sabato 28 marzo 2009

ACQUA BENE COMUNE

Fonte:


ACQUA BENE COMUNE: storia, civiltà vita - Facoltà di scienze politiche
12 marzo 2009 Intervento Paolo Rumiz

E' un peccato che non possa parlarvi a voce. Solo a voce avrei potuto comunicarvi l'urgenza, la rabbia e l'indignazione legate al tema primordiale dell'acqua. Sono un professionista della parola scritta, ma so che solo il racconto orale sa trasmettere sentimenti forti. Questo scritto è dunque solo un ripiegamento, dovuto a forza maggiore.

E sappiate che gli uomini che avrei dovuto affiancare in quest'incontro sono i responsabili della mia passione per laquestione idrica. Dunque perfetti per accendere anche la vostra. Mi sono occupato di molti temi nel mio mestiere. Guerre etniche e planetarie, crolli di sistemi e di alleanze politiche, esplorazione dei territori e viaggi alle periferie del mondo.

All'acqua sono arrivato solo pochi mesi fa, quasi per caso, grazie a una segnalazione di Emilio Molinari. Era successo che era stata approvata una legge che rendeva inevitabile la privatizzazione dei servizi idrici.

La svendita di un patrimonio comune, mascherata da rivoluzione efficentista. Tutto questo era avvenuto nel mese di agosto, alla chetichella, senza proteste da parte dell'opposizione.

Il popolo era rimasto tagliato fuori da tutto. Gli interessi attorno all'operazione erano così trasversali che i giornali avevano taciuto, i partiti e i sindacati pure. Mi sembrava inverosimile che una simile enormità potesse passare sotto silenzio. Così ne ho scritto. E la pioggia di lettere attonite che ho ricevuto in risposta hanno confermato l'assunto. L'Italia non ne sapeva niente.

Non entro nello specifico di questa scandalosa ruberiainflitta agli italiani. Altri lo faranno meglio di me. Dico solo che occupandomene, dopo 35 anni di mestiere, ho provato lo stesso brivido della guerra dei Balcani.

Come allora, ho avuto la certezza che cadesse un sipario di bugie, e si svelasse la verità nuda di una rapina ai danni del Paese e dei suoi abitanti, l'ultimo assalto a un territorio già sfiancato dalle mafie, dalle tangenti e dalla dilapidazione del bene comune.

Pensiamoci un attimo. I giornali pompano mille emergenze minori per non farci vedere quelle realmente importanti. La tensione etnica aumenta. Ci parlano di clandestini, di rumeni stupratori, di terroristi annidati nelle moschee. Ci infliggono ronde per tenere testa a una criminalità che - stranamente - non include la camorra, la speculazione edilizia o lo strapotere degli ultras.

Televisione, telefonini, I-pod costruiscono una cortina fumogena che incoraggia il singolo ad arraffare e impedisce al gruppo di reagire. E' così evidente. Noi non dobbiamo sapere che esiste un'altra e più grave emergenza: la distruzione del territorio. Un'emergenza così grave che la lingua dell'economia non basta più a descriverla. Oggi serve la lingua del Pentateuco, o dell'Apocalisse di Giovanni, perché viviamo un momento biblico. "E verrà il giorno in cui le campagne si desertificheranno e la boscaglia invaderà ogni cosa, i ghiacciai entreranno in agonia e l'aria diverrà veleno. Il tempo in cui la natura sarà offesa nelle sue parti più vulnerabili".

Se i nostri padri ci avessero fatto una simile profezia non li avremmo creduti. Invece succede. Siamo in guerra. Una guerra contro i territori. In Italia è iniziata la guerra per l'accaparramento delle ultime risorse.

Sta già avvenendo: Cementificazione dei parchi naturali... Requisizione delle sorgenti... Privatizzazione dell'acqua pubblica... Discariche e inceneritori negli spazi più incontaminati del Paese. Ritorno al nucleare. Grandi opere imposte con la militarizzazione dei territori e la distruzione di interi habitat. Fiumi già in agonia, disseminati di ulteriori centrali idroelettriche. Impianti eolici che stanno cambiando i connotati all'Appennino.

Tutto conduce su questa strada: La ricorrente invocazione di poteri forti ai danni del parlamento. Il fallimento del pubblico e l'invadenza del privato. La sottrazione delle risorse ai Comuni. Lo smantellamento della democrazia diretta. La corsa a un federalismo irresponsabile che assomiglia tanto a una licenza di sperpero. La deregulation legislativa. La crisi della scuola e delle università. La visione speculativa e finanziaria dell'economia.

E' come negli anni Trenta: crisi del capitalismo, opposizione inesistente, criminalità diffusa. Ma con in più (e in peggio) la desertificazione dei territori, lo spopolamento della montagna. Il "Paese profondo" si è talmente indebolito che oggi l'atteggiamento predatorio che abbiamo rivolto prima verso la Libia o l'Etiopia e poi verso l'Est Europa, può essere rivolto verso l'Italia medesima senza il rischio di una rivoluzione.

Anche noi diventiamo discarica, miniera, piantagione. E anche da noi i territori deboli sono lasciati completamente soli di fronte ai poteri forti. Come le tribù centro-africane. Guardate cosa succede con l'eolico. Gli emissari di una multinazionale dell'energia si presentano a un comune di cinquecento-mille abitanti. Offrono centomila euro l'anno per due o tre pale eoliche alte come grattacieli di trenta piani. Il sindaco al verde non ha alternative. Accetta. Per lui quelle pale sono il solo modo per pagare l'illuminazione pubblica e gli impiegati. La Regione e lo Stato non intervengono. In nome dell'emergenza energetica passano sopra a tutto, anche a un bene primario come il paesaggio.

Risultato? Oggi la rete eolica italiana non è il risultato di un piano ma del caso. Segna come le pustole del morbillo i territori deboli, incapaci di contrattare. Con l'acqua la situazione è ancora più limpida. Vi racconto cose che ho visto personalmente. Qualche scena, capace di illuminare il tutto.

Alta Val di Taro. C'è una fabbrica di acque minerali che succhia dalle falde appenniniche in modo così potente che nei momenti di siccità gli abitanti del paese - noto fino a ieri per le sue fonti terapeutiche e oggi semi abbandonato - restano senz'acqua nelle condutture pubbliche.

C'è una protesta ma il sindaco tranquillizza tutti in consiglio comunale. "Non abbiate paura - dice - quando mancherà la NOSTRA acqua, la fabbrica pomperà la SUA nei nostri tubi". L'acqua del paese è data già per persa, requisita dai padroni delle minerali. L'idea che si tratti di un bene pubblico e prioritario non sfiora né il sindaco né la popolazione rassegnata.

Recoaro, provincia di Vicenza. Una pattuglia di "tecnici dell'acqua" (così si presentano), fanno visita a una vecchia che vive sola in una frazione di montagna. Le chiedono di poter fare delle verifiche alle falde. La donna pensa che siano del Comune. Il lavoro dura un mese. I tecnici trivellano, trovano acqua. Poi chiudono il pozzo aperto con dei sigilli. A distanza di mesi si scopre che la fabbrica di acque minerali giù in valle sta facendo un censimento delle fonti potabili in quota, in vista della grande sete prossima ventura della Terra in riscaldamento climatico. I parenti della donna si accorgono del maltolto e sporgono denuncia. Scoprono di essersi mossi appena in tempo per evitare l'usocapione del pozzo. Il sindaco tace. Gli abitanti di Recoaro pure. Ciascuno vende le sue fonti in separata sede.

Castel Juval, in val Venosta. Qui potete fare le vostre verifiche da soli. Vi sedete al ristorante dell'agriturismo di Reinhold Messner e chiedete dell'acqua. Scoprirete di avere due opzioni. L'acqua minerale - la notissima acqua propagandata dall'alpinista sud-tirolese - e l'acqua di fonte. La fonte di Reinhold Messner. Ebbene, anche questa è a pagamento. Metà prezzo rispetto a quella in bottiglia, ma anch'essa a pagamento. E la gente beve, estasiata. Vedere per credere.

Che dire? Come gli abitanti della Somalia o del Mali, siamo disposti a pagare ciò che ci sarebbe dovuto gratuitamente.Abbiamo rinunciato a considerare l'acqua come pubblico bene. La nostra sconfitta, prima che economica, è culturale. La grande vittoria del secolo scorso fu l'acqua nelle case. Oggi abbiamo accettato di tornare indietro. Siamo ridiventati portatori d'acqua. Come gli etiopi, arranchiamo per le strade con carichi inverosimili d'acqua e non riflettiamo che il valore reale della medesima è appena un centesimo del costo della bottiglia. Meno del costo della colla necessaria a fissare l'etichetta.

Il dramma non è solo lo scempio delle risorse, ma la nostre insensibilità alla rapina in atto. Abbiamo accettato di farci derubare. Siamo un popolo rassegnato, e i signori delle risorse lo sanno perfettamente. Il dossier di un'azienda multinazionale finlandese descrive così una regione italiana del centro: "facilità di penetrazione, costi d'insediamento minimi, zero conflittualità sociale". Soprattutto, "poche obiezioni ecologiche".

Sembra il Congo, invece è Italia. Grazie di avermi ascoltato.

Veleni letali e menzogne, ecco l’inceneritore di Acerra

Fonte:

(con un'intervista al Professor STEFANO MONTANARI)

di 
Hermes Pittelli ©

 
Le bugie, come da proverbio, hanno le gambe corte; spesso, sorta di contrappasso, anche chi le racconta. Almeno in Italia. E le menzogne sono come quei rotoli di carta igienica santificati da uno dei tanti spot, non finiscono mai. In questo ennesimo intreccio tricolore tra emergenze reali, annunci in pompa magna, videotape e realtà parallele nate da fervide fantasie spacciate per verità concrete, si colloca perfettamente la vicenda dell’inceneritore di Acerra
Proprio così – ‘inceneritore’ - , non ‘termovalorizzatore’, come cantato dal premier, tra un babà e una facezia su chi perde il lavoro, e ripreso supinamente da tutti i tg nazionali, anche quelli tacciati di comunismo. Un inceneritore, nonostante sia stato definito ‘verde’ dai grandi giornalisti nazionali, che non solo inquinerà con la famigerata diossina, ma spargerà allegramente in un ampio raggio di chilometri le letali nanoparticelle che i pochi frequentatori di questo blog conoscono ormai bene.

Berlusconi assicura che l’impianto costruito dagli ‘eroi’ di Impregilo (multinazionale delle costruzioni dietro cui agiscono in varie percentuali Fiat, famiglie Benetton, Ligresti e Gavio) avrà un impatto paragonabile a quello di tre utilitarie di media cilindrata. Già. Chissà quali esperti hanno avvalorato questa tesi, forse quelli che frequentano certi salotti televisivi dove si spacciano chiacchiere da Bignami per informazione e divulgazione di conoscenza; forse gli stessi ‘scienziati’ che conducono crociate a favore degli inceneritori descrivendoli quali dispensatori di salute per gli esseri umani, ma poi sul tema rifiutano confronti pubblici con i veri conoscitori della materia. 
Su Impregilo poi bisognerebbe aprire un capitolo a parte: tristemente nota non solo da noi, ma anche nel mondo per i disastri ambientali e sociali che ha causato e causa, deportazione di piccole popolazioni povere del Sudamerica i cui diritti non interessano alcuno in quanto lontani dagli sporchi interessi del business, dissipazioni di ingenti risorse economiche e di vite umane. Ma i media tacciono. E’ curioso tra l’altro notare che nel giorno del trionfo degli eroi, la 
procura di Milano abbia chiesto un nuovo rinvio a giudizio per gli ex vertici della multinazionale per scherzetti quali aggiotaggio, falso in revisione e mancata osservanza della legge 231 del 2001 che prevede la costituzione di modelli organizzativi per impedire illeciti.

E’ curioso che proprio l’eroica Impregilo, tramite le controllate Fibe Spa e Fibe Campania, sia stata per 5 anni responsabile del ciclo di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella Regione del potente Bassolino e quindi la principale colpevole della situazione drammatica in cui si è ritrovata la Campania. Fatti per i quali sia il governatore ex sindaco di Napoli, sia i grandi capi di Impregilo sono stati chiamati a rispondere dalla magistratura partenopea, che, tra l’altro, in attesa di appurare eventuali responsabilità penali, ha deciso di congelare i conti correnti del gruppo per un valore di 750 milioni di euro. Però, gli eroi si sa, godono del favore degli dei (leggi: banche italiane), quindi per incanto la liquidità finanziaria è tornata florida e ora il gruppo è pronto per altre esaltanti imprese. Magari la Tave la realizzazione del Ponte sullo Stretto.

Intanto, ad Acerra si devono tenere il famigerato inceneritore ed è, sempre per ironia del destino, che il motto di Impregilo recita “Di tutti gli atti, il più completo è costruire” (Paul Valery). Commovente, forse bisognerebbe anche aggiungere ‘cosa costruire’, ‘come’ e, soprattutto ‘nell’interesse di chi’. Certo, ma “il progresso (?), la più grande delle nostre opere”, non ammette e non conosce ostacoli, anche perché poi le quotazioni in Borsa potrebbero soffrire. E allora largo ai tagli dei nastri, all’ebbrezza del modernismo acefalo ma redditizio, ai brindisi con bollicine e nanoparticelle. Le generazioni future come potranno sopravvivere? Come avrebbe risposto Totò (e come fa con involontario atteggiamento grottesco il capo del governo): “Arrangiatevi”.


 

Per poi fugare il legittimo dubbio che l’articolo sia frutto di abbagli di chi scrive, mi sono permesso di contattare e distogliere per qualche minuto dal suo lavoro il Professor Montanari (visitate il suo blog per informazioni corrette e approfondimenti) per una breve intervista sull’inceneritore di Acerra. 

D. Ci risiamo. 
Furbi travestiti da politici, guitti travestiti da scienziati assai lieti di essere al soldo del signorotto e giullari della disinformazione hanno celebrato in pompa magna l’inizio della letale attività dell’inceneritore di Acerra. Definito dai media nazionali ‘termovalorizzatore verde’. Non c’è argine all’impudenza e al marcio. Quali sono i primi commenti che le vengono in mente?

R. Quando le parole che vorrebbero uscire sono troppe, restano bloccate dentro: intasano bocca. Quello di Acerra è l’ennesimo trionfo della “politica” come s’intende da noi, dello “stato” come ce lo hanno disinvoltamente spacciato i tanti governi che si sono succeduti e che hanno portato all’umiliazione di un popolo. Chi ha voluto questo monumento alla follia non può non rendersi conto di ciò che sta facendo, non può davvero pensare, per ignorante che sia o che finga di essere, che da quell’impianto mostruoso esca aria di montagna in barba a tutte le leggi che regolano la fisica, la chimica, la tossicologia… che regolano la Natura, insomma. Come diceva Lorenzo Tomatis, lui oncologo davvero e non come certi saltimbanchi televisivi, le generazioni future non potranno perdonarci per la devastazione che stiamo perpetrando.

D. Le trombe e i tromboni del regime parlano di impianto modello in grado di smaltire 600.000 tonnelate di rifiuti urbani all’anno per garantire energia elettrica, grazie al presunto recupero di calore, a 200.000 cittadini. Ma quale sarà il vero tributo che il territorio di Acerra e i suoi abitanti dovranno pagare sull’altare della sbandierata modernità e dell’inarrestabile progresso?

R. Un tributo lo paghiamo tutti: quell’impianto è costato già immensamente più di quanto valga, sempre che si possa attribuire un valore a qualcosa del genere. Poi, lo spreco di energia che quella metodica demenziale comporta graverà pesantemente sull’economia, così come gl’incentivi illegittimi che ci verranno rapinati e che finiranno a gonfiare ulteriormente le tasche di chi fa business con i soldi altrui. Per quanto riguarda gli abitanti della zona, e sarà una zona tutt’altro che limitata a poche decine di chilometri di raggio, questi subiranno l’aggressione di migliaia di sostanze chimiche patogene, molte delle quali poco conosciute o sconosciute del tutto. L’ultima trovata del presidente del consiglio è stata quella di permettere che lì si faccia un falò davvero di tutto, perfino in deroga alle leggi che già permettono follie vere e proprie. Dal mio punto di vista di studioso di micro e nanopolveri inorganiche e non degradabili, non posso che confermare che di queste polveri non possiamo in alcun modo liberarci e, dunque, l’inquinamento che indurranno sarà un’eredità che lasceremo ai nostri figli.

D. Bertolaso, capo della Protezione Civile (?), anima bella, con orgoglio declama che la Campania, da pecora nera, ora è la terza regione italiana, dietro Lombardia e Emilia Romagna per modernità di raccolta e smaltimento di rifiuti. Come è stata possibile questa magia? E la camorra ha avuto o ha tuttora un ruolo?

R. Bertolaso è un medico che ha perso la memoria di che cosa significhi aver prestato il Giuramento d’Ippocrate. Una magia? Certo: i rifiuti scompariranno dalla vista come il coniglio nel cilindro del prestigiatore, ma chi ha qualche nozione di chimica e di fisica sa perfettamente che il coniglio resta. Nel nostro caso, un coniglio trasformato in miliardi di miliardi di coniglietti velenosi. Quanto alla camorra, mi parrebbe davvero impossibile che si fosse lasciata sfuggire questo boccone servito su di un piatto d’argento dal governo Prodi al complice Berlusconi.

D. Berlusconi ha definito i vertici di Impregilo “veri eroi”. Impregilo è la multinazionale italiana delle costruzione nata dalla santa alleanza tra Fiat, Gruppo Benetton, famiglie Gavio e Ligresti che ha realizzato materialmente l’inceneritore e che ha collezionato e colleziona non solo da noi, ma anche in giro per il mondo nefandezze quali disastri ambientali, sociali, esodi forzati di popolazioni, spreco di risorse finanziare e vite umane. E proprio ieri la procura di Milano ha chiesto un nuovo rinvio a giudizio per gli ex vertici per cosucce chiamate aggiotaggio, falso in revisione e violazione della legge 231 del 2001 che prevede la costituzione di modelli organizzativi per prevenire gli illeciti. Un’ottima garanzia?

R. Sì, questi sono gli eroi della nostra Italia: dei pregiudicati. Ma se la magistratura avesse voglia d’indagare sul serio e non insabbiasse i processi come è accaduto, per esempio, nei confronti di Enel e della sua centrale termoelettrica di Porto Tolle, ci sarebbe di che sbizzarrirsi a scoprire che cosa si nasconde dietro queste medaglie al valore.

D. Lasciano sbalorditi i complimenti firmati dal presidente della Repubblica Napolitano all’operato del governo, capace di ottenere questo splendido risultato. IL primo cittadino italiano evidentemente è persona poco informata dei fatti. In compenso, monsignor Rinaldi, vescovo locale, si è rifiutato di impartire la benedizone a questa ennesima grande opera all’italiana, forse nell’amara previsione delle benedizioni che dovrà elargire a tutti gli sventurati che saranno intossicati dall’attività del ‘termovalorizzatore verde’.

R. Napolitano è un presidente della repubblica eletto da un parlamento palesemente anticostituzionale e, tra le sue abitudini, ci sono quella di firmare tutto ciò che gli fanno transitare sotto il naso, vedi il famigerato lodo Alfano, e quella di esternare su argomenti di cui non ha la minima conoscenza. L’essere, legittimamente o no, presidente di questa povera repubblica non regala l’onniscienza e Napolitano ne è la triste riprova. Il dramma nella tragedia è che Napolitano trova una bella fetta d’italiani che gli prestano fede anche quando travalica con ogni evidenza i limiti della sua cultura, così come fanno con tanti personaggi mediatici che diventano miracolosamente maestri di pensiero. Quanto a mons. Rinaldi, la mancata benedizione è stata un atto dovuto: per la chiesa cattolica l’inquinamento ambientale è un peccato mortale.


venerdì 27 marzo 2009

Balla a Balla

Fonte:


Vignetta di Bandanas

Ferve sui giornali il dibattito sulla crisi dei giornali. Intanto gli stessi giornali continuano anascondere le notizie (solo Repubblica e il Manifesto han raccontato la vittoria in appello di Santoro contro la Rai che si era opposta al suo reintegro deciso dal Tribunale) e a gonfiare le non-notizie. Per esempio la puntata di «Porta a Porta» con Karol Ratz, arrestato per gli stupri della Caffarella e di Primavalle, poi scarcerato per non averli commessi. Una puntata talmente arrapante da raccogliere appena il 9% di share (1 milione di spettatori). Eppure i giornali le hanno dedicato intere paginate, così i lettori che avevano girato alla larga da Vespa imparano. Non l'avete voluto vedere? Beccatevelo sul giornale. 

La sera prima, l'insetto celebrava il Quindicennio Berlusconiano con un servizietto che attribuiva la caduta del primo governo del Cavaliere a «un avviso di garanzia della Procura di Milano» e quella del secondo governo Prodi a «un'inchiesta rivelatasi poi infondata su Mastella e la moglie».
Due balle al prezzo di una. Il Berlusconi I cadde perché Bossi gli ritirò la fiducia, in dissenso sulla riforma delle pensioni, anzi su tutto. Il Prodi II cadde perché Mastella s'era accordato con Berlusconi e aveva preso a pretesto l'inchiesta di S.Maria Capua Vetere. Che non s'è rivelata affatto infondata: la Procura di Napoli ha appena depositato gli atti - preludio alla richiesta di rinvio a giudizio - a carico dei coniugi Mastella per concussione. Ma pareva brutto raccontare la verità. Intanto il dibattito sulla crisi dell'informazione prosegue, più appassionante che mai.

Etain Addey e il cesto delle more

Fonte:

La scorsa settimana vi abbiamo introdotto nel mondo del bioregionalismo. Oggi approfondiremo l’argomento con le parole di Etain Addey che spesso e volentieri delizia i suoi lettori pubblicando su varie riviste dei suoi racconti di vita bioregionale. Per gentile concessione dell’autrice, quindi, vi riproponiamo un racconto del 2003. Buona lettura.

di 
Paolo Merlini

Elfi e favole
Immagine tratta da www.ellinselae.org
“Tanti anni fa, nella stagione delle more, è capitato da noi un anziano signore inglese molto simpatico con la moglie. Erano venuti in vacanza. Charles, così si chiamava, stava per andare in pensione ma faceva parte del Consiglio d'Amministrazione di una delle grandi catene di supermercati britannici e noi siamo stati felici di sentirlo parlare con entusiasmo dell'agricoltura biologica. Era chiaro che per lui non era un discorso da business soltanto, ci credeva veramente. Era già prova il fatto che invece di andare in vacanza in un bel albergo oppure in un agriturismo convenzionale, fosse venuto a passare del tempo al nostro podere, dove la vita era molto terra terra, al punto che allora si andava ancora a prendere l'acqua dalla sorgente col secchio. Era il momento in cui si faceva la marmellata di more e quell'anno aveva piovuto alla fine di luglio e ce n'erano tante. La marmellata allora era una dei nostri prodotti principali e ne facevamo sempre la massima quantità che ci permetteva la frutta a disposizione: prima le visciole (come qui chiamiamo le amarene), poi le susine, le bacche di sambuco, le pesche, le corniole, i fichi e alla fine le mele con le more.

Mentre il gruppo di amici e familiari si avviava con cesti e secchi all'alba verso i campi, è arrivato Charles che si alzava sempre prestissimo e ha chiesto se poteva venire ad aiutarci. "Certo, ci fai un piacere!" e gli ho dato un cesto. Ci sono venti ettari da percorrere, con more in tanti punti della collina, e ognuno ha la sua zona preferita. C'è in particolare un campo con certe more giganti, bellissime, e si va sempre lì per prima. Ci sparpagliammo per il campo ed è calato il silenzio della raccolta intensa, interrotta solo da qualche grida quando qualcuno scopriva un punto veramente splendido oppure quando si litigava per le aree di competenza. Tutti sapevamo che quando avremmo finito questo campo dalle more spettacolari, ci sarebbe toccato andare a cogliere anche quelle meno belle.

Ma ecco dopo una ventina di minuti arrivare Charles, che mi veniva a dire "Ho fatto un giro per rendermi conto e ho fatto un po' di calcoli. Ci sono qui certe more che conviene cogliere - per una questione di 'cost-effectiveness', capisci, ma le altre che sono piccole conviene lasciarle perdere, perché il tempo per la raccolta non verrà ripagato." Ero così sbalordita da questo discorso logico che non riuscivo lì per lì a trovare la risposta e ho solo annuito. Era la logica di produzione da supermercato, in cui si dà per scontato che il lavoro è noioso e va sempre limitato al massimo, il prodotto deve ripagare al massimo l'investimento e c'è teoricamente una quantità illimitata di materia prima. Ma qui non è così, anzi: il lavoro è piacevole perché siamo fra amici in una mattina fresca d'estate in una valle deliziosa e solo la vista di quelle more gonfie e lucide fa venire la voglia di raccoglierle, i soldi eventuali della vendita della marmellata servono, sì, ma non è l'unico pensiero, prima di tutto perché abbiamo un tenore di vita molto basso e poi perché si pensa anche al piacere che si offre agli altri che mangeranno questa marmellata squisita.

Questa marmellata è fatta con orgoglio e cura, non ha bisogno di certificati per costringerci a non barare! Abbiamo anche del tempo a disposizione: se non facessimo questa raccolta, potremo magari stare senza fare niente, ma sarebbe più bello questo far niente di quello che stiamo facendo ora? E infine, non c'è una quantità illimitata di more da cui scegliere: ci sono queste more in questa valle, quelle belle grosse e quelle piccole - e basta! E le more ci sono solo per qualche settimana adesso, e poi per un anno o forse anche due, non ce ne saranno più. Le more della prossima vallata sono del nostro vicino, che magari è goloso quanto noi! Ho lasciato a Charles naturalmente il piacere del suo calcolo e quando lui ha visto che le more grosse erano tutte raccolte, è andato a casa a svegliare la moglie con un cappuccino e un piattino di more. Noi siamo andati sul campo sopra il bosco a cogliere anche le more piccole prima di cominciare il lavoro della cottura, "perdendo" molto tempo con il sole sulla schiena e le dita nella rugiada delle foglie, chiacchierando tranquillamente tra di noi.

Ora, qui abbiamo in piccolo due modi di intendere la vita. Così come esiste il fast food, esiste anche il fast work. Ma c'è un movimento di persone che resiste a questa tendenza nella cucina, che apprezza lo slow food: quello raccolto, coltivato, allevato, cucinato con amorosa attenzione e goduto non solo nella fase di assaggio ma lungo tutto il percorso. E io credo che sia lo stesso anche per il lavoro.

Qualunque attività, svolta in un certo modo può essere fonte di soddisfazione, benessere e creativi rapporti umani. Può anche incidere nei rapporti con i non umani e la terra stessa. "In un certo modo" significa: su scala piccola, con energia umana invece del petrolio, in luoghi familiari di cui abbiamo cura, luoghi che non desideriamo devastare bensì conservare. Noi abbiamo molti alberi, ma non tagliamo quasi mai i boschi per riscaldarci o cucinare, questa legna la prendiamo da un lavoro lento di pulizia dei pascoli.

Certo, è più lento fare legna quando non è l'unico obiettivo del lavoro. Si vede molto bene, per esempio, quando un bosco è stato tagliato per fare soldi con il legname. Si vede subito che sono stati tolti gli alberi più belli e sono stati lasciati quelli più brutti. E' molto diverso quando si vede un bosco che è stato tagliato con il bene del bosco in testa. Anche questo secondo modo di fare produce legname, ma il legname è di meno e il lavoro è più lento, più curato, più attento: slow wood!

Dopo aver tagliato il legname grosso, c'è un lavoro ancora più lento e niente affatto cost-effective, che consiste nel recuperare i rametti che normalmente oggigiorno vengono buttati via. Quel legno lì per cucinare è speciale, ma bisogna farne fascine, perché altrimenti non è agevole per trasportare o usare in cucina e fare le fascine è un altro di quei lavori lenti, curati e piacevoli.

E' un lavoro di chi ama osservare l'inverno che finisce e la primavera che avanza, sentire tamburrellare il picchio, sentire l'improvviso fruscio degli stormi di fringuelli sopra la testa come l'ala di un angelo. Quale calcolo economico possiamo fare di questo lavoro, che faccia rientrare anche la sensazione di essere lambiti da un'ala di angelo?

Ho cercato di dare un esempio piccolo e concreto di un modo di lavorare che abbia cura della terra e degli altri esseri perché vorrei fare una domanda. E' concepibile un'amministrazione politica - di qualunque livello organizzativo - che legifera attorno a questa modo di lavorare slow? O non sarà piuttosto che questo modo di lavorare può emergere soltanto dal basso, dal desiderio umano dell'individuo di "perdere" tempo per sentire l'alba o vedere il tramonto, per sentire la soddisfazione di un lavoro fatto ad arte, con rispetto e gioia?

Siccome personalmente credo che sia impossibile imporre questo modo di lavorare dall'alto, trovo difficile immaginare in che modo la società odierna come collettività possa darsi, a priori, delle regole che tendono ad un economia sostenibile. Ognuno nella propria vita, sia in città che in campagna, è libero di scegliere un modo sostenibile di lavorare e di vivere.

Sicuramente ci sono delle situazioni in cui bisogna essere ben creativi e forse anche coraggiosi per escogitare dei processi rispettosi e piacevoli per il proprio sostentamento, eppure ci sono mille strade proponibili.

Ma per un essere umano, limitare il proprio guadagno a favore della propria soddisfazione morale, a favore del prossimo, del prossimo non umano e della terra, sarà sempre una scelta consapevole che parte dal cuore e non da un direttivo. Forse, quando una massa critica di individui con una vita già riorganizzata e orientata verso un'economia sostenibile arriverà a riconoscersi come collettività, queste persone potranno collegare il loro operare in una rete dimodoché la somma è più grande delle parti. Capisco che i due esempi che ho dato si possano etichettare come frutti di una vita che è solo un romantico ritorno al passato.

Ma vogliamo guardare bene in faccia questo presente? La rivoluzione industriale con tutti questi macchinari che dovevano lasciarci più tempo libero, che effetto ha avuto? Ha creato un breve periodo di benessere per poi creare una disoccupazione crescente in tutti i paesi industrializzati, come ben prevedevano i luddisti inglesi dei primi anni del 1800, e questo dopo aver prima allontanato le persone dalla propria terra e dalla propria autosufficienza per renderli eterni clienti.

Ora molta gente è cliente delle multinazionali per tutte le proprie necessità ma non ha lavoro, o ha solo un lavoro precario o se ha lavoro spesso è un lavoro che odia. Butta i vestiti nella lavatrice e le scatolette nel forno a micro-onde perché deve correre in ufficio o in fabbrica a fare l'ingranaggio alla grande macchina capitalista con la paura di perdere il posto e finire sul lastrico come la marea umana che si vede dormire sui marciapiedi in tutte le grandi città.

E poi, come dice il nativo americano John Trudell, noi occidentali non siamo più così necessari per i multinazionali neanche come clienti: ci sono nuovi clienti nel terzo mondo che comprano i beni di consumo senza avere tante pretese come noi - asili nidi, condizioni di lavoro adeguate, sanità assistita, e così via. I clienti del terzo mondo che ora vengono allontanati anch'essi dalle loro terre, ci toglieranno piano piano quest'ultima funzione nella vita dei grandi capitali.

Ermanno Bencivenga, nel suo libro Manifesto per un mondo senza lavoro, proponeva l'idea rivoluzionaria di lavorare meno ore (e lavorare tutti) per avere più tempo da dedicare al piacere: per passeggiare, andare in bicicletta, sdraiarsi al sole, cantare, ballare, leggere, imparare la fisica, la storia, dipingere, fare teatro, insegnare agli altri le cose che sappiamo fare, coltivare l'orto. Così si eviterebbe l'odierna sovrapproduzione assurda di beni che poi qualcuno deve pubblicizzare in modo martellante perché altrimenti non verranno comprati, usati, buttati e ricomprati. Anche questa idea ha come premessa un tenore di vita meno lussuosa ma molto più divertente. E sicuramente salverebbe le risorse che oggi vengono abusate e sprecate.

Vorrei ricordare le parole di un quacchero americano, John Woolman, che scrisse nel suo diario nel 1750, "I miei affari aumentavano di anno in anno (aveva un negozio e faceva anche il sarto) e davanti a me vidi la strada del successo, ma dentro di me sentii qualcosa che mi turbava". Lo descrisse come un desiderio di liberare la mente da preoccupazioni mondane. All'età di trentasei anni, quindi, rinunciò a tutte le sue attività tranne la cura del suo piccolo frutteto e quei pochi lavori da sarto che poteva eseguire senza l'aiuto di operai.

Dedicò quindi il risultante tempo libero alla lotta contro la schiavitù, e i suoi grandi successi li ebbe in quel campo. Ognuno deve tirare le somme, capire dove è diretto il sistema capitalistico globale, chiedersi se non è meglio scendere da quel treno impazzito che è il mercato globale e inventarsi da soli una vita sostenibile. Quando ci saranno molte vite imperniate su un'economia sostenibile su piccola scala e dedite alla gioia di vivere, potremo parlarci di questo tipo di economia anche come collettività. Nessun Nestlé o Agip ce la organizzerà, e la politica è saldamente in mano a questi ultimi”.

Cina - Espianto d'organi su larga scala

Petra Reski

Fonte:


giovedì 26 marzo 2009

Opinione: La muraglia di merda, con rispetto parlando

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Pubblicato lunedì 23 marzo 2009 in Spagna

[Espana Liberal]

Il Senato italiano ha approvato una proposta per conferire al Ministro degli Interni l’autorità di ordinare l’oscuramento dei siti web per “reati di opinione”. Tutto ciò, ovviamente, senza sentenza giudiziaria né altro tipo di intervento da parte dei tribunali.

L’Italia è il paese che ha dato i natali ad alcuni dei maggiori artisti della storia in diverse discipline, come Michelangelo, Verdi o Dante. È stata anche la culla di alcuni dei piatti più popolari in Occidente. Lì ci sono la pizza e le differenti varietà di pasta. Però non è tutto positivo nella Penisola italiana e nelle sue isole. È il luogo di nascita di alcune delle organizzazioni criminali più conosciute, come la camorra siciliana (sic, N.d.T.) e delle ramificazioni di questa struttura conosciuta con il nome di mafia. Infine è famosa la corruzione della sua classe politica, un altro aspetto negativo molto legato al precedente.

La corruzione si estende a buona parte di coloro che si dedicano alla “cosa pubblica”, indipendentemente dal fatto che siano di destra o di sinistra. È, come si suol dire, qualcosa di trasversale. È trasversale anche una caretteristica della quale non si suole parlare ma che è terribile e pericolosamente reale. I politici italiani si stanno dimostrando i peggiori nemici della libertà e probabilmente di tutto il mondo democratico, tra quelli che siedono nel parlamento o nel consiglio dei ministri europei. Si tratta di un dubbio onore difficile da ottenere, ma loro ci sono riusciti.

Già il precedente Governo di sinistra tentò di votare una demenziale regolamentazione delle pagine internet che, per i requisiti richiesti, avrebbe portato alla chiusura della stragrande maggioranza dei siti web (blog e altri) italiani. Si pretendeva che ogni sito avesse come responsabile un giornalista iscritto all’albo - una figura esistente in Italia e felicemente scomparsa in Spagna dopo il franchismo -, che fosse sotto l’ala di un editore e che fosse inoltre registrata nell’equivalente italiano della CMT (Comisión del Mercado de las Telecomunicaciones). Come se non bastasse, si esigeva il pagamento di imposte per avere una pagina web, indipendentemente dal fatto che avesse o meno finalità commerciali.

L’attuale Esecutivo di Berlusconi, o almeno i suoi alleati parlamentari, non sono migliori. L’unica cosa che li differenzia è il fatto di essere meno ambigui quando tentano di limitare la libertà di espressione nella rete. Il Senato italiano ha approvato una proposta del democristiano Giampiero D’Alia per conferire al Ministro degli Interni l’autorità di ordinare ai providers di internet la chiusura dei siti web o dei social network per “reati di opinione” (per esempio inviti a non osservare una legge considerata ingiusta). Tutto questo, ovviamente, senza sentenza giudiziaria né altro tipo di intervento da parte dei tribunali.

Beppe Grillo, autore di un blog molto popolare e critico con il potere indipendentemente da chi lo esercita, ha giustamente denunciato che si vuole costruire uno “Shit Wall”, in riferimento al Golden Wall cinese (sistema con il quale le autorità comuniste limitano e controllano le informazioni accessibili su internet). Ma Grillo non si limita a denunciare. Invita i bloggers di tutto il mondo a partecipare ad una campagna di demolizione del muro cibernetico che si vuole erigere. Dipendiamo molto da questo. Se un solo paese europeo adottasse una legge come questa, tutti gli altri Governi correranno ad imitarla.

[Articolo originale di Antonio José Chinchetru]

Genchi nel mirino dei soliti noti

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di Carlo Vulpio, da Carlovulpio.it


Lo avevamo detto. Anzi lo avevamo predetto.
Questa sospensione dalle funzioni di poliziotto del vicequestore Gioacchino Genchi - 
per aver risposto su Facebook a un cronista di Panorama che gli dava del bugiardo, e quindi per essersi difeso con la parola da un'accusa infamante - non sorprende, anche se rattrista.
L'ultimo in ordine di tempo era stato Luigi de Magistris. Il giorno dopo l'annuncio della sua candidatura come indipendente nell'IdV, sono arrivate in contemporanea: la notizia dell'apertura di un'inchiesta a suo carico da parte della procura di Roma per concorso in abuso d'ufficio e interruzione di pubblico servizio, la "richiesta" del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, di dimissioni dalla magistratura (cosa che Mancino non ha mai osato chiedere, né fatto notare a nessun altro, da Violante in poi), la notizia della richiesta di archiviazione, avanzata dalla stessa procura di Roma, della querela che Luigi de Magistris e Clementina Forleo presentarono contro Letizia Vacca, membro laico del Csm in quota Pdci, che definì i due magistrati "due figure negative, due cattivi magistrati", offendendoli e anticipando il giudizio prima ancora che se ne discutesse in Csm.
Oggi, tocca a Gioacchino Genchi. Vogliono fargliela pagare a tutti i costi perché è una persona onesta e ha dimostrato di avere carattere, non lasciandosi intimidire.
Lo avevamo detto. Anzi, predetto, che piano piano, uno alla volta, sarebbero venuti a cercarci, casa per casa, magari nottetempo, per portarci via "in nome della legge", o per farci sentire il loro fetido fiato sul collo.
Stanno mettendo mano a ogni arma a disposizione. La stampa amica, i giudici disponibili, le forze dell'ordine condiscendenti, i killer politici a orologeria. Per ora, si fermano a questo. In attesa di capire come si metteranno le cose, e in quale direzione spirerà il vento. Per esempio, il vento delle elezioni prossime venture.
Non meravigliamoci se faranno altro ancora, e se ne faranno di ancor più sporche.
Non sottovalutiamo. Ma non intimidiamoci. Teniamo gli occhi aperti e diciamo fin da ora a tutti - dagli osservatori inviati dall'OSCE in Italia per controllare la regolarità delle elezioni, ai vertici dei corpi armati dello Stato, dalla magistratura fino al Parlamento e ai cittadini - che non osino metterci le mani addosso. Nemmeno metaforicamente. Perché sappiamo chi sono e si saprebbe subito chi è stato.
Genchi, purtroppo, è un altro caso da "esperimento". Ancora una volta, si vuol vedere "l'effetto che fa" e misurare il polso all'intero Paese, colpendo con una ingiusta persecuzione una persona che ha fatto solo il proprio dovere, dal giorno in cui scoprì da dove partirono i segnali per uccidere Falcone e Borsellino con le rispettive scorte fino a oggi, quando con le inchieste nate in Calabria e allargatesi in tutta Italia ha "rivisto" quelle stesse facce del piduismo elevato a potenza che stavano insanguinando l'Italia e continuano a spolparla dal di dentro.
Non sanno cos'altro inventarsi. Sono in grave difficoltà. Per questo adesso sono più deboli, e quindi più pericolosi.
Ma non ce la faranno. Questo forse è il loro ultimo giro.
Sospendere dal servizio un poliziotto onesto, o indagare un magistrato integerrimo, o fare qualsiasi altra cosa che assomigli a queste a qualcun altro, non gli servirà a nulla. La gente ha capito chi ha ragione e chi ha torto. Game over.

(25 marzo 2009)

mercoledì 25 marzo 2009

FRANCIA E SCOZIA, LA RABBIA DEI DISPERATI

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(di Fausto Belia) 
La rabbia ha spinto i dipendenti di un'azienda farmaceutica a sequestrare il direttore per un giorno, notte compresa, confinandolo nel suo ufficio. E' il secondo manager 'ostaggio' di operai in Francia, in una decina di giorni. Un atto di disperazione è invece all' origine di un suicidio di un sindacalista di un'altra azienda: ha lasciato una lettera per dire che la pressione professionale era troppo forte e per chiedere che la sua morte venga considerata un incidente di lavoro. Intanto gli operai della Continental - 1.120 destinati a scomparire - hanno invaso Parigi e raggiunto l'Eliseo, dove sono stati ricevuti da un consigliere del presidente Nicolas Sarkozy. Ma ne sono usciti delusi. Cronache della crisi dalla Francia, dove esplodono rabbia e disperazione fra operai costretti ad assistere pressoché impotenti - quasi quotidianamente - a chiusure di fabbriche, licenziamenti, cassa integrazione, sotto i colpi di una crisi che si porta via - uno dopo l'altro - pezzi dell' industria. 

Proprio mentre il presidente Sarkozy annuncia commissari alla reindustrializzazione nei bacini dove più forte è la minaccia all'occupazione e dice che è pronto a "fare di più se la crisi si aggrava". A lui, gli operai chiedono di non essere impotente di fronte alla crisi. I sindacati non sconfessano le azioni più radicali, anzi dicono che sono destinate a ripetersi, perché "l'esasperazione cresce". Così il direttore dell'azienda farmaceutica americana 3M, situata nel Loiret, centro della Francia, è stato sequestrato ieri pomeriggio dagli operai che contestano un piano di ristrutturazione che prevede la soppressione di 110 posti di lavoro su un totale di 235. 

L' uomo è stato confinato nel suo ufficio, dove ha passato la notte. "Questa azione - ha detto un sindacalista - è l'unica nostra possibilità, ma non c' è alcuna aggressività". Il 12 marzo scorso anche il pdg - presidente-direttore generale - di Sony France era stato sequestrato dagli operai e aveva passato la notte in fabbrica. L' azienda - che impiega 311 dipendenti - sarà chiusa il 17 aprile prossimo. Oggi, invece, i mille operai del sito francese di Clairvoix di Continental, gruppo tedesco di pneumatici, sono stati ricevuti all' Eliseo da Raymond Soubie, consigliere sociale di Sarkozy. Ma, all'uscita dal palazzo presidenziale, gli operai, delusi, hanno detto di non avere ricevuto "alcuna garanzia". Giorni fa, il direttore della Continental era stato preso a lanci di uova e costretto ad abbandonare di corsa l' assemblea. Altra cronaca della crisi, drammatica, è quella che arriva da Chauvigny, ovest della Francia. 

Un sindacalista della fabbrica di ceramiche Deshoulieres si è suicidato, annegandosi in un lago. In una lettera - lasciata nei locali sindacali dell'impresa - l'uomo, 56 anni, ha spiegato il suo gesto per la pressione professionale troppo forte, secondo quanto hanno riferito i gendarmi. Nella lettera, dopo aver invocato il perdono dei suoi familiari, l' uomo ha chiesto che il suo suicidio venga considerato un incidente di lavoro. L'azienda - passata sotto il controllo di un gruppo russo nel 2003 - dà lavoro attualmente 130 persone dopo averne licenziate nel dicembre scorso altre 84 nell' ambito di un piano di ristrutturazione.

Vendola: “Berlusconi self made man geniale e strabiliante”

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Riceviamo e pubblichiamo da Stefano Sylos Labini.

ROMA  - Nichi Vendola, leader del Movimento per la sinistra, tesse le lodi di Berlusconi. ''È un individuo geniale.  È una persona che ha veramente dei tratti strabilianti, un self made man che riesce a costruire un'intera epopea della vita culturale nazionale'' ha riferito il presidente della Regione Puglia, ospite stamani del faccia a faccia su Radio3. ''È un prototipo di uomo nuovo che si è saputo imporre sulla scena italiana - ha poi aggiunto Vendola - Noi abbiamo fatto un errore tragico: demonizzare il personaggio e intenderne poco il meccanismo culturale di riproduzione del consenso. La sinistra è stata molto contro Berlusconi mentre diventava berlusconiana dentro le proprie viscere e i propri accampamenti". 
(Agr 24 marzo 11:28)

Bene, bene. Di bene in meglio. Adesso inizio a capire anche il nome "Sinistra e Libertà". Un individuo geniale, secondo Vendola, che da decenni sta massacrando la testa della gente con i suoi programmi televisivi spazzatura e che si è tenuto dentro casa un boss mafioso pluriomicida condannato all'ergastolo (Vittorio Mangano), considerato da Paolo Borsellino la testa di ponte tra cosa nostra e Milano. E mi fermo qui.

Stefano Sylos Labini

Genchi sospeso dalla polizia di stato


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Manganelli canterini

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25 marzo 2009, in MARCO TRAVAGLIO



Il vicequestore Gioacchino Genchi, da 20 anni consulente dei giudici in indagini di mafia e corruzione, è stato sospeso dal servizio. Motivo: ha rilasciato interviste per difendersi dalle calunnie e ha risposto su facebook alle critiche di un giornalista. «Condotta lesiva per il prestigio delle Istituzioni» che rende «la sua permanenza in servizio gravemente nociva per l’immagine della Polizia». Firmato: il capo della Polizia, Antonio Manganelli. Se Genchi avesse massacrato di botte qualche no global al G8 di Genova, sarebbe felicemente al suo posto e avrebbe fatto carriera (Massimo Calandri, «Bolzaneto, la mattanza della democrazia»): Vincenzo Canterini, condannato a 4 anni in primo grado per le violenze alla Diaz, è stato promosso questore e ufficiale di collegamento Interpol a Bucarest. Michelangelo Fournier, 2 anni di carcere in tribunale, è al vertice della Direzione Centrale Antidroga. Alessandro Perugini, celebre per aver preso a calci in faccia un quindicenne, condannato in primo grado a 2 anni e 4 mesi per le sevizie a Bolzaneto e a 2 anni e 3 mesi per arresti illegali, è divenuto capo del personale alla Questura di Genova e poi dirigente in quella di Alessandria. Le loro condotte non erano «lesive per il prestigio delle Istituzioni» e la loro presenza è tutt’altro che «nociva per l’immagine della Polizia». Ma forse c’è stato un equivoco: Manganelli voleva difendere Genchi e sospendere Canterini, Fournier e Perugini, ma il solito attendente coglione ha capito male. Nel qual caso, dottor Manganelli, ci faccia sapere.

L'investimento responsabile

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La permacultura, ovvero l’amore verso la terra

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L’amore verso la natura, che molti di noi nutrono, si concretizza spesso in una infruttuosa critica nei confronti dei mali della società. Un’alternativa pratica a questo modo di pensare è offerta dalla permacultura. In questo articolo, ed in altri che ad esso seguiranno, l’autrice delinea le caratteristiche ed i principi fondamentali di tale approccio collaborativo, permanente e costruttivo verso la terra.

di 
Irene di Carpegna 

permacultura
Molte persone nutrono un amore profondo verso la natura e desiderano preservarla
Penso che, come me, molti lettori, condividano l’amore per la natura in tutte le sue manifestazioni e desiderino fare del proprio meglio per preservarla non solo per se stessi, ma anche per le generazioni future.

Si tratta di un’esigenza etica che guida molte aziende agricole italiane a non fare uso di sostanze chimiche di sintesi e a produrre seguendo le regole dell’agricoltura biologica. 
D’altra parte possiamo renderci conto che anche con i nostri consumi incidiamo sull’ambiente in modo più o meno irreparabile, per esempio accumulando rifiuti non biodegradabili.

Troppo spesso però i movimenti ambientalisti e animalisti ci hanno proposto solo modelli negativi, indicando cioè soltanto cose da non fare e limitazioni che finiscono per ottenere un effetto frustrante e deprimente in chi, desideroso di fare qualcosa, si imbatte in mille vincoli.

Mi è sembrato per questo particolarmente positivo l’incontro con la permacultura, come risposta a questo “cortocircuito” fra il desiderio di tutelare l’ambiente e la legittima esigenza individuale di trarre dall’ambiente sostentamento per sé e per la propria famiglia, nonché reddito dalle attività agricole.

Questo metodo offre, infatti, una maniera moderna e creativa per recuperare il sapere antico delle nostre origini contadine aumentando la redditività del nostro lavoro e contemporaneamente salvaguardando il pezzetto di natura su cui interveniamo, anche grazie a un buon uso della tecnologia e dell’immaginazione.

Esistono dei principi da seguire che sono in gran parte frutto del buon senso insito già in ciascuno di noi, e quindi soltanto da riscoprire.

Vi racconterò pertanto quello che ho imparato dall’insegnamento di Richard Wade, docente della Scuola di Pratiche Sostenibili di San Giuliano Milanese, e fondatore dell’ Istituto di “Permacultura Monsant” di Arbolì in Catalogna (Spagna).

Ma andiamo con ordine, partendo dalla parola “permacultura”, che significa “cultura permanente”.

permacultura
Il fondatore della permacultura è Bill Mollison
Questo termine è un’evoluzione del precedente “permacoltura”, cioè (agri)coltura permanente, scelto per indicare un approccio diversodell’uomo alla natura, non più quello predatorio, tipico delle monocolture annuali, ma collaborativo in modo permanente e duraturo. Un metodo che privilegia la piantumazione di alberi ed erbacee perenni, ricreando un equilibrio complesso che, col passare degli anni, ha sempre meno bisogno di interventi da parte dell’uomo, ed offre sempre più frutti.

È così che da un certo modo di fare agricoltura discende in realtà una “rivoluzione” culturale che coinvolge tutti gli aspetti della vita umana: l’utilizzo delle risorse energetiche, il tipo di consumi da favorire, il modo di costruire e di abitare, lo scambio e l’interazione con gli altri esseri umani, etc. Da qui dunque l’evoluzione del termine “permacoltura” in “permacultura”.

Ora, per vedere in sintesi com’è strutturato questo metodo, non c’è niente di meglio che partire dai 3 principi di base che ne costituiscono l’etica:

1- aver cura del pianeta;

2- aver cura delle persone;

3- limitare il nostro consumo alle nostre necessità;

Bill Mollison, il fondatore della permacultura, aveva scoperto in tanti anni di osservazioni sulle foreste, che insieme alle zone umide, non esistono altri sistemi naturali più produttivi e che qualsiasi intervento umano comporta una perdita di biodiversità e un impoverimento delle risorse. Ha iniziato così a sperimentare tutti i metodi possibili per assecondare la natura in modo da riportarla a distribuire con abbondanza i suoi frutti.

Per praticare la permacultura non occorre certo arrivare a conseguenze estreme come ritornare a vivere nei boschi cibandosi di bacche e coprendosi con pelli di animali selvatici, ma, piuttosto, considerare le conseguenze sull’ambiente di ogni nostra azione e favorire la ricchezza vegetativa naturale in ogni angolo del nostro pianeta, questo sì!

Infatti, la regola cardine della permacultura è: prendersi la responsabilità per se stessi. Se non puoi fare questo, non puoi fare permacultura.

terra
Per tutelare il pianeta è bene pensare alle conseguenze di ogni nostra singola azione
Ed è questa una piccola-grande rivoluzione perché sposta la nostra attenzione dai massimi sistemi – dalle multinazionali che inquinano, dai governi che non fanno le leggi giuste, dai comuni che non fanno la raccolta differenziata dei rifiuti, etc. – per centrare il problema su noi stessi.

Da qui discende un altro principio della permacultura: agisci con e non contro. Questo principio si riferisce senz’altro alla coltivazione, ma anche ai rapporti interpersonali.

I grossi problemi del mondo - il surriscaldamento del pianeta, l’effetto serra, il disboscamento dissennato, la desertificazione, la penuria d’acqua, l’inquinamento ... - esistono, ma finché ci muoveremo soltanto “contro” qualcosa, consumeremo molta energia con scarsi risultati e vivremo troppo spesso con un senso di frustrazione addosso. Occupandoci continuamente di quello che non va, passeremo buona parte del nostro tempo in stretto contatto con i lati peggiori dell’uomo - avidità, prepotenza, mercificazione, violenza, etc. - che suscitano in noi rabbia, indignazione o depressione. Immagazzineremo, cioè, ogni giorno tante esperienze frustranti che metteranno a dura prova le nostre qualità migliori (la tolleranza, la fiducia, l’amore...), indebolendo la nostra pulsione vitale.

La denuncia e la contestazione sono necessarie, ma le proposte alternative molto di più. E come puoi pretendere che gli altri cambino se tu, in prima persona, non cominci?

Se partiamo dalla nostra vita quotidiana, dal nostro piccolo orticello, applicando su noi stessi i nostri principi, ecco che le cose prenderanno una piega diversa.

mani
A partire dai singoli, si può creare una rete di contatti in grado di contagiare positivamente le persone
Se da solo non posso certo cambiare il mondo, posso però cambiare il mio giardino, il mio orto, il mio balcone, il mio rapporto con il vicino di casa, con i miei clienti, con i miei figli, con l’edicolante, con il barbiere... e le mie azioni positive saranno un nutrimento gratificante per me e per tutti coloro con cui ho a che fare. È questa in fondo l’applicazione concreta del principio: avere cura delle persone.

Si può creare così, a partire dai singoli, una rete di contatti in grado di contagiare positivamente sempre più persone. In tal modo, inevitabilmente, più individui si sensibilizzeranno a questi principi etici, meno seguito e meno spazio avranno i governi corrotti, le multinazionali del business, gli inquinatori etc.

Inoltre, collaborando con altre persone su progetti concreti, è possibile realizzare alternative efficienti e positive che possono poi essere replicate altrove allargandone sempre di più gli effetti.