbio la sentenza del tribunale milanese. “Perchè questa sentenza arriva giusto 24 ore dopo le elezioni in Sardegna?” si chiede uno di loro. Il partito di Berlusconi, Popolo delle della Libertà (PdL), aveva vinto quelle elezioni regionali con una schiacciante maggioranza; l’isola italiana è tornata dopo lungo tempo in mano della destra, cosa che ha provocato una grande euforia negli ambienti del PdL.

I giudici hanno deliberatamente cercato di rovinare la festa con la loro sentenza, riteneva il lettore sopracitato.

Un altro ha fatto un ulteriore passo in avanti. Quella “ennesima sentenza fatta per rovinare la festa”, avverte i giudici, “servirà solo a rafforzare il nostro premier e la sua coalizione, quindi soprattutto continuate così e sparirete automaticamente, ciao ciao”.

Di per se queste reazioni si potevano archiviare come rigurgiti emotivi di accaniti sostenitori di Berlusconi. Ma stranamente i media italiani gli hanno dato del tutto ragione. Mentre la notizia veniva esaminata a fondo su emittenti straniere come la CNN e la BBC, l’interessante notizia é stata data di striscio dai telegiornali italiani.

Su RaiUno e RaiDue l’argomento è stato incastrato a stento in un minuto verso la fine dell’edizione serale. Su due delle tre reti commerciali di Berlusconi la sentenza è stata completamente ignorata.

Sentenza

E sul canale che ha sì riferito la sentenza, il cronista ha ancora definito l’accertato episodio di corruzione un “supposto pagamento” fatto dalla ditta Fininvest di Berlusconi, e ha chiuso il suo mini servizio con una lunga citazione di un parlamentare del partito di Berlusconi, il quale diceva che il presidente del tribunale di Milano “è chiaramente antagonista della persona di Silvio Berlusconi dal punto di vista politico”.

Come può succedere tutto ciò? Come si può negare e deformare così facilmente e massivamente la realtà? Da anni la stampa internazionale addita il gigantesco conflitto di interessi del premier.

Tutti conoscono Silvio Berlusconi come il grande uomo dietro più di settanta aziende, raggruppate in mega holdings come la Mondadori (la principale casa editrice di giornali, libri e riviste in Italia), Mediaset (la più grande holding televisiva del paese), Mediolanum (servizi finanziari) e la squadra di calcio AC Milan.

Groviglio di interessi

Berlusconi controlla buona parte dei media italiani e viene perciò chiamato da molti giornali stranieri ‘imprenditore-politico’ o ‘premier-magnate dei media’. Ciononostante questi termini dicono troppo poco sul modo in cui questo groviglio d’interessi influisce sulla società italiana.

In generale Berlusconi viene considerato l’uomo dalla parlantina facile e dal sorriso scolpito, il marpione rifatto con il brevetto sulle battute imbarazzanti (come quella su Barack Obama, che definì “giovane, bello e anche abbronzato”‘ un paio d’ore dopo l’elezione di quest’ultimo a presidente degli Stati Uniti). Come premier dell’Italia è perciò agli occhi di molti un buffone da non prendere troppo seriamente. Ma queste qualità da birbantello nascondono alla vista il suo illimitato potere e influenza che intaccano persino il DNA dell’Italia - e purtroppo non in senso positivo.

Le sue emittenti commerciali, il suo settimanale d’opinione “Panorama”, il quotidiano “Il Giornale” (del fratello Paolo) e una lunga lista di giornali di famiglia, si schierano quotidianamente con il loro padrone senza vergogna. Questo servilismo raggiunge forme così elevate che il giornalista televisivo nonchè capo-redattore dell’emittente Rete4 può emozionarsi in diretta leggendo la notizia della vittoria elettorale di Berlusconi.

Per la maggioranza degli italiani la televisione è la principale fonte di informazione, ed è quasi completamente sotto il controllo di fedelissimi di Berlusconi.

Modi sgarbati

Allo stesso tempo i membri dell’opposizione vengono buttati a terra in modo insolitamente sgarbato. Il più combattivo oppositore di Berlusconi, Antonio Di Pietro, da tempo viene chiamato ‘il boia’, o ‘il trebbiatore’ nel corso delle varie rubriche di attualità, che continuano a far vedere le sue foto meno lusinghiere, che immortalano il corpulento Di Pietro sul trattore, in pantaloncini corti.

Questo bizzarro approccio ‘giornalistico’ non scaturisce da una specie di naturale lealta’ dei dipendenti, ma da precisi ordini di servizio. Il giornalista italo-americano Alexander Stille cita nella sua biografia di Berlusconi “Il sacco di Roma” (tradotta in olandese come “Silvio Berlusconi/De inname van Rome), un ex vice-caporedattore de “Il Giornale”, che spaziava su come Berlusconi dava ordini alla redazione negli anni novanta: “Dobbiamo cantare in armonia sui temi importanti per noi (…) Voi, caporedattori, dovete capire che dobbiamo iniziare un’offensiva mirata con tutti i nostri mezzi contro chiunque ci spari addosso. Se quelli che ci attaccano ingiustamente vengono puniti usando tutti i diversi media del nostro gruppo, l’aggressione finisce”.

RAI

Nel ruolo di premier, Silvio Berlusconi esige più o meno la stessa apatia dagli impiegati statali, soprattutto all’interno dell’emittente statale RAI. Durante il conflitto in Irak, che aveva l’appoggio del precedente governo Berlusconi, i giornalisti della RAI non potevano definire gli oppositori della guerra “dimostranti per la pace” o “pacifisti”, ma dovevano chiamarli “insubordinati”.

‘Sei un dipendente dello stato!’ gridò Berlusconi contro il critico giornalista televisivo Michele Santoro un paio d’anni fa durante una trasmissione televisiva, riportandolo all’ordine. Santoro voleva togliere la parola a Berlusconi, che era in linea telefonicamente, perchè questi rifiutava di rispondere alle domande del giornalista, e voleva solo criticare il modo di lavorare di Santoro.

Criminoso

Durante una conferenza stampa in Bulgaria Berlusconi accusò Santoro e due altri giornalisti di aver fatto un ‘uso criminoso della televisione pubblica’. I tre avevano osato fare una trasmissione critica sul premier. In quello che da allora è diventato famoso come ‘l’editto bulgaro’, il premier esigeva che la direzione dell’emittente ‘non permettesse più che accadessero certe cose’. Qualche mese dopo i tre erano spariti dallo schermo.

L’Italia come paese democratico sta molto peggio di quanto molti credano. Ciò dimostrano le misure per la limitazione della libertà che questo governo sta prendendo o preparando (come la prigione per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni telefoniche degli indiziati; pressione politica su medici e insegnanti per denunciare gli immigranti illegali alla polizia; limitazione dell’indipendenaza del potere giudiziario).

Ma lo stato preoccupante delle cose si rivela soprattutto nel modo apatico in cui stampa e pubblico ultimamente reagiscono a questo genere di piani. L’Italia si abbandona sempre di più alla realtà altamente colorata con cui viene abbindolata dall’apparato di potere di Berlusconi.

Duramente

Certo, giornali e riviste di opinione come La Repubblica, l’Unità e l’Espresso continuano ad andare duramente contro il premier quando è necessario. Ma sono predicatori nel deserto: i due principali giornali italiani hanno insieme una tiratura di solo 1,3 milioni, su una popolazione di quasi 60 milioni.

La televisione è per la stragrande maggioranza degli italiani la fonte di informazione principale, e ora è quasi tutta sotto monitoraggio di gente fidata di Berlusconi.

Inoltre, anche i giornali al di fuori dell’impero di Berlusconi sentono il suo braccio forte. Come il giornale torinese La Stampa, proprietà della Fiat. ‘Vista la situazione in cui versa la Fiat, La Stampa non si trova nella posizione di esprimere critiche nei confronti di Berlusconi, e ciò è altrettanto valido per numerosi altri giornali’, cosí il caporedattore Giulio Anselmi a Stille nel Sacco di Roma. ‘Oltre ai giornali che possiede, c’é tutto un cerchio concentrico di giornali che dipendono direttamente o indirettamente da lui’.

Il guastafeste

Il leader dell’opposizione Antonio Di Pietro racconta nel suo libro Il guastafeste [in italiano con traduzione nel testo, ndt], come sia stato apostrofato “assassino’ da due ragazzi, mentre passeggiava in Piazza Duomo a Milano.

Un tempo Di Pietro era l’eroe del paese per milioni di italiani, nella sua funzione di pubblico ministero dell’ampia operazione anti-corruzione Mani Pulite, che spazzò via un’intera generazione di politici e imprenditori imbroglioni all’inizio degli anni novanta. ‘Questo incidente’, dice Di Pietro a proposito dell’accaduto a Piazza Duomo a Milano, ‘dimostra che quei ragazzi a casa sono bombardati con falsa informazione dalla televisione’.

Dopo un decennio e mezzo, questo moderno indottrinamento sta dando così tanti frutti che Berlusconi osa negare persino le più incontestabili verità.

Proteste

Per esempio, l’anno scorso durante la massale protesta studentesca contro i tagli pianificati nell’istruzione. Gli studenti avevano occupato facoltà di diverse università, con grande irritazione di Berlusconi. ‘Oggi darò al Ministro degli Interni istruzioni dettagliate su come intervenire usando le unità mobili’, disse il premier nel corso di una conferenza stampa.

Quando l’opposizione gridò allo scandalo, Berlusconi il giorno dopo disse bellamente di non aver mai minacciato con le unità mobili. Ancora una volta era stato erroneamente citato dai giornalisti. Però tutti avevano potuto vedere e sentire che il premier l’aveva veramente detto; i suoi commenti erano stati trasmessi da radio e tv.

Nonostante quella prova schiacciante Berlusconi si ostinò sulla sua posizione. E con successo. Giacchè cosa dissero la sera i telegiornali? ‘Il premier dice di essere stato citato erroneamente’.

Democrazia

In una democrazia sana i giornalisti in servizio avrebbero come minimo fatto velocemente rivedere le immagini della conferenza stampa in questione, così da permettere ai telespettatori di concludere da sè se il premier fosse rimbecillito o no. Ma no. ‘Eventualmente, potrete rivedere la nostra trasmissione di ieri su internet’, ha sussurrato il redattore politico di RaiUno alla fine del servizio.

Considerando la situazione alla Matrix in cui versa l’Italia, il suo commento suonava quasi come un eroico atto di resistenza.

ERIC ARENDS È IL CORRISPONDENTE DEL VOLKSKRANT A ROMA

[Articolo originale di Eric Arends]

Europa contro crisi: tornano i movimenti

Fonte:


30 marzo 2009

La grande manifestazione di sabato a Roma dimostra che l'egemonia del berlusconismo non è riuscita a cancellare il dissenso. E mentre alla convention del Popolo della libertà soi continua a rimuovere la crisi economica, in tutta Europa si moltiplicano i segnali mobilitazione dal basso.

Ci sono almeno tre buone ragioni per rallegrarsi della giornata di sabato. Proviamo a elencarle, non in ordine di importanza. 
La prima è che una bella manifestazione, allegra e combattiva, ha attraversato la città, violando i confini del protocollo sui cortei col quale il governo cittadino e quello nazionale avevano provato ad addomesticare le proteste dei mesi scorsi. Dopo i pestaggi di polizia, carabinieri e guardia di finanza alla Sapienza dello scorso 18 marzo, gli studenti dell’Onda, quelli che Renato Brunetta aveva chiamato «guerriglieri», non si sono fatti intimorire e hanno ottenuto di poter manifestare dove e quando gli pare. Non era scontato, per il difficile contesto in cui era nata la manifestazione e perché qualche minoranza si era autoproclamata avanguardia e aveva provato a indirizzare l’Onda dentro alcuni dei gruppi della galassia «sinistra radicale». Gli studenti hanno invece ribadito che l’Onda è anomala e irrappresentabile, che si rapporta spontaneamente con gli altri movimenti metropolitani [gli occupanti di case, i centri sociali e le reti dei precari in primis] invece che con le «organizzazioni politiche». Ecco perché il cuore della manifestazione contro il G14 sul welfare indetta dal sindacalismo di base era rappresentato dallo spezzone di movimento, cioè da quelli che affermano con maggiore convinzione di non voler pagare la crisi. In un momento in cui gli scioperi passano inosservati e si tenta in tutti i modi di limitare l’agibilità nelle piazze, è un risultato non da poco.
La seconda ragione per essere ottimisti riguarda quanto avveniva a pochi chilometri di distanza dalla manifestazione romana: il Popolo della libertà ha celebrato il suo congresso. Com era prevedibile, è stato un teatrino costruito attorno alla figura del Capo, Silvio Berlusconi. Era esattamente il copione che ci si aspettava, un po’ convention aziendale e un po’ talk show. Nessuna idea nuova: il successo di Berlusconi è strettamente vincolato alle sorti della crisi economica. Ecco perchè, a parte qualche passaggio dell’intervento «Dio-patria-famiglia» del ministero del tesoro Giulio Tremonti, nessuno ha menzionato la crisi epocale che stiamo vivendo. Nessuno si è preoccupato di trattare il tema di una recessione che, come ha ricordato l’Ocse, non risparmierà l’Europa. Meglio risventolare l’anticomunismo. Persino meglio affrontare lo spinoso tema del testamento biologico. Ecco perché le destre odiano così tanto le piazze in cui si manfesta il dissenso: ogni populismo per avere successo ha bisogno di mostrarsi come l’unica forma di organizzazione possibile, calata dall’alto, di un presunto «popolo». 
Terza buona notizia: non c’erano solo i sessantamila di Roma, in piazza in questo fine settimana. Sabato a Londra, dove si tiene il vertice G20 sulla crisi, c’è stata la manifestazione organizzata da «Put people first», una coalizione di organizzazioni non governative, associazioni e movimenti sociali. Altre decine di migliaia di persone sono scese in piazza in analoghe manifestazioni in Germania, a Berlino e Francoforte. La manifestazione di Londra, alla quale hanno partecipato persone giunte da tutto il mondo, era stata convocata da 150 fra sindacati, gruppi pacifisti e ambientalisti. Nei prossimi giorni le prostese si intensificheranno. Mercoledì 1 aprile quattro street parade attraverseranno la capitale inglese per convergere verso la City e la Banca d’Inghilterra. Nel pomeriggio avrà luogo l’Alternative G20 Summit. Per le prime ore del mattino del giorno successivo, Stop the war coalition ha lanciato un’azione di disturbo agli hotels dove i G20 sono ospiti.

Dalla “convenscion” aziendale nasce il partito P2 di massa

Fonte:

di Gianni Barbacetto, da societacivile.it

Nasce il Pdl. Non da un congresso, ma da una "convenscion" aziendale, siparietti, stacchi musicali, seguito di spot, interminabile telepromozione, evento per lanciare un nuovo prodotto. Senza discussione, senza dibattito, senza confronto. Alla fine, senza politica. L'effetto Madia da eccezione diventato norma. Interventi preordinati, vallette e comparse invece che delegati (tanto che per tenere il pubblico in sala, in segreteria hanno dovuto appendere questo cartello: «La borsa del delegato verrà consegnata a fine lavori»). Se proprio congresso vogliamo chiamarlo, allora è un congresso nordcoreano, per applaudire la grandezza del caro leader e le sue opere. Un congresso all'incontrario, come l'Italia di oggi, un congresso che comincia dalla fine, cioè dall'annuncio trionfale che è nato il partito unico, il nuovo mirabolante prodotto da collocare sugli scaffali del supermarket della politica italiana. An si era già suicidata, i suoi colonnelli si erano già venduti al nuovo padrone.

La politica, assente dalla "convenscion", la fanno altrove: al governo, in tv. Un piano casa che è una truffa (piano casa era quello di Fanfani, che metteva soldi per costruire case popolari, questo invece è una sanatoria preventiva, un invito all'abuso urbanistico, un via libera alla cementificazione). E poi: una legge sul testamento biologico che è un'altra truffa, imposizione dell'etica vaticana diventata etica di Stato; un cambiamento della legge sulla sicurezza sul lavoro che rende impunite le cosiddette morti bianche; e le leggi razziali, le schedature dei rom, i medici che devono denunciare gli irregolari, le ronde... E poi arriveranno le intercettazioni a disarmare la legge e a mettere il bavaglio alla stampa. Ecco la destra che è nata alla "convenscion" di Roma: un partito P2 di massa, un populismo mediatico-aziendale costruito attorno al capo, dove il potere legislativo è svuotato (ma sì, possono votare solo i capigruppo, così si risparmia tempo), il potere giudiziario è disarmato, il controllo della stampa sulla politica è bloccato. La Costituzione? Un ferrovecchio da cambiare a piacimento. Un progetto autoritario ed eversivo, raccontato con stacchetti al posto giusto.

Dai suini irlandesi ai polli toscani……quando verrà il momento dei grilli?

Fonte:

Sulla cronaca locale di Firenze, Prato e Pistoia sono comparsi il 19 marzo, in prima pagina, i preoccupanti risultati di diossine e PCB riscontrati su matrici biologiche (polli, uova, pesci ecc). Leggere questa notizia fa sentire me - e sono certa anche molti altri colleghi - come il “grillo parlante” del buon Collodi che ha un bel cantare, ma che tanto nessuno ascolta.

Per chi non lo sapesse le indagini di cui sopra sono state eseguite – su pressione dei comitati - dopo che il locale inceneritore aveva registrato sforamenti per diossine nel 2007 tanto che, per alcuni mesi, ne era stata disposta la chiusura.
A scorrere con attenzione la cronaca di questi anni appare chiaro che impianti di incenerimento sotto inchiesta o comunque problematici sono all’ordine del giorno nel nostro paese: da Massafra a Terni, da Pietrasanta a Montale, da Collefferro a Modugno.
Anche il “famoso” inceneritore di Brescia - dipinto come un gioiello - non esce certo assolto dalla vicenda che, alla fine del 2007, vide ben 18 aziende agricole dislocate in sua prossimità, con il latte fuori norma per i valori di diossine e PCB; i valori rientrarono nei limiti dopo che gli animali non furono più alimentati con i foraggi locali, evidentemente contaminati.
Appare inoltre davvero singolare che nel report dell’ASL relativa a questa ultima contaminazione (
www.ambientebrescia.it) sia stata eseguita una georeferenziazione delle aziende utilizzando una mappa antecedente la costruzione dell’ inceneritore: nessuno pensava che l’ inceneritore premiato come migliore fosse anche un inceneritore fantasma!
Inoltre pochi forse sanno che nel corso di una campagna di rilevamento di diossine e PCB condotta tra il 2 ed il 21 agosto 2007 nell’aria di Brescia sono stati rilevati valori di PCB estremamente elevati (1.0008, 76 - 8.723,90 pg/m3): nel periodo in esame le attività industriali erano ferme, ma non l’ impianto di incenerimento di rifiuti.

Che altro dire? Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere e neanche quanto riconosciuto dalla stessa UE sembra in grado di far cambiare idea a chi ritiene l’ incenerimento una soluzione.
I medici stanno facendo la loro parte: il 18 novembre scorso presso il salone comunale di Forlì cinque medici parlarono proprio delle diossine, ormai “simbolo” dell’ inquinamento del nostro tempo… neanche a farlo apposta dopo poche settimane scoppiò lo scandalo dei suini irlandesi alla diossina ed ora ci mancavano anche i polli toscani ai PCB!
“Lezioni apprese in ritardo da pericoli conosciuti in anticipo” 
questo il corposo documentodell’UE che annovera fra i tanti gli esempi il CVM, la talidomide, l’amianto…Quanti disastri puntualmente annunciati si sarebbero evitati se si fosse dato ascolto ai “grilli parlanti” del momento?
Chi ne risponderà quando – purtroppo- il tempo e la storia ci daranno ragione?

Patrizia Gentilini

IL RISPETTO DELL'AMBIENTE DELLA MARANGONI DI ANAGNI

Fonte:



Dato che l'articolo è molto lungo vi consiglio di perdere un po di tempo
e leggerlo al link sopra.

La terra nera degli Indios cattura la Co2

Fonte:
Il biochar, ovvero la Terra Nera che da millenni viene utilizzate come fertilizzante dagli indios, potrebbe salvarci dal riscaldamento globale. La si ottiene carbonizzando residui organici: metà delle emissioni di carbonio di questi residui viene catturato e sottratto all’atmosfera. Alcuni paesi in via di sviluppo sperano che il biochar venga già preso in considerazione nell’incontro di dicembre per il protocollo “post-Kyoto”.

di 
Elisabeth Zoja

Biochar, la terra nera degli indios
Gusci di noce, paglia, pula di riso e stocchi di mais hanno in comune una semplice caratteristica: sono inutilizzabili. Eppure, se venissero trasformati in biochar, questi resti inutili potrebbero salvare il pianeta.

Secondo il teorico dell’Ipotesi GaiaJames Lovelock, infatti, questo materiale simile, alla carbonella del barbecue, è la sola speranza contro le catastrofi causate dal cambiamento climatico. Ma andiamo con ordine.

La carbonizzazione dei residui organici in biochar viene attualmente testata in centri di ricerca scientifica in Australia, Stati Uniti, Germania e Italia. Questa tecnica, però, ha origini antiche. Si basa su una tecnica agricola che viene praticata da migliaia di anni nelle terre brasiliane.

Non è un caso, quindi, se alcuni terreni dell’Amazzonia si sono rivelati fino a 70 volte più ricchi di biochar dei terreni circostanti. Questo materiale carbonioso è stato prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali“introdotte volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali”, spiega il dottor Franco Miglietta, dell’Istituto di biometeorologia di Firenze.

Biochar fatto in casa
Biochar fatto in casa
Quel che oggi chiamiamo biochar quindi è la terra preta de los indios:la Terra Nera che gli indios utilizzavano come fertilizzante. La loro tecnica agricola è divenuta attuale da quando si è scoperto che il biochar trattiene la CO2 dei residui organici carbonizzati. Miglietta spiega il principio con semplicità: ”È noto che le piante assorbono CO2 dall'atmosfera, per poi rilasciarla quando terminano il loro ciclo di vita.Invece, interrandole, la CO2 viene trattenuta nel terreno per migliaia di anni.

>Ottenere il biochar, però, non è così semplice: la decomposizione termochimica dei residui organici – chiamata pirolisi - necessita di una lenta combustione in assenza di ossigeno a più di 300 gradi.

I vantaggi del materiale comunque sono notevoli. Gli studi svolti in Toscana dall’apposito progetto dell’Ibimet Italian Biochar Initiative, rivelano che aggiungendo 10 tonnellate di biochar ad un ettaro di terreno si sottraggono all’atmosfera 30 tonnellate di CO2.

Forno biochar
Un piccolo forno biochar
Immettere biochar nel terreno significa però “innanzitutto sbarazzarsi di residui organici (…) che oggi vengono bruciati”, spiega Miglietta. Anche i pochi residui che vengono mandati al compostaggio anziché agli inceneritori, inoltre, nel giro di qualche anno liberano il loro carbonio nell’atmosfera. Ricerche dell’università di Cornell, suggeriscono che sotterrare biochar, invece, raddoppia la capacità del suolo di trattenere carbonio.

Oltre al carbonio, la Terra Nera trattiene sostanze nutritive, e - essendo porosa - attira vermi: per questo gli indios la utilizzavano comefertilizzante. Secondo recenti studi dell’università di Bayreuth il biochar può raddoppiare la crescita di piante su terreno non fertile.

I gas liberati durante la carbonizzazione dei residui organici permettono di generare energia, ma solo un terzo di quella che si otterrebbe bruciandoli in modo convenzionale. In cambio il biochar cattura la metà del carbonio contenuto nella biomassa.


Come mostra il grafico, il biochar cattura la metà del carbonio contenuto nella biomassa

Data la semore crescente richiesta di energia, però, vi è purtroppo generalmente più interesse per l’incremento della produzione energetica che per la ritenzione di CO2. Pochi sono dunque pronti a investire nel biochar, eppure il suo sfruttamento necessita ancora di ricerca, soprattutto per ridurre i costi delle tecnologie necessarie per la combustione.

Nonostante queste difficoltà, sono già stati sviluppati parecchi “forni biochar”, soprattutto per paesi in via di sviluppo: il Belize e alcuni stati africani, ad esempio, chiedono che il loro utilizzo venga accettato come misura contro i cambiamenti climatici per il protocollo “post-Kyoto”, che verrà firmato a Copenhagen a dicembre.

Insomma, tra le tante proposte iper-tecnologiche e futuristiche, forse quella basata su un’antica terra nera potrebbe rivelarsi tra le più sensate.