
fonte:
"Lo sviluppo sostenibile è un ossimoro, perché lo sviluppo è di per se insostenibile e la sostenibilità prevede l’abolizione dello sviluppo" Maurizio Pallante
Questi test sono finalizzati ad identificare i potenziali effetti negativi di specifiche sostanze chimiche e per legge devono essere eseguiti su animali. I malcapitati, in ambito cosmetico, sono in genere i conigli (la maggioranza), i topi, i cani o i gatti, i quali sono sottoposti a trattamenti molto crudeli per la frequente assenza di anestesia, a volte richiesta proprio dall’esperimento, altre volte per negligenza del vivisettore.
I metodi per identificare la tossicità sono diversi: da quelli sull’infiammazione della cute e degli occhi a quelli sugli effetti subacuti e cronici, sulla cancerogenesi (insorgenza di tumori) e sulla mutagenesi (comparsa di anomalie genetiche).
I test cosmetici consistono nel somministrare all’animale l’ingrediente da testare in dosi massicce. Quest’ultimo non viene applicato nel modo in cui lo faremmo noi utilizzando il rossetto o la crema, come ingenuamente si potrebbe pensare, cioè spalmandolo dolcemente sulla pelle dell’animale e tutt’al più facendogli un’energica frizione…
Purtroppo i metodi di somministrazione sono ben diversi: la sostanza viene applicata, in dosi concentrate, direttamente sulla superficie oculare dei conigli(Draize Test oculare), oppure sulla pelle (Draize Test cutaneo) dopo che questa è stata abrasa al vivo, oppure ancora inalata.
Questa sostanza può anche essere inalata sotto forma di gas: in questo caso si parla di LC50 (concentrazione letale 50%). Gli animali vengono lasciati soffrire fino a 2 settimane, nel corso delle quali accusano i seguenti effetti: vomito, diarrea, sanguinamento dagli occhi o dalla bocca, spasmi, convulsioni, soffocamento.
A questo punto si cerca, basandosi sul peso corporeo, di determinare la dose ottimale sicura per l’uomo. I metodi di trasposizione dei risultati sull’uomo e quindi i tentativi di predirne gli effetti su di noi sono rudimentali e approssimativi, quindi inaffidabili. L’unico risultato sicuro che emerge da questi test è l’effetto che la sostanza in questione produce sulla specie utilizzata, ma non su altre specie, tanto meno sull’uomo…
I risultati dipendono da età, sesso, specie utilizzata (addirittura i risultati cambiano utilizzando diversi ceppi della stessa specie), dieta, stato di salute, stabulazione e temperatura ambientale.
Dopo essersi documentati sulle pratiche di sperimentazione animale nel campo cosmetico, visto foto e filmati di animali sfigurati e sofferenti, sicuramente la parete della profumeria e la serie infinita di prodotti che la riempiono ben ordinati nei loro scaffali ci appariranno sotto una luce diversa.
Viene da chiedersi come sia possibile che per truccarsi o spalmarsi una semplice crema idratante si debba necessariamente contribuire a questo massacro infinito di animali, che si consuma silenziosamente, ogni giorno, tra le pareti dei laboratori delle case di cosmetici.
Benché come detto tutti i prodotti che troviamo in profumeria siano accomunati da questo macabro e triste iter di produzione vi è un altro genere di negozi –le erboristerie - dove, accanto ai cosmetici crudeli, se ne trovano anche di altri, assolutamente “cruelty free” (non crudeli, appunto) in quanto realizzati nel massimo rispetto di tutti gli esseri viventi. Dell’essere umano prima di tutto, in quanto sono prodotti di qualità e assolutamente sicuri, ma anche degli animali, ai quali non è stato torto nemmeno un capello. Infine dell’ambiente, perché si tratta di composizioni ottenute con erbe e piante, quindi a base di essenze naturali.
Le erboristerie offrono tra i loro prodotti quelli di ditte (Erbolario, D’Aymons, Helan, I Provenzali e molte altre visionabili nel sitowww.consumoconsapevole.org) che utilizzano solamente ingredienti di base già validati, considerati sicuri, e quindi utilizzabili liberamente senza dover ricorrere alla sperimentazione animale.
Il motivo per il quale le case di cosmetici sono sempre alla frenetica ricerca di nuove formule non sta nella volontà di ‘scoprire’ chissà quale crema dai poteri miracolosi, per il reale beneficio per il consumatore, ma sta in una mera tattica di marketing. Si mette a punto la nuova linea di shampoo a cui è stato cambiato solo il profumo per poter dire che è ‘nuovo’ (la classica dicitura‘nuova formula’) e poter costruire la campagna pubblicitaria di lancio del nuovissimo e impareggiabile (!) prodotto. La Procter&Gamble è maestra in questa politica aggressiva di marketing e non a caso tristemente famosa proprio per contribuire in maniera massiccia all’industria della vivisezione.
La normativa che regola la sperimentazione animale ad uso cosmetico si sta lentamente evolvendo verso metodologie eticamente più accettabili, introducendo, gradualmente, il divieto ai test su animali, previa validazione di metodi alternativi. A partire dall’11 marzo 2009 (D.Lgs. 50/2005 che recepisce la Direttiva CE 2003/15) sarà vietata l'immissione sul mercato di prodotti cosmetici la cui formulazione finale, e i singoli ingredienti che la compongono, sia stata oggetto di sperimentazione animale, ad eccezione di tre tipi di test di tossicità, che rimarranno in vigore ancora fino al 2013.
Conviene quindi non fare troppo affidamento su questi traguardi legislativi bensì attrezzarsi per cominciare a prendersi cura del proprio corpo senza che questo comporti inutili sofferenze per tanti animali. E’ sufficiente individuare i prodotti ‘cruelty free’ e scegliere di rifornirsi solo da quelle aziende che si sono impegnate in una politica commerciale di tipo etico. Il marchio che rende riconoscibili i prodotti non testati è la dicitura “Stop ai test animali / Controllato ICEA per LAV ",spesso accompagnata dal logo di un coniglietto.
fonte:http://www.decrescitafelice.it/?p=441
13/12/2009
di Diomede Corso
Da sempre appassionato di lavatrici, mi definisco oggi “lavatricista” e se questo oggetto d’uso quotidiano per molti è abbandonato e dimenticato a fare il “lavoro sporco” in qualche garage o in qualche ripostiglio per me rappresenta qualcosa di molto importante che mi segna profondamente. Nel 2006 scrivo la mia storia sul mio primo blog ignorando di essere in compagnia di altri a cui grazie a quella finestra ho dato sfogo. Nasce così il club (o il popolo) dei lavatricisti e il lavatricismo, fatta di passione e tempo dedicato a questo oggetto in tutte le sue forme.
Mi sono laureato al Politecnico di Torino con una tesi in Ecodesign sull’uso sostenibile delle risorse domestiche nel lavaggio e ho riversato le conoscenze apprese con gli studi in un settore poco diffuso in Italia e in Europa ma molto praticato ad esempio negli USA definito come “restauro” (in inglese restoration) degli elettrodomestici, in particolare delle lavatrici come tutti gli altri elettrodomestici (sito ufficiale).
Gli italiani abitano in una casa magari per trenta o quaranta anni e di lavatrice ne cambiamo una ogni 10 anni o forse anche meno ultimamente, e diciamo “consumisti” agli americani che ogni stagione a causa dei un uragano magari loro malgrado sono costretti a ricostruirsi tutta la casa per intero ma la lavatrice è sempre la stessa di trentacinque anni fa perché semplicemente restaurano anche quella. E non diventa osbsoleta perché è talmente basilare e semplice che si adatta alle abitudini di una famiglia che nel tempo cambiano e si evolvono.
Non ho mai abbandonato i restauri in quanto proprio il primo in cui mi sono cimentato è la prova che il progetto del prodotto industriale non necessariamente deve portare alla creazione di qualcosa di nuovo ma che ripercorrere le strade abbandonate in passato può farci magari ricredere sulle scelte fatte. Oggi la mia Ignis Superautomatica ha 46 anni e funziona perfettamente, come anche l’ultimo dei miei lavori una Indesit 092 dell’inizio degli anni 80 e altri ancora.
Non si trovano più i pezzi!? Si rigenerano quelli vecchi o si fa cannibalismo da una macchina identica… o si ricostruiscono con il virtuosismo e la buona volontà che sono le doti estremamente necessarie per fare questo lavoro più d’ogni altro.
Consumano!? Ma la domanda che mi faccio è… “consuma di più la mia superautomatica che lava 2 volta a settimana a pieno carico e dopo mezzo secolo in discarica non c’è ancora mai finita oppure tutte queste ultramoderne lavatrici in classe A con la pretesa di fare un bucato in mezzo secchio d’acqua per tre o quattro volte al giorno mezze vuote e poi dopo nemmeno dieci anni mandate al rimpasto!?”
Silicone marino, Olio minerale e acido cloridrico e ipoclorito di sodio sono alcune delle sostanze che si usano durante i restauri che sono un vero processo di de-produzione che riportano ciascuna apparecchiatura ad un’insieme di componenti disassemblati per ciascuno dei quali bisogna sapere come comportarsi… pompe, cestelli, vasche, crocere, bobine e motori ciascun pezzo trattato singolarmente, alcuni sostituiti, altri semplicemente lavati con acqua e sapone! E poi di nuovo si rimonta tutto.
Invano ho tentato in passato di appellarmi alla legge 151/2005 sui RAEE per evitare lo scempio quotidiano (chiedevo solo un’autorizzazione a qualche ritiro per macchine ancora “salvabili” come dice la legge stessa ma tutti negano!!) delle migliaia di elettrodomestici che finiscono “rifiutati” perchè non più “beni durevoli” ma “beni di consumo” per i quali non esiste più alcuna traccia del concetto di riparazione.
Io invece mi oppongo e non le chiamo riparazioni bensì restauri e per ogni lavoro che faccio porto agli occhi della gente la prova che è possibile invertire la rotta di questa tendenza che definisco “del popolo dei butta-butta”. Siamo pochissimi in Italia a fare ciò, ma cercando in rete si possono trovare alcuni colleghi che mostrano orgogliosi il loro operato…, anche su questo blog recentemente si è cominciato a parlare di questa cosa.
E nemmeno ci aiuta l’industria magari accogliendo questa nuova forma di (ri)produzione, ben sapendo che proprio in tempi di crisi come questo, il mercato chiede qualità e qualcuno ha già imboccato questa strada.
Bello sarebbe se per una lavatrice oggi, invece di doverla buttare quando si guasta e non conviene ripararla, l’azienda che l’ha prodotta offrisse come alternativa il servizio di restauro. In fondo è quello che fanno riciclando i singoli materiali ma così si eviterebbero costi e conseguenze di tutto il processo di smaltimento… e si tornerebbe a dare lavoro ai riparatori.
Ancora forse i tempi non sono maturi per questi scenari ma io non mi arrendo e continuerò a fare questo meta-mestiere e sperando di aver dato con queste parole il mio contributo alla Decrescita Felice torno a vasche, crocere, cestelli e supporti.
Le otto del mattino. Comincia la mia giornata di lavoro in ospedale. C'è sempre molta gente in ambulatorio. Da qualche giorno, meno immigrati. Questa mattina solo due signore moldave, badanti, con le loro "nonne" in carrozzella e un ragazzo ucraino che deve ritirare i suoi esami.
Ci sono dei cartelli affissi alla porta dell'ambulatorio e dell'accettazione: "noi non segnaliamo".
Molti ci chiedono spiegazioni, chiarimenti, leggono il testo integrale del giuramento di Ippocrate.
L'emendamento che cancella il divieto di "denunciare" i "clandestini" che si rivolgono alle strutture sanitarie, approvato in Senato il 5 febbraio scorso, non è ancora in vigore, ma si registra già una sensibile diminuzione degli accessi agli ospedali e agli ambulatori da parte degli immigrati cosiddetti "irregolari". Molti pensano che la legge sia già operativa, molti hanno paura e preferiscono, in ogni caso, non rischiare. E la paura li spinge a mettere in secondo piano la propria salute. Ormai è esperienza comune, lo abbiamo letto sui giornali negli ultimi giorni.
Gli immigrati irregolari si recano di meno al Pronto Soccorso, vanno di meno anche agli ambulatori delle associazioni di volontariato che, per definizione, sono più "amichevoli".
Me ne rendo maggiormente conto al pomeriggio, all'ambulatorio Sokos: la sala d'aspetto non è vuota, ma ci sono, stranamente, delle sedie libere. Ci sono giovani donne e uomini, madri e bambini, anziani, sono le badanti, le collaboratrici domestiche, i muratori che lavorano nei cantieri e nelle nostre case, gli uomini dei traslochi, i loro figli, i loro padri.
Penso che la norma con cui si vuole permettere ai medici di denunciare i loro pazienti "clandestini" (e con cui si tenta di incoraggiarli a farlo) sia contro l'etica e la deontologia, contro la civiltà e il buon senso. Penso che questa mattina ho visitato in ospedale una trentina di persone, credo di essermi comportata secondo "scienza e coscienza" e non ho mai pensato, davanti ad un paziente: sarà un evasore fiscale? avrà qualche pendenza penale? sarà "irregolare"?
Penso che i nostri ospedali e i nostri ambulatori debbano essere luoghi di cura, non di discriminazione. So che gli immigrati irregolari non sono un pericolo per la salute pubblica, perché non hanno, in genere, malattie "pericolose", ma so anche che l'emarginazione, la povertà, l'invisibilità producono malattie e che queste, se infettive, possono diffondersi, ma solo se chi ne soffre non viene curato, non si rivolge alle strutture sanitarie, diventa invisibile. So che le malattie si possono non solo curare, ma anche prevenire, a meno che non sia troppo tardi e credo che, con le nuove norme, "lo stato" dovrà spendere più soldi per curare malattie altrimenti evitabili.
Il rischio concreto è che si sviluppino percorsi sanitari paralleli, non ufficiali, clandestini, pericolosi. Vi sono già molte testimonianze in proposito, anche questo abbiamo letto sui giornali in questi giorni. Rischiamo di perdere il controllo sanitario, con gravi ripercussioni sulla salute di tutti.
Le sette di sera, l'ambulatorio è finito. Al bar sotto casa il "pacchetto sicurezza" è un argomento di attualità, mi chiedono: lei cosa farà dottoressa? Nulla, continuerò a lavorare come sempre, per me non cambierà niente. Se prima non mi era mai passato per la testa di chiamare la polizia o i carabinieri, non lo farò neanche dopo, neppure se entrerà in vigore la norma che abolisce il divieto per i medici di denunciare gli immigrati irregolari. E a casa penso: come diventerà (cosa diventerà) il mio lavoro? Sarò costretta alla disobbedienza civile? Ci sono le prime discussioni con i colleghi, si continua a parlarne al bar, gli immigrati irregolari ed i loro bisogni di salute cominciano a confluire nella clandestinità più inumana e pericolosa, quella sanitaria. Ma passano anche pensieri positivi: un sentire comune, trasversale alle convinzioni politiche, che può unire tutti i professionisti della salute in una visione unica, per salvaguardare la propria dignità professionale e per garantire la salute di tutti.
Cronaca di una giornata... Già Ippocrate diceva "non siamo spie". Vado a letto più tranquilla.
E ci vediamo venerdì 13 febbraio, dalle 11 alle 18, in piazza Re Enzo, per chiedere che l'iter legislativo dell'emendamento venga bloccato, per stimolare le istituzioni locali ad impegnarsi in questo senso, perché associazioni e cittadini possano manifestare la propria opposizione contro un provvedimento ingiusto, inutile e dannoso.
Antonietta D'Antuono
Giovedì 12 Febbraio 2009 09:03 | |
A quindici giorni di distanza dall’affollata prima assemblea nazionale di Cassinetta di Lugagnano, il Movimento per lo “Stop al Consumo di Territorio” registra un altro tutto esaurito: questa volta ad Asti, in occasione della prima assemblea territoriale della sua storia (Sabato 7 Febbraio). Nel gremito parterre del Centro Culturale San Secondo si è sviluppato un profondo dibattito, durato quasi quattro ore, per iniziare a declinare a livello locale la proposta contenuta nel manifesto nazionale di questo Movimento di opinione, nato perdifendere il diritto ad un territorio non cementificato e, dunque, salvaguardare anche i suoli rimasti agricoli e boschivi. Grazie agli interventi dei primi firmatari del manifesto nazionale (il Sindaco di Cassinetta di Lugagnano Domenico Finiguerra, Gino Scarsi ed Alessandro Mortarino), del rappresentante del mondo agricolo nel Cnel-Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (Giorgio Ferrero, anche past president della Coldiretti piemontese), dell’Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l’Astigiano (attraverso il suo presidente Marco Devecchi), l’incontro si è incanalato sui giusti binari diretti verso l’obiettivo di sollevare l’esigenza di una diversa pianificazione del territorio, stimolando una lunga sequenza di interventi da parte di singoli cittadini, rappresentanti di Comitati spontanei, amministratori, agricoltori, ricercatori, professionisti. Si è parlato di come portare anche nell’astigiano una nuova cultura del territorio, non più basata sull’equazione maggior consumo di territorio = maggior sviluppo; grazie alla testimonianza del Sindaco di Cassinetta di Lugagnano, primo Comune d’Italia ad essersi dotato di un piano regolatore a “crescita zero”, si sono stimolati i Sindaci presenti in sala ad avviare un simile percorso “virtuoso”, giungendo ad individuare una prima esperienza di parziale indirizzamento già in atto: il Comune di Refrancore, circa 1.800 abitanti (la stessa dimensione demografica del Comune milanese), che proprio questa sera approverà in consiglio comunale la ri-destinazione di un’area edificabile a suolo agricolo. Si è approvata una prima bozza di Ordine del Giorno da far discutere in ogni Comune astigiano, per impegnare le relative Giunte ad alcuni precisi impegni tra cui: “censire il patrimonio edilizio esistente, nel più breve tempo possibile, individuando in particolare l’esatta situazione relativa ad abitazioni e capannoni non occupati. Data la delicatezza di raccogliere questi primari dati, basilari per qualunque tipo di pianificazione possibile, si stabilisce di sospendere temporaneamente la validità di piani regolatori, lottizzazioni e varianti in corso per quanto concerne le nuove edificazioni. E ad attivare ogni iniziativa utile, coinvolgendo amministratori e cittadini (attraverso un percorso partecipativo condiviso e che preveda anche la presenza di esperti espressi dal Movimento nazionale per lo “Stop al Consumo di Territorio”), che porti all’adozione di un piano regolatore capace ! di conservare e valorizzare il territorio e le risorse esistenti senza necessariamente prevedere ulteriori espansioni”. L’assemblea ha poi deliberato all’unanimità di richiedere formalmente a Provincia e Comune di Asti, alla Regione Piemonte ed agli Enti competenti di sospendere il progetto di Tangenziale Sud Ovest e provvedere ad un preventivo ed indispensabile studio di viabilità. Si è anche proposto di sviluppare una campagna di opinione che porti alla riconsiderazione dello sviluppo urbanistico dal piano comunale ad un piano multi-comunale (in particolare per! le nuove aree artigianali, commerciali, industriali); che rappresentanti delle giovani generazioni vengano inseriti nei luoghi istituzionali per portare la voce e le aspettative dei nostri figli e nipoti; l’avvio di un’azione di sostegno e promozione del “decalogo delle buone azioni comunali” individuato dal terzo Bando per la promozione di interventi progettuali di qualità nel paesaggio astigiano e del Monferrato. Complessivamente sono 25 i punti del corposo verbale redatto al termine dell’incontro: il primo si concentra sull’organizzazione di incontri, convegni, banchetti informativi, info-camper, raccolta firme, spettacoli dedicati alla formazione di una nuova sensibilità, che qualcuno ha simpaticamente denominato “Brigate della Bellezza”. ! In ognuno dei 118 Comuni astigiani… Dal manifesto "L’Italia è un paese meraviglioso. Ricco di storia, arte, cultura, gusto, paesaggio. Ma ha una malattia molto grave: il consumo di territorio. Un cancro che avanza ogni giorno, al ritmo di quasi 250 mila ettari all’anno. Dal 1950 ad oggi, un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata seppellita sotto il cemento. Il limite di non ritorno, superato il quale l’ecosistema Italia non è più in grado di autoriprodursi, è sempre più vicino. Ma nessuno se ne cura. Fertili pianure agricole, romantiche coste marine, affascinanti pendenze montane! e armoniose curve collinari, sono quotidianamente sottoposte alla minaccia, all’attacco e all’invasione di betoniere, trivelle, ruspe e mostri di asfalto.Non vi è angolo d’Italia in cui non vi sia almeno un progetto a base di gettate di cemento: piani urbanistici e speculazioni edilizie, residenziali e industriali; insediamenti commerciali e logistici; grandi opere autostradali e ferroviarie; porti e aeroporti turistici, civili e militari. Non si può andare avanti così !La natura, la terra, l’acqua non sono risorse infinite. Il paese è al dissesto idrogeologico, il patrimonio paesaggistico e artistico rischia di essere irreversibilmente compromesso, l’agricoltura scivola verso un impoverimento senza ritorno, le identità culturali e le peculiarità! ; di ciascun territorio e di ogni città, sembrano destinate a confluire in un unico, uniforme e grigio contenitore indistinto.La Terra d’Italia che ci accingiamo a consegnare alle prossime generazioni è malata. Curiamola!" |
Ma il Madagascar è anche un incredibile paradiso della biodiversità: il 5% delle specie animali e vegetali del mondo si trova su questa grande isola dell'Oceano Indiano. L'80% di queste si trova solo ed esclusivamente in Madagascar: specie rarissime di orchidee e baobab, e poi camaleonti, tartarughe e gechi, fino all'animale-simbolo del Paese, il lemure.
Vastissime aree di foresta a cui però qualcuno guarda come a una risorsa da sfruttare senza pietà: per ricavarne terreno coltivabile e per impiantarvi miniere di ilmenite e nichel. E non sono i malgasci ad avere queste mire: ma società multinazionali straniere, a cui fa gioco operare in una nazione economicamente in ginocchio, pronta a svendersi in cambio di un barlume di sviluppo economico e della creazione di nuovi posti di lavoro.
Povertà estrema, risorse naturali non ancora sfruttate, multinazionali avide, biodiversità: trovare l'intruso in questo mix altamente pericoloso. Prevedibilmente, saranno i lemuri a fare le valigie.
La prima è una compagnia mineraria canadese che ha avviato un progetto chiamato Ambatovy: prevede lo sradicamento di 1700 ettari di foresta per la costruzione di una delle più grandi miniere di cobalto e nichel del pianeta, attiva dal 2013 per 27 anni. La Sherritt ha promesso il trasloco delle specie a rischio e la creazione di aree protette, ma l'impatto dei lavori non è stato valutato da alcuno studio indipendente, ed è da considerarsi assolutamente imprevedibile.
La Daewoo Logistic è un colosso coreano che vuole dare il via ad un'operazione ancora più grande: prendere in concessione la metà delle terre coltivabili del Madagascar (una superficie equivalente alla metà del Belgio) per coltivare mais e palma da olio per biocarburanti. A beneficio non degli abitanti del Madagascar, ma unicamente dei consumatori coreani, che per questi beni dipendono ora in larghissima parte dall'importazione. Come se la Corea creasse una colonia in Madagascar, da usare come serbatoio per i biocarburanti delle auto coreane e per le tavole del paese asiatico, in cambio della creazione di posti di lavoro. Fortunatamente, un vasto movimento dell'opinione pubblica in Madagascar è riuscito ad imporre al governo una marcia indietro sul pericoloso accordo con Daewoo. Per il momento.
Sperare in questi casi in contratti equi, rispettosi dell'ambiente e delle comunità locali, si è rivelato inutile:troppa è la sproporzione fra le due parti, con Paesi poveri costretti ad accettare di dare via a poco prezzo vasti territori, in cambio di un'illusione di sviluppo economico – i cui benefici però vanno quasi unicamente ai Paesi concessionari delle terre. La sempre crescente dipendenza dalle importazioni delle nazioni più deboli apre la strada ad accordi-capestro, dalla totale mancanza di trasparenza. E i casi in cui l'opinione pubblica vince sui governi e sui consigli di amministrazione, come nel caso della Daewoo in Madagascar, sono purtroppo una minoranza.