sabato 22 novembre 2008

Paul Connett a Mesero: gli inceneritori e Umberto Veronesi

Paul Connett e la strategia rifiuti zero

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http://www.ecoblog.it/post/7179/paul-connett-e-la-strategia-rifiuti-zero



Paul Connett, oltre ad essere l’ideatore della strategia “rifiuti zero”, è professore emerito di chimica ambientale all’Università St Lawrence di Canton, New York. Negli ultimi venti anni si è occupato di rifiuti, con particolare riferimento ai rischi collegati all’incenerimento, ed allo studio di alternative più sostenibili.

Le sue proposte non hanno nulla di eccezionale e spesso non rappresentano in assoluto una novità. Un esempio è l’estensione di responsabilità del produttore che costringe le imprese a ideare dei beni che siano completamente riciclabili. Ma comunque la loro applicazione in Australia, Nuova Zelanda, California, ed in città come San Francisco - in Italia Capannori - ha portato ad ottimi risultati. Il video è tratto dal documentario “Civiltà bruciata. La terra degli inceneritori” (dicembre 2006) di Zenone Sovilla.

Le opinioni di Silvio

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22 novembre 2008, in PINO CORRIAS

Una della meravigliose qualità di Silvio Berlusconi è che non avendo opinioni, le ha tutte. E’ contemporaneamente filo americano e filo russo, sta con l’Europa, ma sta anche con i celti orobici della Lega che sono contro. E’ amico contemporaneamente dei cinesi e del Dalai Lama. Ai vertici internazionali difende i diritti umani. Ma se li scorda quando atterra a Tripoli per finanziare con 5 miliardi di euro la dittatura del suo amico Gheddafi. E’ per “il ritorno all’etica nella finanza”. Ma ha preteso la depenalizzazione del falso in bilancio per scampare a un po’ di processi.

Quando sta alla Casa Bianca è capace di travolgere il palchetto pur di baciare George W. Bush che resta immobile a guardarlo allarmato. Quando è nel gelido Cremlino si scalda con il colbacco e con gli abbracci a Putin e Medvedev, amici suoi, critica lo scudo spaziale americano, “una provocazione”, difende i carri russi in Georgia, sostiene che la tragedia cecena sia un’invenzione. Di fianco al leader turco Erdogan dice che l’Europa non sarà completa fino all’ingresso della Turchia, e lui si batterà per il popolo turco. Ma quando va all’Eliseo, dove abita il marito di Carla Bruni che i turchi in Europa non vuol farli neanche avvicinare, lui dice che niente lo divide dal suo amico Sarkozy.

Un volta l’ingegner Carlo De Benedetti, di ritorno da Londra dove aveva incontrato il primo ministro Tony Blair, raccontava lo stupore del leader britannico per il perenne sorriso di Silvio ai tavoli delle consultazioni: “E’ sempre d’accordo su tutto. Non chiede mai nulla”. Ma a pensarci bene: perché non dovrebbe sorridere, visto che gli stiamo dando (e si sta prendendo) tutto?

Grillo e Travaglio sulla proposta di legge Levi

detersivo autoprodotto per piatti e lavastoviglie

Negozi la domenica

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http://www.decrescitafelice.it/?p=366#more-366

20/11/2008
di Franco Fondriest (dirigente scolastico) - articolo tratto da L’Informazione del 20/11/2008, quotidiano di Modena

Lettera aperta a chi vuole tenere aperti i negozi la domenica
Gentilissimi Sindaco, Assessore agli Interventi Economici, rappresentanti dei commercianti e dei consumatori, vorrei entrare nel dibattito sulle aperture domenicali dei negozi.
Poiché si sono susseguite solo prese di posizione favorevoli, vorrei esprimere garbatamente una posizione diversa, argomentandola con motivazioni sociali, educative ed economiche.
Motivi sociali
Nelle nostre città dal lunedì al venerdì la quasi totalità dei bambini da 3 a 11 anni esce di casa alle 8 e vi torna alle 17; quindi alla famiglia restano da “spendere” nella vita insieme solo il sabato e la domenica. Considerando che al sabato i negozi sono già aperti, l’impegno domenicale degli addetti e delle addette al commercio, sottrarrebbe l’unico giorno disponibile per stare in famiglia.
Questo vale certamente per i dipendenti che sarebbero sottoposti a tempi di lavoro “disumani”, ma ancor più per coloro che gestiscono la propria attività con i familiari; in tal caso, infatti, per essere concorrenziali, sarebbero costretti a dedicare tutto il loro tempo libero e le proprie energie alla propria attività sottraendolo così alla vita familiare.
La famiglia, non si tutela con battaglie ideologiche contro le convivenze, ma consentendo ad essa di avere tempi e spazi di vita!
Motivi educativi
La maggior parte dei bambini trascorre molto del proprio tempo a scuola; ne resta già troppo poco per conoscere la città, per frequentare, nella bella stagione, i parchi cittadini e per fare esperienze comuni.
Occorre riconsegnare alle famiglie la loro responsabilità educativa, offrendo loro anche il tempo e le occasioni per poterla esercitare.
Perchè vedere genitori trascinare i loro figli, la domenica, nei grandi centri commerciali quando potrebbero fare esperienze ben più arricchenti dal punto di vista culturale, sociale, affettivo, interpersonale ?
Motivi economici
La quantità di soldi che le famiglie possono spendere non aumenta se aumentiamo il tempo a disposizione per la spesa; semplicemente, si distribuisce diversamente nell’ arco della settimana.
E allora, perché tanti sacrifici sociali ed educativi, maggior congestione del traffico ed inquinamento ?
Ritrovare il senso della convivenza
Occorre ritrovare il senso della convivenza sociale, in una società sempre più anonima e sempre meno solidale, offrendo alle famiglie occasioni di incontro, animando la città, i quartieri, le piazze, i parchi senza necessariamente spingere agli acquisti e all’indebitamento.
Una città più vissuta è anche una città più sicura e solidale dove la gente si sente ed è meno sola!

venerdì 21 novembre 2008

Bocchino & pizzino

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21 novembre 2008
MARCO TRAVAGLIO
Istruzioni per un centrosinistra moderno che vuole vincere.
1) Se si trova un candidato alla Vigilanza che non garba a Berlusconi, impallinarlo all'istante.
2) Se il Bocchino di turno non riesce a spiegare perché la maggioranza debba decidere anche le cariche che spettano all'opposizione, salvarlo con un pizzino.
3) Se Latorre telefona amorevolmente a Ricucci e a Consorte durante la scalata illegale al Corriere e a Bnl, fare finta di niente e negare ai giudici il permesso di usare le telefonate, cosicchè gli elettori possano pensare che destra e sinistra si coprono a vicenda ed è tutto un magnamagna. Se invece Latorre imbocca un Bocchino, chiederne la testa (sempreché si trovi).
4) Se D'Alema telefona a Consorte per trattare con un socio Unipol in cambio di «favori politici», negare insieme al centrodestra l'uso giudiziario delle intercettazioni, così il centrodestra chiederà in cambio il no alle telefonate tra Dell'Utri e un mafioso latitante.
5) Se Ligresti, pregiudicato per corruzione e dunque amico di Berlusconi, vuol fare affari in un comune governato dal centrosinistra, tipo Firenze, fargli ponti d'oro per portarlo dalla propria parte. Berlusconi non va combattuto, ma anticipato.
6) Anziché tener lontano da Firenze il corruttore Ligresti, cacciare dalla città i lavavetri e gli accattoni. Berlusconi non va combattuto, ma imitato.
7) Se poi si viene indagati, come l'assessore Cioni, per tangenti da Ligresti, gridare al complotto politico come un Berlusconi qualsiasi («Se non fossi candidato alle primarie di Firenze, mi avrebbero indagato lo stesso?»).
Perché Berlusconi non va combattuto, ma copiato.

Troppi giorni di ordinaria follia

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http://ilcorrosivo.blogspot.com/

VENERDÌ 21 NOVEMBRE 2008

Marco Cedolin
La strage familiare di Verona, nella quale ieri un commercialista ha ucciso a pistolettate la propria moglie ed i loro tre figli, prima di rivolgere l’arma verso sé stesso e suicidarsi, riporta l’attenzione verso la tragedia degli omicidi – suicidi all’interno della famiglia, diventati ormai una costante della cronaca nera giornaliera. Tragedia all’interno della quale emergono in maniera drammatica tutte le contraddizioni di una società “malata” che fagocita le menti dei propri figli sull’altare di un fantomatico progresso.

Si vive immersi in una cacofonia di stimoli sensoriali, indotti al solo scopo di aumentare in maniera esponenziale i bisogni materiali dell’individuo, in ossequio alla logica consumistica che per sopravvivere necessita d’innescare sempre nuovi bisogni al soddisfacimento dei quali è assoggettata la felicità di tutti noi. Felicità che non tarda a tramutarsi in insoddisfazione e frustrazione per la stragrande maggioranza delle persone che non posseggono le disponibilità economiche sufficienti per l’acquisto di tutte quelle merci e servizi che (pur non essendolo) vengono percepite come indispensabili. Il consumo, e conseguentemente l’accumulo del denaro che lo consente, sta diventando ogni giorno che passa sempre più l’unico terminale delle ambizioni di individui che sono stati indotti ad accantonare qualsiasi valore morale (onestà, saggezza, integrità, altruismo) ritenuto superfluo, quando non addirittura controproducente al raggiungimento dello scopo.

Il “fare soldi” è diventato lo scopo di vita precipuo, essendo questo obiettivo instillato già nelle menti dei bambini fin dalla tenera età, bimbi che si vuole fin da subito vincenti, competitivi e cinici. L’arricchimento culturale, artistico e intellettuale non viene al contrario tenuto nella minima considerazione, tranne qualora possa venire facilmente monetizzato.
In conseguenza di ciò nei modelli proposti dalla famiglia e dalla scuola, l’imprenditore edile che “si è fatto da sé” ed ha accumulato ville ed auto potenti è la rappresentazione del vincente da imitare, contraltare dell’ottimo violinista o scrittore che non avendo però ottenuto adeguato ritorno economico dal proprio lavoro è stato costretto a vivere negli stenti e risulta pertanto perdente di fronte alla vita.

L’interpretazione dell’esistenza sotto forma di battaglia, dove l’aspirazione all’accrescimento materiale ha fagocitato ogni velleità di crescita interiore, l’abitudine di suddividere le persone in vincenti e perdenti, il senso di competizione che deve accompagnare ogni attimo della giornata, sono tutti elementi che contribuiscono ad aumentare il grado della frustrazione individuale. In ogni competizione infatti accanto ad un vincitore ci saranno molti perdenti e nella nostra società trasformata in una sorta di “gara a fare soldi” tutti coloro (la grande maggioranza) che non saranno riusciti nell’impresa finiranno per percepirsi come inadeguati e disadattati in quanto perdenti in una società dove è obbligatorio vincere.
Ma è proprio nell’ambito della famiglia e degli affetti che l’individuo cresciuto per “competere e basta” mostra tutta la propria inadeguatezza, all’interno di rapporti interpersonali diventati sempre più difficili, pregiudicati come spesso accade dalla mancanza di sensibilità, dalla incapacità patologica di aprirsi agli altri, di dare e ricevere amore in completa gratuità. L’individuo forgiato per l’unico scopo dell’arricchimento monetario e della competizione, finalizzati a conseguire idilliache “carriere” prodromiche di fantomatica felicità e realizzazione personale, finisce per trovarsi completamente spiazzato di fronte ai propri simili, abituato a considerarli da sempre unicamente nella veste di avversari. Nella creazione di un rapporto di coppia o di amicizia egli finisce infatti per portarsi dietro quella sorta di “arena” che gli è propria, con il contorno di competizione, invidia e sopraffazione che finiranno giocoforza per minare mortalmente in profondità il rapporto stesso.

I ritmi frenetici imposti dalla tecnomacchina e la tendenza sempre più esasperata all’ipercinetismo, quale espediente per non doversi mai soffermare un attimo “a pensare” riducono la nostra vita ad una corsa continua nel nulla delle nostre ambizioni. Manca sempre il tempo. Il tempo per gli affetti, il tempo per noi stessi, il tempo per vivere, il tempo per quella manifestazione d’intelligenza ormai in disuso che è il pensiero. Le nostre esistenze sempre più spesso finiscono per scimmiottare in maniera grottesca i modelli della radio e della TV, dove la fretta imperante, ancorché ingiustificata, alterna notizie urlate senza tirare il fiato a interminabili eternità di orientamenti agli acquisti.

Accade inoltre molto spesso che anche chi è riuscito ad arricchirsi e perciò “a vincere” sia stato costretto a pagare un prezzo comunque inaccettabile per questo suo successo. Accade che alla fine della “battaglia” invece della felicità agognata gli si palesi dinanzi il nulla della propria vita affettiva, l’assoluta mancanza di rapporti veri, un abisso inenarrabile di solitudine.
Proprio l’estrema solitudine interiore è una delle risultanti maggiormente deleterie indotte da un modello di vita ipercompetitivo. L’individuo chiuso ermeticamente nel proprio io non può infatti permettersi di condividere realmente con nessuno il proprio tentativo di abbarbicarsi sempre più in alto nella scala sociale, neppure con le persone che gli stanno accanto, essendo anch’esse potenzialmente elementi della competizione.
Sempre più marcatamente le famiglie si stanno trasformando in un ricettacolo di persone aliene l’una all’altra in quanto perse ciascuna nella propria individualità impermeabile rispetto all’esterno. I mariti, le mogli, i figli ed i genitori, all’interno di nuclei famigliari sempre più atomizzati, hanno modo di rapportarsi fra loro solamente quando la coincidenza dei rispettivi “tempi liberi” lo consente e quasi sempre si tratta di contatti superficiali, poiché in fondo all’animo continuano a rimanere degli estranei. Molto spesso le persone passano più tempo con i colleghi in ufficio o in fabbrica di quanto non ne trascorrano con il proprio partner ed i propri figli.
Ne consegue che quando si ritrovano l’uno di fronte all’altro non riescono a trovare nulla da dirsi, quasi fossero separati fra loro da una sorta di muro invisibile. Si scoprono attori di vite diverse, chiusi all’interno della propria incomunicabilità patologica, incapaci tanto di dare quanto di ricevere.

Tutti questi elementi contribuiscono a creare una società ansiogena ed isterica nella quale la depressione, i raptus di follia, i casi di suicidio e le stragi familiari continuano a crescere in maniera vertiginosa. Ma la causa scatenante che più di ogni altra spesso s’innesca sul retroterra di tante vite che non hanno il tempo di viversi, fino a determinare delle alterazioni comportamentali anche profonde e violente è la “precarietà”.
Precarietà del lavoro, inteso come mezzo per esistere, per essere accettati dagli altri, per avere una dignità, dal momento che un disoccupato nella nostra società finisce per somigliare ad un morto che cammina, invisibile a tutto e a tutti, e proprio il numero dei disoccupati, testimoni silenziosi di quella sconfitta che mette terrore, sta continuando ad aumentare in maniera esponenziale.
Precarietà degli affetti, figlia dell’incomunicabilità e di quella paura atavica della solitudine che da sempre portiamo dentro di noi.
Precarietà di tutto ciò che possediamo o forse semplicemente pensiamo di possedere, precarietà di una vita trasformata in competizione, dove alla fine non vince nessuno e stiamo perdendo tutti la nostra umanità.

giovedì 20 novembre 2008

India, Monsanto accusata di biopirateria

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http://www.liberidaogm.org/liberi/20081031_ogm.php

La multinazionale avrebbe utilizzato il codice genetico dei semi di cotone locali per sviluppare quello transgenico
di Fondazione Diritti Genetici- 31 ottobre 2008
L'ente governativo che tutela la biodiversità nello stato indiano dell'Andhra Pradesh (Apbb) ha accusato Monsanto India di biopirateria e chiede il pagamento delle royalties. Secondo l'Andhra Pradesh Biodiversity Board una parte del codice genetico del batterio Bacillus thuringiensis, rinvenuto nel villaggio meridionale di Mahanandi, sarebbe stato impiegato dalla multinazionale americana per sviluppare i semi di cotone resistenti agli attacchi del parassita della pianta. L'azienda ha negato l'accusa ma ha ammesso di aver fornito in appalto i semi di cotone Bt sui quali detiene il brevetto ad aziende private locali che hanno sviluppato i semi ibridi. Tuttavia, il presidente dell'Apbb è convinto che si tratti di un atto di biopirateria e chiede alla Monsanto di versare royalties equivalenti al 1-2% delle vendite indiane dei semi in questione allo Stato dell'Andhra Pradesh. Monsanto non dichiara quanto ricava dalla vendita dei semi di cotone Bt ma il quotidiano finaziario BusinessLine dell' 8 Settembre ha riportato che, nell'ultima stagione, le vendite dei semi transgenici di cotone Bt della Monsanto sarebbero ammontate, nella sola India, a oltre 300 milioni di euro, con introiti oscillanti per le aziende tra 3 e 6 milioni di euro per lo Stato dell'India del Sud. Secondo fonti non ufficiali, la multinazionale avrebbe offerto in cambio solo di farsi carico delle spese per migliorare le infrastrutture nei cinque distretti dell' Andhra Pradesh in cui opera.

LE IENE

fonte:
http://www.stefanomontanari.net/index.php

Scritto da Stefano Montanari
giovedì 20 novembre 2008
sono volte in cui non credo che ce la faremo. Ci sono volte in cui sento la solitudine. Ci sono volte in cui sento chiara e forte tutta la mia impotenza davanti allo spettacolo terrorizzante di un’umanità che corre al suicidio, e un suicidio dei più crudeli perché chi si prende la responsabilità di sparare il colpo non lo spara solo a se stesso ma coinvolge miliardi di suoi simili, nati e non ancora nati.

E oggi è una di quelle volte.

Ieri ero a Venezia, relatore ad un congresso internazionale il cui scopo era quello di santificare l’incenerimento dei rifiuti. Ero solo. Dall’altra parte, centinaia di personaggi, per lo più ingegneri, spesso i soliti tromboni universitari, che mangiano immondizia e di questa coprofagia vivono e prosperano.

Ho tenuto la mia relazione. Ho mostrato che cosa esce da uno di quei camini. Erano immagini di campioni prese al microscopio elettronico del nostro laboratorio. Ho mostrato che cosa si trova nei tessuti malati, specie in quelli dei bambini. Non ho fatto chiacchiere: ho mostrato fatti inconfutabili. Discutiamone finché vogliamo, ma quella roba

c’è.


Alla fine sono stato aggredito verbalmente da centinaia di persone. Quelli sopra quel massacro ci mangiano. Come gli avvoltoi. Come gli sciacalli. Come le iene. Io stavo mettendo a rischio il loro pasto che ai loro occhi ciechi promette di essere sempre più grasso. Almeno fino a che non si tirerà il sipario.

Vista freddamente, vista con la prospettiva di chi guarda da fuori e, magari, dal futuro, ci sarebbe stato da ridere, addirittura da sganasciarsi dalle risate a sentire le idiozie che echeggiavano in quell’augusto salone. E invece ad echeggiare era una miriade sinistra di sentenze di morte.

Quei signori ignorano la fisica, la chimica, la tossicologia. E il buon senso.

Da due habitué del Politecnico di Milano (come per un vecchio purgante, basta la parola) sono uscite enormità quali: la tonnellata di fumi che esce da una tonnellata di rifiuti bruciati contiene ossigeno atmosferico e, dunque, non è una vera tonnellata. Credo sia inutile far notare ad una macchietta simile che, nel rispetto della legge di conservazione della massa, l’ossigeno che viene sottratto all’aria si combina con altre sostanze dando origine a composti tossici. La diossina, che ha due atomi di ossigeno nella molecola, è uno dei tantissimi composti del genere.

L’altra enormità è: l’aria che esce da un inceneritore è identica a quella che entra. Seguita da: mettiamo filtri di carbone attivo che bloccano tutto (dove finirà quel carbone carico di porcherie resta coperto dalla privacy). Qui mi rifiuto di commentare per manifesta inferiorità intellettiva del personaggio, peraltro lo stesso che affermò in TV (Matrix), spalleggiato dallo statista Gasparri, che la strategia “rifiuti zero” forse si attua in qualche paesino della tundra canadese e nulla più. San Francisco e l’intera Nuova Zelanda, tra le migliaia di altre ubicazioni, sono site nella tundra canadese, stando alla personalissima geografia del professore e dello statista.

E un medico, l’unico presente, un oncologo che dice che solo il 3% dei cancri viene dall’inquinamento ambientale, e che non capisce che, cancri o no, le polveri che ho mostrato nei reperti presi da bambini malati o da feti malformati non hanno alcun diritto di essere là. E come è possibile affermare che dei corpi estranei in cui c’è davvero di tutto siano perfettamente innocui? E come è possibile impiegare il denaro pubblico per mettere in piedi un’indagine epidemiologica che nasce vistosamente taroccata (vedi Il Girone delle Polveri Sottili)? E come è possibile aprire bocca per contestarmi se non ci si è mai presi la briga nemmeno di leggere ciò che abbiamo scritto (e ieri, proprio per questa ignoranza, sono stato accusato di aver affermato sciocchezze che non mi sono mai passate per il cervello)?

Il tutto, naturalmente, senza aver mai fatto uno straccio di analisi nanopatologia sui tessuti malati, di qualunque natura la malattia sia. Esattamente come si faceva quando la scienza era l’ipse dixit: è vero non perché l’ho sperimentato ma perché l’ho detto io che sono tanto bravo.

Insomma, siamo nelle mani di un branco di iene. Denaro? Potere? Semplice ignoranza? Non posso dire che cosa spinga ognuno di loro. Ciò che posso dire è che, dal punto scientifico, il livello è molto sotto lo zero e che dal punto di vista morale il livello è, se possibile, di gran lunga inferiore. Quelli, se ne rendano conto o no, rischiano di essere complici di delitti che vanno dal disastro ambientale al danno patrimoniale, dalla lesione grave all’assassinio.

Non solo questo, ma quelli, certo non abituati ai congressi di medicina, sono pure talmente vigliacchi da insultarmi perché ho mostrato la fotografia di un bambino morto di leucemia mieloide acuta dopo otto ore dalla nascita. In quel corpo, in tutti i suoi organi compresi il cervello e il cuore, c’era la collezione di polveri ambientali più spaventosa che si possa immaginare. Vigliacchi perché mi hanno accusato di far leva sulle emozioni mentre di quel bambino loro avevano in qualche modo firmato la sentenza di morte. Vigliacchi perché loro uccidono a distanza e non hanno nemmeno il coraggio di guardare in faccia la loro vittima. E vigliacche le centinaia di persone del pubblico che agl’insulti hanno applaudito.

L’orrore che provo per voi, però, è sovrastato dalla pietà umana che mi suscitate. Voi non sapete che cosa state facendo, come soldatini disciplinatamente decerebrati che servono in un campo di sterminio. Se esiste un dio misericordioso, abbia pietà di voi.

Ma io che cosa posso fare? Io quelle cose le vedo tutti i giorni nel mio laboratorio, e le vedo sotto uno strumento senza emozioni come un microscopio che mi restituisce immagini obiettive e un’analisi chimica elementare senza possibilità d’errore.

Io non voglio essere creduto per un atto di fede: chiedo che si rifaccia ciò che facciamo noi in laboratorio, che lo si faccia per migliaia di volte come abbiamo fatto noi e che mi si dimostri, dati freddi e lucidi alla mano, che sbaglio, che per anni qui si sono presi degli abbagli, che io non ho capito niente. A quel punto io sarei il primo a tirare un sospiro di sollievo.

Ma nessuno fa questo. E nessuno lo fa per due motivi: il primo è per incapacità (ma, con impegno ed umiltà s’impara), e il secondo è perché chi in quella banda ha ancora cervello sa perfettamente che cosa significherebbe fare indagini sul serio.


Che fare? Inutile illudersi: io da solo non ce la posso fare. O mi si dà sul serio una mano o abbiamo perso

Pd, ultima fermata

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http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/

20 novembre 2008, in PETER GOMEZ
C'è da sperare che qualcuno riesca a far dimettere il senatore Nicola Latorre almeno dall'incarico di vice-capogruppo dei democratici al Senato. Pensare infatti che i probiviri del Pd espellano, o quantomeno sospendano, il braccio destro di Massimo D'Alema dal partito, così come farebbe qualsiasi partito in qualsiasi democrazia occidentale, è velleitario. Ormai è chiaro che di occidentale il nostro paese conserva solo la collocazione sulla carta geografica: tutto il resto, dalle classi dirigenti fino a buona parte dei media, è levantino. O, se preferite, latino americano.

Ma persino in Sud America un parlamentare di opposizione smascherato in tv mentre consiglia per iscritto a un esponente della maggioranza le frasi e i ragionamenti da utilizzare per tentare di levarsi dall'impaccio in cui lo ha cacciato un avversario politico, verrebbe immediatamente fatto scomparire dalla scena. Ovviamente non per senso etico o morale, ma per convenienza. Con quale residua credibilità Latorre potrà nel futuro opporsi, o fingere di opporsi, a prese di posizione, leggi e interventi avanzate dalla maggioranza? D'ora in poi la sua faccia rotonda, il suo cranio pelato, saranno solo e semplicemente il simbolo del'inciucio. Saranno un inno al qualunquismo di chi dice «intanto sono tutti uguali». Saranno la pietra tombale sulle già scarse possibilità del centro-sinistra di tornare un giorno alla guida del paese.

Eppure tra gli oligarchi nostrani Latorre resta popolarissimo. Ieri i suoi amici, per fronteggiare l'ondata di sconcerto montante anche dall'interno del Pd, hanno straparlato rievocando i processi staliniani. Il pugliese Francesco Boccia, dimostrando di non aver ricevuto nessun beneficio dagli anni trascorsi in gioventù studiando a Londra, è arrivato a dire: «Siamo passati da Obama a Stalin». L'ex prodiano Paolo De Castro ha definito «grottesche le critiche» per il pizzino allungato da Latorre. E tutti hanno catalogato l'episodio tra le scaramucce in atto tra i dalemiani e i veltroniani per il controllo del partito democratico.

Ora, è evidente che tra i due gruppi sia in corso una guerra. Ed è altrettanto ovvio che Veltroni e i suoi, mentre premono per le dimissioni di Latorre, sotto sotto si fregano le mani pensando di aver segnato un punto in loro favore. Ma tutto questo non basta per evitare di discutere del nocciolo della questione: Latorre con il suo comportamento ha danneggiato gravemente il partito, se non se ne va lo danneggerà ancor di più. Per il Pd, insomma, è arrivato all'improvviso l'ultimo treno. Sarebbe il caso che da quelle parti ci si desse da fare per non perderlo.

GENERAZIONE DECRESCENTE

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http://www.decrescitafelice.it/?p=358

19/11/2008
di Andrea Bertaglio

Provate, se avete piu’ di quarant’anni, a far parte di una generazione che si e’ sempre sentita dire che e’ fortunata perche’ ha avuto tutto. Provate ad immaginare, per una volta, che cosa voglia dire davvero avere tutto. O pensare di averlo, almeno. Credete che sia facile dare un senso alla propria vita?
Provate a vivere in un mondo in cui tutto e’ gia’ stato detto, o fatto, o scoperto, o inventato, o addirittura vissuto. Un mondo in cui i vostri padri possono vantarsi di aver costruito tutto da soli. Immaginate di non trovarvi sempre e comunque a vostro agio, in questo mondo costruito “per voi”, soprattutto quando ne avete molte ragioni per farlo.
Provate ad avere trent’anni e a dover lavorare a tempo determinato in un call centre, magari vivendo ancora in casa dei genitori perche’ impossibilitati a (se non incapaci di) mettere su famiglia. Se non volete metter su famiglia, provate a metter su casa, se non potete ricevere un prestito da banche ormai alla rovina che non si fidano (!) di voi.
Provate a crescere col cervello quotidianamente bombardato da impulsi che, quando non sono a scopo pubblicitario, vi fanno credere che, senza il minimo impegno o capacita’, diventerete rock-star o divi televisivi. Crescete col boom della pubblicita’ prima e dei reality show poi, invece che con “Carosello”.
Provate ad uscire un sabato sera e sentire il vuoto fuori e dentro di voi, nel vedere molti, troppi coetanei incapaci di affrontare anche una semplice serata in discoteca senza ricorrere all’uso di sostanze piu’ o meno legali.
Provate a crescere e maturare nel periodo storico in cui si stanno pagando le conseguenze sociali, ambientali, politiche ed economiche delle scelte sbagliate fatte da molte delle persone che oggi vi accusano di essere degli ingenui, dei deboli, degli svogliati.
Provate a non avere idea di cosa ne sara’ del vostro domani, vuoi per i crash finanziari piuttosto che per i cambiamenti climatici.
Provate ad essere giovani in un mondo vecchio. Un mondo in cui la folle corsa al “di piu’”, al “piu’ grande”, al “piu’ veloce”, vi ha probabilmente fatto mangiare tre volte al giorno, ma vi ha tolto molto altro.
Provate, anche solo per un giorno. E ditemi se la Decrescita non e’ l’unica risposta ai nostri problemi che non sia priva di senso, vivendo nella quasi totale assenza, tra l’altro, di uno straccio di spiritualita’ o di un briciolo di ideologia.
E’ stato fino ad oggi un viaggio a senso solo: verso l’alto. Ma chi vola troppo in alto, si sa, prima o poi viene colto dalla vertigine.
Noi siamo la vertigine. E vogliamo rallentare. Vogliamo scendere. Vogliamo decrescere!

E sempre siano lodati gli speculatori

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http://www.ilribelle.com/

Federico Zamboni ha spiegato in modo magistrale, nello scorso numero, i vari e complessi meccanismi che hanno portato al collasso del mercato finanziario in tutto il mondo industrializzato. Tuttavia sarebbe fuorviante attribuire questo collasso agli speculatori, agli agenti facilitatori di mutui, alla "finanza creativa", agli edge fund, ai derivati, ai future, ai "titoli tossici". Questo è anzi ciò che stanno cercando di farci credere tutte le leadership politiche, economiche, intellettuali, che oggi criminalizzano quella "finanza creativa" e i suoi protagonisti che fino a ieri avevano tanto esaltato, per mascherare la realtà: che l'intero nostro modello di sviluppo è "tossico". Quanto è successo in quest'ultimo anno non è infatti che la punta di un iceberg gigantesco che affonda le sue radici (ammesso che un iceberg abbia delle radici e non galleggi invece, come il nostro modello, sul vuoto) ben al di là dei cosiddetti eccessi della "finanza creativa" e va oltre lo stesso mercato del denaro per arrivare al nocciolo duro e vero di tutta la questione e cioè al sottostante sistema industriale, all'"economia reale" come la chiamano. Il capitalismo finanziario non è che la diretta e inevitabile conseguenza (oltre che, in qualche modo, la precondizione) di quello industriale. Ne segue, e non si vede perché non dovrebbe farlo, le stesse logiche: il profitto, la sua massimizzazione col minimo sforzo, l'inesausta scommessa sul futuro. Prendersela col capitalismo finanziario, come fanno certe suorine della sinistra, alla Vivianne Forrester o alla Alain Mino, senza mettere in discussione l'industrialismo (cosa che le suorine di sinistra non possono fare perché Marx era un'industrialista convinto al pari di Adam Smith e David Ricardo) è come meravigliarsi che avendo inventato la pallottola si sia arrivati al missile.

La speculazione non è una prerogativa della finanza. Tutto il nostro sistema è basato sulla speculazione. In fondo si può dire che il primo uomo che ha scambiato una merce con un'altra con fini di guadagno (e perché questo sia possibile bisogna che esista il denaro come misura del valore dell'una e dell'altra), uscendo dall'onesto baratto, per cui se io ho del sale e tu del pepe io ti do un po' del mio sale e tu un po' del tuo pepe senza stare a badare (a "speculare") quale dei due vale di più, ha fatto della speculazione.

Naturalmente fino a quando questo spirito speculativo, completamente estraneo alle società che noi chiamiamo "primitive", restò circoscritto ai commerci, in assenza di un vero e proprio apparato industriale, le sue conseguenze furono limitate. Qualcuno si sarà fatto più ricco, qualcun altro più povero, ma la gente continuò a vivere, in buona sostanza, come aveva sempre vissuto. La società rimaneva fondamentalmente statica e quindi solida. Fra il "capitalismo commerciale", come lo chiamava Marx, che ebbe inizio in Italia fra il Duecento e il Trecento con l'ascesa dei mercanti fiorentini e piacentini, e quello industriale c'è infatti una sostanziale differenza di qualità. Il primo opera sull'esistente, su una domanda che c'è già. E quindi poco o nulla cambia. Il secondo dapprima dilata enormemente l'offerta di beni esistenti producendo su scala e a minor prezzo ciò che in precedenza era fatto artigianalmente. In un secondo tempo, col progredire della scienza tecnologicamente applicata, il capitalismo industriale produce beni nuovi, stimola o inventa bisogni che prima nessuno sapeva di avere. L'industrialismo, a differenza del commercio, non si limita a trasferire beni, li crea. E una volta che li ha creati ha la necessità di smerciarli. Di qui la perenne ricerca di nuovi mercati, sia in senso verticale (introduzione di sempre nuovi prodotti), sia in senso orizzontale, geografico, conquistando, con le buone o con le cattive, a questo modello di sviluppo altre civiltà, altre popolazioni, altre culture. È per questo processo, durato due secoli e mezzo, che si è arrivati all'odierna globalizzazione. Ma tutto ebbe inizio con la Rivoluzione Industriale. È in quel momento che ciò che noi chiamiamo Occidente finisce di essere una società tradizionale per divenire una società "calda" come l'ha definita Lévi Strauss. Le società tradizionali sono tendenzialmente statiche e privilegiano l'equilibrio e l'armonia a scapito della competizione, dell'efficienza economica e tecnologica. Quelle "calde" sono invece dinamiche e scelgono l'efficienza e lo sviluppo economico a danno però dell'equilibrio dato che "producono entropia, disordine, conflitti sociali e lotte politiche, tutte cose contro le quali... i "primitivi" si premuniscono forse in modo più cosciente e sistematico di quanto non supponiamo" (Lévi Strauss). Ma una società "calda" ha nel suo stesso dinamismo la propria condanna. Non solo perché con le sue accelerazioni forsennate (di cui quella del denaro è solo il prepuzio) richiede agli esseri umani uno sforzo continuo di adattamento e provoca stress, nevrosi, depressione, anomia, angoscia, ma perché un modello di sviluppo che si basa sulla crescita continua, che esiste in matematica ma non in natura, il giorno che non può più espandersi, implode, collassa su se stesso.

In quest'ottica l'attuale crisi economica può essere una doppia chance. Perché è un avvertimento a cambiare rotta, e presto, e subito, prima che si arrivi a una catastrofe irreversibile. E perché un modello di sviluppo che ha puntato tutto sull'economia, marginalizzando tutti gli altri valori ed esigenze dell'essere, e che fallisce anche e proprio sull'economia, indurrà, io credo, spero, le persone a riflettere anche sul non-economico, cioè sul tipo di vita insensata e disumana che conduciamo anche quando non sono in circolazione "bolle finanziarie" e minacce di recessione. Gli speculatori di Wall Street and company, svelando involontariamente il gioco per un eccesso di ingordigia che in realtà ci riguarda tutti, non saranno mai ringraziati abbastanza.

Massimo Fini

mercoledì 19 novembre 2008

Censura sui blog

fonte:
http://www.movimentozero.org/mz/

Prima una debita premessa, facile almeno per chi legge abitualmente questo blog: qualunque tentativo messo in atto dal Parlamento di limitare la libera espressione è, naturalmente, dovuto alla volontà di mantenere lo status quo.
Ovvero di evitare, con restrizioni sempre più soffocanti, che vi siano voci in grado di esprimersi liberamente e soprattutto arrivare a una audience più o meno elevata, comunque oltre la propria stretta cerchia di conoscenti. Come avviene spesso (almeno potenzialmente) attraverso internet. Voci, ovvio, che possano in qualche modo disturbare lo “stato delle cose” ed esprimere opinioni differenti rispetto a quelle che passano sui media ufficiali. Media ufficiali i quali, chiaro, sono strettamente collegati (conniventi?) proprio al Palazzo e ai suoi "derivati”.
Però c’è un però. Grosso come una casa. Che, onestà intellettuale vuole, non si può eludere: tutti possono dire ciò che vogliono, ma nessuno può permettersi di dire qualcosa senza prendersene la responsabilità.
Ora, è evidente che equiparare i blog a una testata giornalistica – di questo si parla, in riferimento al prodiano disegno di legge Levi – sia cosa abnorme. Così come abnorme, e da respingere con sdegno e forza, sia il fatto di voler imporre ai proprietari di siti e blog tutta una serie di clausole, iscrizioni e incombenze normalmente imposte alle testate giornalistiche di ogni tipo, dunque anche a quelle sul web.
Su questo non c’è molto da dire: tentare di equiparare i blog a testate giornalistiche significa mettere il silenziatore a tantissime voci scomode (oltre che a quelle inutili e dannose: cosa a margine del progetto in discussione ma comunque parte del tutto) che avrebbero vita non facile, quando non proprio impossibile, nel continuare la propria esistenza.
Una cosa è però inaccettabile: che dietro a siti e blog sia ancora possibile, oggi, non rendere pubblica la propria identità. Basterebbe questo, forse, per regolamentare non già il web – che non ha bisogno di regolamentazioni pelose piovute dall’alto – ma ripristinare la possibilità di rispettare regole comuni di civiltà (oltre che sani e giusti principi dell’informazione e della libera espressione).
Oggi è possibile aprire un blog sotto falso nome e dire quello che passa per la mente, offese e ingiurie incluse (o anche lasciare un commento su un qualsiasi altro sito o blog) senza firmarsi, ovvero senza prendersi la responsabilità di ciò che si dice. Basterebbe evitare questo, e la correttezza sarebbe ripristinata.
Perché invece il Parlamento tenta di apportare modifiche ancora più restrittive? Semplice: perché oggi, anche senza incorrere in reati di diffamazione o altro, basta raccontare semplicemente qualche verità per dare fastidio al sistema. E dunque, non si vuole colpire il fatto di dare nome e cognome a chi racconta la verità, ma si vuole viceversa colpire chiunque (con nome o meno) la racconta. Il che è, naturalmente, inammissibile.

Valerio Lo Monaco
Direttore responsabile La Voce del Ribelle

martedì 18 novembre 2008

INTERVISTA DOTT. MONTANARI N° 5

fonte:
http://it.youtube.com/user/FARMACIAANNUNZIATA
Vi consiglio di andare nel link sopra e di vedere anche tutti gli altri video.

LA LEZIONE DI HANNAH

fonte:
http://www.movimentozero.org/mz/

14 novembre 2008

Mentre in Italia si consuma l'inutile e angosciosa e indecente agonia di Eluana Englaro, da Londra ci arriva una di quelle piccole, grandi storie che racchiudono in sè i problemi e il senso di un'epoca.
Hannah Jones è una ragazzina di 13 anni, affetta dall'età di cinque da una forma rara e gravissima di leucemia. Otto anni della sua breve vita li ha passati facendo su e giù con l'ospedale di Hereford. Le cure intensive e intrusive cui ha dovuto sottoporsi per sopravvivere le hanno spaccato il cuore. I medici hanno allora deciso di sottoporla a un trapianto. Ma Hannah ha detto no. Anche se il trapianto fosse riuscito le avrebbe dato solo qualche mese di vita in più dei sei che i medici le hanno pronosticato nel caso non si fosse sottoposta all'operazione. Ma Hannah ha deciso che non voleva più vivere una vita che non era più tale e la cui qualità, se si può usare questo termine, sarebbe ancora peggiorata per le ulteriori e pesantissime cure cui avrebbe dovuto sottoporsi per evitare il rigetto. Voleva passare quel poco che le restava da vivere a casa sua, con i genitori e i tre fratellini, e morire di morte sartificiale. E ha detto no. Il rifiuto della ragazzina, oltre che legittimo, era perfettamente legale perché la giurisprudenza inglese consente anche ai bambini di respingere le cure "se hanno un sufficiente grado di comprensione". In ogni caso i genitori, che hanno la tutela legale, erano d'accordo. Ma a non essere d'accordo, non si capisce in base a quale principio, erano i medici dell'ospedale di Hereford che hanno fatto ricorso all'Alta Corte chiedendo ai giudici di sottrarre la ragazzina alla custodia dei genitori e di restituirla all'ospedale.
Ma la piccola Hannah, indomita, si è allora rivolta a un'assistente sociale per spiegarle le sue ragioni, che l'assistente ha condiviso. Ciò ha convinto la direzione dell'ospedale di Hereford a ritirare il suo ricorso e la piccola Hannah Jones ha vinto la sua battaglia per poter morire in santa pace.
È una vittoria dolorosa ma molto importante perché va contro un diffusissimo, pernicioso, e interessato, principio dell'era tecnologica, che è andato sempre più imponendosi in questi anni, secondo il quale la lunghezza della vita, non importa a che condizioni è il bene supremo e che consegna il malato, privato di ogni autonomia e di ogni diritto, alla società e, attraverso questa alla congregazione degli scienziati e dei tecnici, in questo caso dei medici delle équipes ospedaliere.
L'uomo è sempre stato un essere oppresso, ma mai come in quest'epoca "liberale" ha finito per essere espropriato, dalla tecnica e dalla cultura che la tecnica ha generato, davvero di tutto, anche della propria morte. E non si è padroni nemmeno della propria vita se non si è padroni della propria morte. La tecnica è riuscita in un'impresa che sembrava impossibile, quella di spersonalizzare anche ciò che l'uomo ha di più privato, individuale e indivisibile: la sua morte.
Nella società preindustriale non era così. «L'uomo è stato, per millenni, il padrone assoluto della sua morte e delle circostanze della sua morte, oggi non lo è più» (Philippe Ariès, Storia della morte in Occidente). Un tempo si moriva a casa, circondati dai familiari e dagli amici, si presiedeva la propria morte e, dopo un'agonia breve, si rendeva l'anima a Dio. Oggi si muore soli, negli ospedali, in struttura disumanizzante, ridotti a numeri, a oggetto di esperimenti, irti d'aghi, intubati, monitorizzati, una povera cosa umiliata, privata della propria identità e dignità. In nome della lunghezza della vita e per non voler più accettare la morte l'uomo dell'era tecnologica è disposto a qualsiasi cosa. Ma, soprattutto, lo sono le équipes ospedaliere.
Hanna Jones, opponendosi a questo scempio, ci ha dato una grande lezione. Ha riaffermato il diritto di ognuno a vivere liberamente la propria vita; la propria malattia e la propria morte. Ha riaffermato il primato dell'individuo sulla società, dell'uomo sulla tecnica. Grazie, piccola, coraggiosa, commovente Hannah.

Massimo Fini

Facciamo l’ipotesi

fonte:
http://www.farmaciaannunziata.it/BlogWP/2008/11/facciamo-lipotesi/

Giovedì, Novembre 06th, 2008
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al
potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole
rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non
vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in un alloggiamento
per manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare
le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di
stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza;
in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata.

Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi
teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a
screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a
favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del
suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad
andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si
comincia perfino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole,
perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si
danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro
figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A
“quelle” scuole private. Così la scuola privata diventa una scuola
privilegiata. .

Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di
stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per
dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, questa è la
ricetta. Bisogna tenere d’occhio i cuochi di questa bassa cucina.
L’operazione si fa in tre modi, ve l’ho già detto: rovinare le scuole
di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci.
Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo
sulle scuole private. Non controllarne la serietà.

Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per
insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole
priva te denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private
denaro pubblico.

(in Scuola Democratica, 20 marzo 1950 - Pietro Calamandrei)

lunedì 17 novembre 2008

boscofangone

11 novembre 2008
fonte:
http://www.laterradeifuochi.it/

Cosa sono le Transition Towns?

fonte:
http://www.decrescitafelice.it/?p=355

17nov2008
di Marianna Gualazzi

Il seguente articolo è tratto dalla rivista Consapevole 17
http://www.ilconsapevole.it/newsletter/_consapevole_17.htm

Cambiare prospettiva. Guardare gli eventi da un altro punto di vista. Trasformare una situazione apparentemente negativa, in un’occasione di cambiamento positivo. Cambiare. Prepararsi al cambiamento. Allenarsi per la transizione.
Perché un cambiamento, e anche grande, ci sarà di certo e coinvolgerà principalmente il nostro stile di vita sviluppatosi sulla scia della grande disponibilità di combustibili fossili a buon mercato: disponibilità e buon mercato che - ed è sotto gli occhi di tutti - stanno tristemente per terminare. Ma proprio qui sta il punto: siamo sicuri che questa fine sia così triste, tragica e senza speranza?
«La crescita è la vera utopia - scrive Maurizio Pallante nella prefazione al Calendario della Decrescita 2009 - l’aumento del prezzo del petrolio e la diminuzione della sua disponibilità porteranno inevitabilmente alla decrescita delle attività produttive. Se a questo aspetto si sommano gli effetti della crisi finanziaria americana dei derivati che sta per arrivare in Europa, e si aggiunge la crisi industriale - un fatto inevitabile dal momento che ormai abbiamo tutto quello che ci è necessario e anche di più - ci rendiamo conto che la prospettiva della decrescita è una prospettiva molto realistica. Il problema è fare in modo che questa decrescita, che comunque ci sarà, non sia una decrescita devastante - perché subita senza aver fatto nulla per attenuare le conseguenze negative - ma una decrescita controllata, voluta, gestita, che ci consenta di riscoprire un modo di fare, di lavorare, di rapportarci con noi stessi e con il mondo che abbiamo dimenticato in tempi rapidissimi. La decrescita può essere l’occasione per riscoprire tutti quei modi di vivere che hanno una potenzialità di futuro molto superiore alla mancanza di capacità di futuro che ha una società economica fondata sulla crescita del PIL e sulla produzione di merci».
Se la crescita è la vera utopia e nella decrescita risiede la nostra capacità di futuro, allora due importanti fenomeni come il picco del petrolio e il mutamento climatico possono essere la più grande opportunità mai presentatasi fino ad ora all’uomo contemporaneo. L’opportunità di cambiare.
Avete presente la curva del picco del petrolio? La curva - che la forma tipica di una campana - ci dice che ad un certo punto della storia viene raggiunto un picco, detto picco di Hubbert, che rappresenta il massimo storico delle capacità di estrazione. Successivamente al picco, il ritmo a cui il petrolio viene estratto inizia a decrescere progressivamente, fino ad arrivare a zero.
E se dopo la discesa post picco ci fosse di nuovo una salita? Se quella discesa a zero non fosse altro che una rampa di lancio per risalire di nuovo e approdare a qualcosa di diverso?
Con la testa con il cuore con le mani
Se il picco del petrolio fosse, in definitiva, una grande opportunità? È questa la filosofia che anima il movimento culturale della transizione (Transition Culture), nato in Inghilterra dalle idee e dai progetti di Rob Hopkins - ex insegnante di permacultura ora stabilitosi a Totnes, capostipite delle Transition Towns nel Regno Unito. Dalla cultura della transizione derivano le città della transizione: scopo delle Transition Towns è quello di cercare di capire in che modo una comunità può rispondere ai cambiamenti e alle opportunità messe a diposizione dalla correlazione dei due fenomeni sopra citati: picco del petrolio e riscaldamento globale. La cosa interessante è che qualsiasi città, villaggio, metropoli può avviare un progetto di transizione: il punto è proprio questo, permettere alle comunità di lavorare nel luogo in cui si trovano, nel qui ed ora, nel momento presente e con le capacità attualmente disposizione all’interno della comunità stessa. Ogni città, in questo senso, può diventare una Transition Town. Ma qual è il punto di arrivo? Verso cosa si è in transizione? Lo scopo è dare vita ad un Energy Descent Action Plan ovvero ad un Piano di Discesa Energetica capace di ridurre il consumo di energie dell’intera comunità.
«Le Transition Towns - ci racconta Ellen Bermann, esperta in Italia di Transition Towns - sono delle esperienze di resilienza locale (per resilienza intendo la capacità di una comunità di essere autosufficiente rispetto all’esterno per quel che riguarda il cibo, l’energia e le attività economiche) in cui si prendono in considerazione due effetti ambientali molto importanti e attuali: uno è il cambiamento climatico e l’altro è il picco del petrolio. Spesso i due aspetti vengono considerati in maniera separata, ma se andiamo ad analizzarli in modo olistico possiamo renderci conto del fatto che sono due facce della stessa medaglia. La cosa più appassionante e interessante delle Transition Towns è l’approccio estremamente positivo capace di far presa sul livello locale della nostra esperienza di vita: non tutti avremo modo di emigrare in un eco villaggio, quindi è necessaria una modalità di approccio che prenda in considerazione il dove effettivamente le persone vivono: nei loro paesi e nelle loro città. Ed è lì che bisogna trovare delle soluzioni: sull’esistente».
L’articolo nella sua versione integrale è disponibile sul Consapevole 17
http://www.ilconsapevole.it/newsletter/_consapevole_17.htm

Il Cile entra nell'elenco dei paesi contaminati da OGM

fonte:
http://www.liberidaogm.org/liberi/20081030_ogm.php

Un report di INTA ha rilevato contaminazioni di mais transgenico nei campi del centro Cileno. La presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) comporta un rischio per l'agricoltura biologica e le esportazioni di sementi convenzionali da parte delle imprese presenti in quelle aree del Cile. Il mais contaminato è stato venduto illegalmente nel mercato per il consumo umano e per le sementi.

di Sara Larrain ,Programa Chile Sustentable; María Isabel Manzur, Fundación Sociedades Sustentables; Patricio Larrabe - Óscar Letelier, Desarrollo Rural Colchagua
30 ottobre 2008

L'Istituto per la nutrizione e la tecnologia alimentare (INTA) a carico dell 'Università del Cile, ha rilevato la presenza di contaminazione in campioni di mais nelle vicinanze dei campi di mais transgenico utilizzate per le sementi di esportazione. I campioni sono stati raccolti in 30 diversi campi nella regione di O'Higgins, durante i primi mesi del 2008. Quattro campi nei settori della Placilla, Santa Cruz e Chimbarongo, sono risultati positivi per la contaminazione transgenica derivata dai campi di mais transgenici coltivati nelle vicinanze. Lo studio è stato ordinato dal Programma Sustentable Cile e dalla Fundacion Sociedades Sustentables e i campioni sono stati raccolti dall'organizzazione regionale Sviluppo rurale Colchagua.
"Questo studio mostra, per la prima volta, che la contaminazione da OGM si è verificata anche nei settori biologici in Cile. Questa è una situazione molto grave in quanto il mais contaminato è stato coltivato illegalmente, non è stato approvato per le sementi dalla SAG (Agricolture and Livestock Service), e neppure per il consumo umano", dice Maria Isabel Manzur dalla Fundación Sociedades Sustentables.
Nel corso del 2007, 216 casi di contaminazione transgenica sono stati registrati in 57 paesi, il che significa che la contaminazione è diffusa in tutto il mondo. Il direttore del Programma Sustentable Cile, Sara Larraín, ha chiesto alle autorità di "riconsiderare le loro politiche in materia di colture transgeniche, data l'impossibilità di controllare la contaminazione e la separazione delle colture".
Entrambe le organizzazioni hanno richiesto al ministro dell'Agricoltura, degli studi indipendenti per valutare l'estensione nel paese della contaminazione delle colture transgeniche e delle sementi, in modo da adottare misure per contenere l'attuale contaminazione, ratificare il protocollo sulla biosicurezza e passare una nuova legge per vietare l'uso delle colture transgeniche in Cile, sia per la loro pericolosità per l'ambiente e che per la salute umana.
Il prezzo pagato per l'analisi INTA è stato di 2,4 milioni di pesos cileni (circa US $ 4.500), evidenziando gli alti costi che qualsiasi agricoltore avrebbe dovuto pagare per rilevare la contaminazione GM nel suo settore. Manzur ha dichiarato che "questa situazione mette a repentaglio le esportazioni di prodotti agricoli dal Cile, l'agricoltura biologica e convenzionale e la produzione di sementi da parte delle imprese nella regione O'Higgins".
Nel 2007, SAG ha approvato 25.000 ettari di colture transgeniche in Cile, per la maggior parte atte alla produzione di sementi di mais per l'esportazione. Allo stesso tempo, il Congresso discute un progetto di legge promosso dai Senatori - Alberto Espina (RN), Eduardo Frei (DC), Fernando Flores (Cile Primero), Andrés Allamand (RN) e Juan Antonio Coloma (UDI - per espandere le coltivazioni transgeniche in Cile per il consumo interno e senza etichettatura.

Per scaricare il comunicato in lingua originale (inglese), clicca qui.

«dite no alla sperimentazione di Ogm in campo aperto»

fonte:
http://www.greenreport.it/contenuti/leggi.php?id_cont=16632

17/11/2008
Ferrante alla Conferenza Stato-regioni: «dite no alla sperimentazione di Ogm in campo aperto»

LIVORNO. La conferenza Stato-Regioni sarà presto chiamata a pronunciarsi sul decreto che darebbe il via alla sperimentazione di alcune colture Ogm in campo. Per Francesco Ferrante (Nella foto), responsabile agricoltura di Legambiente «La sotterranea approvazione da parte di questo Governo di 9 protocolli per la sperimentazione delle coltivazioni Ogm in campo aperto, dimostra con quanta leggerezza sia stato affrontato un tema delicato e complesso come quello della possibile contaminazione e conseguente distruzione di pregiate e famose colture tipiche italiane. Con la sperimentazione in campo aperto infatti, alcune varietà ortofrutticole tra cui vite, ulivo, fragole e ciliegie nostrane, saranno a rischio».

Ferrante chiede che «La Conferenza Stato-Regioni blocchi i protocolli e intervenga affinché sia riconosciuta l´assoluta inadeguatezza delle misure di sicurezza presentate, che non garantiscono in nessun modo né la non contaminazione del territorio né il risarcimento per l´eventuale contaminazione delle colture confinanti».

Intanto l´Associazione italiana per l´agricoltura biologica (Aib) rilancia le rivelazioni di The Independent on Sunday che ha reso nota una dossier su due incontri "segreti" di leader Ue e documenti confidenziali che rivelano piani strategici per accelerare l´introduzione di Ogm in Europa,secondo i quali i rappresentanti agricoli e l´industria dovrebbero essere più espliciti e decisi nel contrastare gli "interessi acquisiti" degli ambientalisti. Barroso avrebbe sottolineato il ruolo dell´industria e della scienza per convincere l´opinione pubblica della bontà degli Ogm e che l´opposizione pubblica ha impedito che qualsiasi specie modificata potesse essere coltivata in Gran Bretagna. I pro-Ogm sono preoccupati: la Francia, uno dei tre paesi ad avere coltivato specie modificate in quantità commerciali, ne ha sospeso la coltivazione e anche in Spagna e Portogallo la resistenza anti-Ogm sta aumentando rapidamente.

«I leader europei stanno segretamente preparando una campagna che ha lo scopo di incrementare le coltivazioni e gli alimenti Ogm nel Regno Unito e in tutto il continente – spiega l´Aiab - Gli incontri segreti sono stati convocati da Jose Manuel Barroso, presidente della Commissione e pro GM, e sono stati presieduti dal suo capo di gabinetto Joao Vale de Almeida. Ai primi ministri di ciascuno dei 27 stati membri dell´Ue è stato chiesto di nominare un rappresentante speciale. Non sono stati resi pubblici né i nomi dei partecipanti, né i temi trattati, né gli esiti degli incontri. Le conclusioni rivelano che le discussioni sono state incentrate prevalentemente su come accelerare l´introduzioni delle colture geneticamente modificate e su come persuadere il pubblico ad accettarle. Adesso si riflette su come affrontare l´opinione pubblica e viene richiesto «un dialogo non emotivo, basato sui fatti, sugli standard elevati della politica sul GM dell´Ue».

Gli inceneritori visti dai sindaci: il caso di Settimo Torinese

fonte:
http://ilcorrosivo.blogspot.com/
DOMENICA 16 NOVEMBRE 2008

Pubblichiamo un interessante articolo dell'amico Maurizio Gasparello che mette in luce quale spirito "inceneritorista" animi l'amministrazione della sua città.

Maurizio Gasparello
Tratto da europadeipopoli.org

Sui fiumi di denaro che scorrono intorno alla costruzione ed alla gestione degli inceneritori è stato detto e scritto molto: in particolare, molto interessante può essere la lettura dell’articolo di Guido Viale, “Il piano della lobby degli inceneritori”, pubblicato su "Il Manifesto" del 18 agosto 2008.
Poco è stato invece detto e scritto sui vantaggi economici di cui possono godere le amministrazioni dei comuni nei quali gli inceneritori sono o verranno insediati, vantaggi che sicuramente non riguardano i loro Cittadini che, dagli inceneritori, al massimo possono ricevere una pioggia di polveri sottili.
Prendiamo il caso di Settimo Torinese, dove il sindaco Aldo Corgiat del PD e la sua Giunta, con un autentico colpo di mano, hanno deliberato di mettere il territorio del comune a disposizione per la costruzione del secondo inceneritore della provincia di Torino, senza che la cosa fosse minimamente citata nel programma elettorale sul quale lo stesso sindaco Corgiat è stato eletto (andate a leggerlo ora cliccando su "Aldo Corgiat Concretamente" così dopo, nel proseguire la lettura del presente articolo, vedrete che vi scapperà sicuramente da ridere, soprattutto ripensando a quanto ha avuto il coraggio di scrivere nei capitoli “La Democrazia” e “Ecosostenibilità”).
Come viatico in questo piccolo viaggio tra gli inceneritori visti con gli occhi (rapaci?) dei sindaci, ci avvaliamo dell’estratto da un articolo a firma della Consigliera comunale settimese Marta Rabacchi (Gruppo Misto, Sinistra Più), pubblicato sul giornale locale “La Nuova Voce” del 23 luglio 2008:
“(…) Per il 2008 e a tutt’oggi, le delibere consiliari non raggiungono il centinaio, circa duecento sono quelle della giunta municipale e (…) gli atti dirigenziali superano il migliaio. Spigolando tra questi ultimi è possibile farsi un’idea sulle conseguenze concrete di entrata e di spesa degli atti, spesso generici e onnicomprensivi, assunti dagli organi politici. Ad esempio, incasseremo 31 mila euro per sanzioni e interessi derivanti dalla vecchia Tassa raccolta rifiuti, ma ne rimarranno nelle casse comunali solo 15 mila, in ossequio alla decisione politica di riconoscere un aggio del 50% ad ASM (Azienda Servizi Municipali, il cui Consiglio di Amministrazione è di nomina politica, N.d.R.) per il lavoro di recupero evasione. Sempre ad ASM, integreremo di 33 mila euro la somma di 19 mila euro, già corrisposta nel 2007, per far fronte alle spese postali sostenute per la comunicazione delle multe o del loro annullamento, ve lo ricordate? Però, le multe ci sono costate salate, molto salate! (Eccome se ce ne ricordiamo: la vicenda delle multe pazze con le telecamere samaforiche settimesi ha avuto perfino l’onore degli altari televisivi di "Striscia la notizia“.
(…) Incasseremo 350 mila euro grazie alla discarica del fluff di Rio Martino, una bella sommetta, ma un niente se paragonata alle royalty dell’inceneritore, però corrisponderemo circa 350 mila euro a SEI (ASM) per gli edifici comunali che sono teleriscaldati.
Adesso tenetevi forte: trasferiremo 4 milioni di euro alla Fondazione per la Cultura (presumiamo che si tratti della “Fondazione Esperienze di Cultura Metropolitana, nel cui Consiglio Generale c’è un certo sig. Aldo Corgiat, con l’impegno di aggiungerci ancora 300 mila euro, e dalla Fondazione incasseremo mille euro per il riscaldamento della biblioteca multimediale della scuola Calvino. Però che botta! (…)”.
Dalla lettura di quanto sopra esposto possiamo trarre alcune sommarie deduzioni:
· che il comune di Settimo Torinese non è nuovo nel ricorrere alle compensazioni ambientali quale forma di finanziamento per il proprio bilancio, essendoci il precedente della discarica del “fluff” (ossia del residuo macinato delle automobili in demolizione), per cui le compensazioni relative all’inceneritore si inseriscono in una tradizione politico-amministrativa consolidata (e adesso cominciate pure a ridere, se non lo avete già fatto, ripensando a cosa avete letto, seguendo il nostro precedente consiglio, nel programma elettorale 2004 – 2009 del sindaco Corgiat);
· che se il comune di Settimo Torinese percepirà dei quattrini a titolo di compensazione ambientale per la costruzione dell’inceneritore, è del tutto evidente che dal camino dell’inceneritore stesso non uscirà un benefico balsamico al profumo di ginepro;
· che la somma di tali compensazioni è ben superiore ai 350.000 euro elargiti per la discarica del fluff, per cui l’impatto ambientale della tanto contestata discarica, al confronto con quello dell’inceneritore, è una bazzecola;
· che a Settimo Torinese la politica locale vende il territorio e la salute dei Cittadini per finanziare, di fatto, i suoi “giri”;
· che per i suddetti Cittadini, visto il decisionismo da Podestà del Sindaco e della sua giunta, parrebbe non esserci altra alternativa che stare alle finestre e respirare le nanoparticelle che escono dal camino dell’inceneritore (vedi: “Che cosa sono le nanopatologie, di Stefano Montanari, da www.nanodiagnostics.it”); tuttavia, contrariamente a quanto accadeva ai tempi dei Podestà, a Settimo Torinese l’anno prossimo, per fortuna, si vota;
· che, in generale, un programma politico-amministrativo comunale improntato sulla rivoluzione della decrescita deve necessariamente inserire, tra i suoi punti, quello di “liberare” il bilancio dell’ente locale dalle entrate relative alle compensazioni ambientali e agli oneri di urbanizzazione, con le quali si finanziano i clientelismi collegati alle oligarchie locali.Sapendo come funziona la politica oggi in Italia, abbiamo buoni motivi per pensare che la via di Settimo Torinese all’inceneritore possa essere applicata, per analogia, anche ad altri comuni italiani interessati da tale tipo di insediamento, per cui potrebbe essere molto utile, per chi si trova costretto a confrontarsi con tali realtà, andare a “spigolare” tra i conti del proprio comune e dare debita informazione ai propri concittadini in merito ai risultati ottenuti.

I BLOGGERS SOTTO ATTACCO

fonte:
http://www.cittadinoqualunque.com/2008/11/i-bloggers-sotto-attacco-rispunta-il.html

martedì 11 novembre 2008
I BLOGGERS SOTTO ATTACCO, rispunta il DdL per controllare i blog con relativa responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa


Il progetto di legge che un'anno fa (Levi-Prodi) tentò di imbavagliare i bloggers gira di nuovo nelle aule del nostro Parlamento, affidato in sede referente alla commissione Cultura della Camera (DdL C. 1269).


Ecco i punti salienti del progetto di Legge per capire cosa possono aspettarsi i navigatori e i blogger italiani (fonte http://punto-informatico.it/):

Art. 2.(Definizione di prodotto editoriale).

1. Ai fini della presente legge, per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione o di intrattenimento e destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso.

Qualsiasi blog rientra in questa definizione.


Art. 8.(Attività editoriale sulla rete internet).

1. L'iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione dei soggetti che svolgono attività editoriale sulla rete internet rileva anche ai fini dell'applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa.

3. Sono esclusi dall'obbligo dell'iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione i soggetti che accedono alla rete internet o che operano sulla stessa in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un'organizzazione imprenditoriale del lavoro.

All'apparenza il comma 3 escluderebbe la maggioranza dei blog dall'obbligo di registrazione e dai correlati rischi legali. Ma non è così. Ecco alcuni esempi pratici.Il blog di Beppe Grillo ha una redazione, ha banner pubblicitari, vende prodotti. In parole povere: sia secondo il Codice Civile, sia secondo la comune interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, fa attività di impresa. Se il progetto di legge fosse approvato, perciò, Beppe Grillo avrebbe con tutta probabilità l'obbligo di iscriversi al ROC. Non solo: sarebbe in questo modo soggetto alle varie pene previste per i reati a mezzo stampa.Affari suoi, diranno forse alcuni. Eppure non è l'unico a doversi preoccupare. Nella stessa situazione si troverebbero decine, probabilmente centinaia di altri ignari blogger. Infatti: chiunque correda le proprie pubblicazioni con banner, promozioni, o anche annunci di Google AdSense, secondo la comune interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, fa attività di impresa.Il ragionamento è semplice. L'apposizione di banner è un'attività pubblicitaria continuativa che genera introiti; una prestazione continuativa è un'attività di impresa; chi fa impresa grazie alle proprie pubblicazioni deve registrarsi al ROC; chi è registrato al ROC può incorrere nei reati di stampa. Chi invece è in questa situazione e non si registra al ROC, può essere denunciato per stampa clandestina . Per quanto in nostra conoscenza, manca ancora un pronunciamento strettamente ufficiale dell'Agenzia delle Entrate (interpello) se l'uso di qualche banner rientri nelle attività dell'impresa (ma l'orientamento è piuttosto chiaro: banner = attività lucrosa continuativa; attività lucrosa continuativa = impresa).Per questa ragione, se il progetto di Legge venisse approvato come è ora proposto, saremmo nel migliore dei casi di fronte ad una legge passibile di più interpretazioni e quindi potenzialmente molto pericolosa.
La rete è la sola possibilità di salvezza ...... non facciamocela togliere.

domenica 16 novembre 2008

Chi paga per i peccati dell'uomo? Non il comune di Milano

fonte:
http://it.peacereporter.net/articolo/12780/Chi+paga+per+i+peccati+dell%27uomo%3F+Non+il+comune+di+Milano

14/11/2008
E' polemica su un poster. Non sul fatto che la violenza sulle donne sia tanto diffusa
La patata tira è lecito e rispettoso. Così come è lecito e rispettoso far vedere il sedere di una donna per vendere del silicone, o un seno per vendere una bottiglia di qualche aperitivo.


Ogni tre giorni, in Italia, una donna viene uccisa dall'uomo che diceva di amarla: solo nel 2007 le vittime sono state 122.
Il più delle volte l'assassino aveva le chiavi di casa: in 3 casi su 4 era il convivente o il marito.
Sul sito dell'Arma dei Carabinieri si può leggere che "in una indagine Istat (2006) condotta su un campione di 25.000 donne tra i 16 e i 70 anni sono emersi dati allarmanti. Sono più di 6 milioni le donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito abusi fisici o sessuali nell'arco della loro vita. Sono 2 milioni le donne che hanno subito violenza domestica dal partner attuale o da un ex partner, mentre 5 milioni di donne hanno subito violenza fuori dalle mura domestiche. Gli autori delle violenze sono sconosciuti (15,3%), o persone conosciute superficialmente (6,3%), a volte apparentemente insospettabili come amici (3%), colleghi di lavoro (2,6%), parenti (2,1%), partner (7,2%) o ex partner (17,4%).
Ma, scrive ancora il sito dell'Arma, "in realtà non è possibile sapere il numero esatto delle donne che hanno subito queste terribili esperienze, perché questi dati sono relativi soltanto al numero esiguo di donne che hanno denunciato il fatto alle autorità. Si è stimato che oltre il 90% delle vittime non denuncia il fatto; precisamente si è stimato che le donne che hanno subito una violenza da un "non partner" senza denunciare il fatto sono state il 96%, mentre il 93% è la percentuale di donne che non ha denunciato la violenza subita da parte del partner.
Un rapporto EURES-ANSA del 2005 ha portato alla luce un'altra grave conseguenza della violenza domestica; si è scoperto che un omicidio su 4 in Italia avviene in famiglia, tra le mura domestiche: il 70% delle vittime sono donne e in 8 casi su 10 l'autore è un uomo. Così quattro donne su dieci sono vittime di un'arma da taglio, mentre tre su dieci sono colpite da armi da fuoco". Così ci dicono dunque i Carabinieri.


Non è dunque un caso che proprio a Milano, dove quasi il 60% delle donne lavora, si abbia un elevato numero di uxoricidi: "dal 2000 al 2006", specifica Alessandra Bramante, psicologa e criminologa, "si sono registrate 48 vittime. Un numero molto elevato, se si considera che in tutta la Lombardia sono state 99".
Eppure a Milano, città tappezzata di più o meno - spesso meno - velati organi riproduttivi femminili che pubblicizzano la qualsiasi (e sulle quali pubblicità il comune incassa fior di quattrini), diventa un problema affiggere un manifesto ideato per l'associazione Telefono Donna per la giornata mondiale contro la violenza sessuale.
Il problema che il comune si pone dunque non è quello di convincere le donne a denunciare le violenze subite (oggi solo il 4% delle donne denunciano il violentatore), non è quello di cambiare la testa di chi crede di essere più maschio usando violenza. Il problema non è ragionare sul perché in Italia solo pochi anni fa la violenza sessuale sia stata riconosciuta come reato contro la persona e non contro la morale. No, il problema è quello di "rispettare" l'iconografia cattolica.
Come se non fosse profondamente vero il messaggio che quel manifesto vuole portare: "Chi paga per i peccati dell'uomo?". Se questo è il rispetto che gli si porta, povero Cristo.