sabato 20 giugno 2009

E' arrivato il gelato ogm?

Fonte:

Una novità è in arrivo per la prossima estate: il gelato che non si scioglie grazie alla presenza di una proteina sintetica (ogm) conosciuta come “ proteina Isp” che ha avuto il via libera dalla commissione Europea. Un vero "attentato" secondo Coldiretti.


di
Redazione

gelato fresco
Il gelato Ogm non si scioglie grazie all'aggiunta di una proteina sintetica etichettata come " proteina Isp"
Il rischio di acquistare un gelato Ogm che non si scioglie grazie all’aggiunta di una proteina sintetica fa paura a quasi 3 italiani su quattro 72 per cento), che ritengono i cibi con organismi geneticamente modificati meno salutari di quelli tradizionali.

E’ quanto afferma la Coldiretti, sulla base di una indagine Swg, in riferimento alla notizia che con la prossima estate si potrebbe correre il rischio per la prima volta di rinfrescarsi con sorbetti transgenici che non si sciolgono grazie all’aggiunta di una proteina sintetica che ha recentemente avuto il via libera dalla Commissione Europea alla vigilia delle vacanze su richiesta della multinazionale Unilever.

La contaminazione da Ogm del prodotto alimentare piu’ amato dai grandi e dai bambini avviene con una proteina sintetica isolata originariamente da unpesce artico e riprodotta in laboratorio attraverso la fermentazione di un lievito geneticamente modificato che potrebbe essere semplicemente etichettata - sottolinea la Coldiretti - come “proteina Isp”.

Un vero “attentato” che - sottolinea la Coldiretti - mette a rischio la credibilità e l’immagine generale del Made in Italy nel mondo dove le esportazioni di gelato sono aumentate del 43 per cento in valore nel primo mese del 2009 dopo che nel 2008 le spedizioni all'estero hanno sfiorato per la prima volta i200 milioni di euro. Il consumo di gelato annuale è stimato in Italia - continua la Coldiretti - in oltre 15 chili a persona per una spesa di 5 miliardi di eurodestinati all'acquisto di coppe, coni, bastoncini e vaschette, dei quali il 60 per cento di tipo artigianale e il 40 per cento industriale.

La ricerca di genuinità nel consumo di gelato è dimostrata dal fatto che tra le tendenze della nuova stagione si è assistito al tramonto dei gusti “artificiali”, come ad esempio il puffo, ad una riscoperta dei gusti di stagione e locali ottenuti da prodotti caratteristici del territorio come la frutta. In particolare - continua la Coldiretti - si è verificata una moltiplicazione delle iniziative volte a garantire la genuinità del prodotto a partire dall'impiego di latte fresco di produzione locale al posto dei surrogati a basso costo.

Cresce la preparazione casalinga di gelati che consentono una accurata selezione degli ingredienti, dal latte alla frutta, ma sul mercato non mancano però le novità come - precisa la Coldiretti - la produzione di gelati a base di latte d'asina particolarmente apprezzato per le sue proprietà, leagrigelaterie che offrono gelati ottenuti da latte appena munto in stalla ogusti a “chilometri zero” perché ottenuti da prodotti locali che non devono essere trasportati con mezzi che sprecano energia ed inquinano l'ambiente: dall'amarone in Veneto al pistacchio di Bronte in Sicilia, dal bergamotto in Calabria ai frutti di bosco di Cuneo. Esempi di creatività che - conclude la Coldiretti - hanno ulteriormente aumentato il numero di gusti disponibili che hanno oramai superato i 600.

giovedì 18 giugno 2009

Stato di Emergenza

Fonte:

di Sergio Cabras

Nel tempo che ci separa dagli anni Settanta molte cose sono successe. Alcune di queste sembravano una contingenza momentanea, ma in seguito hanno preso forma in pianta stabile come colonne (o stampelle?) portanti del sistema in cui viviamo.
Una di queste è certamente la presunzione di trovarsi in uno stato di emergenza, in una fase, data per momentanea, transitoria ( - certo, forse per un dato tipo di emergenza, salvo che poi ce n’è sempre subito un’altra) in cui si presenta il concreto rischio di perdere ciò che abbiamo (o che crediamo di avere) e che dobbiamo difendere a qualsiasi costo: in cui la difesa di ciò diventa la priorità del momento rispetto alla quale tutto il resto deve passare in secondo piano.
Al termine degli anni ‘70 questo ha permesso la stretta repressiva, il controllo sociale e poliziesco, il luogo comune e la facile etichettatura nell’informazione che hanno facilitato l’equiparazione di qualsiasi movimento di lotta radicale con i terroristi e chi li sosteneva.
Sul panorama internazionale, dopo la fine della Guerra Fredda, dall’11 settembre in poi, siamo nella guerra permanente, contrabbandata sotto altre definizioni, ed esportata (insieme alle armi e alla “democrazia”) ora qua ora là, contro il terrorismo…. anzi, il Terrorismo, la cui ci minaccia può colpirci in ogni momento e toglierci questa pace e democrazia che altrimenti starebbero già trionfando nel mondo grazie al libero mercato.

Adesso è arrivata la Crisi economica: un grande pericolo che avanza e ci soffia sul collo minacciando….. cosa? A ben vedere di farci ridimensionare il nostro esagerato tenore di vita e portarci ad uno stile più sobrio e sostenibile per il pianeta, uno stile che ci potrebbe evitare problemi ben più gravi in un futuro abbastanza prossimo.
Ma noi non abbiamo tempo per guardare a questa prossimità: dobbiamo pensare all’emergenza di turno, che questa volta è veramente grande, è mondiale, ci può togliere stipendio e lavoro se dovesse peggiorare. Può togliere il futuro ai nostri figli - quelli che non stiamo più facendo o quelli il cui futuro stiamo già gravemente ipotecando altrimenti. Questa emergenza è di grande portata e potrebbe essere anche di lunga durata, magari potrebbe diventare permanente…. come la guerra al Terrorismo.
Tutto sommato somiglia un po’ all’11 settembre: non che non sia reale e non che non colpisca duramente, ma anche questa, in un certo senso, se non c’era…. bisognava inventarla.

Negli anni ‘70 si diceva “la crisi è strutturale”. Si intendeva che il capitalismo è destinato a crollare come sistema a causa delle contraddizioni interne che porta con sé e nella società. Certo, probabilmente finirà così e forse anche più prima che poi. Però, nel frattempo, la crisi potrebbe diventare un elemento strutturale anche nel senso di una ulteriore stampella ormai permanentemente necessaria per evitare che ci si rivolga ad altre strade; che il disagio crescente e la ristrettezza dei margini ridistribuibili di profitto producano dubbio e sfiducia (e con essi la possibilità di vedere le cose da un punto di vista differente, di immaginare delle alternative); che questa sfiducia giunga a diffondersi in strati sociali diversi da quelli tradizionalmente emarginati.

Forse la minaccia della Crisi, di perdere ciò che si ha (per chi è più giovane, ciò che si è sempre avuto, e che costituisce l’unico tipo di vita che si conosce) è un buon deus ex machina perché tutti continuino a fare la propria parte, di produttori, di consumatori, perché tutti si identifichino col sistema, senza troppi dubbi. Se l’adesione dei cittadini al sistema sociale non tiene più sulla base della convinzione, di un’identità, di regole ed istituzioni condivise, di un’idea in positivo, una visione del mondo e della Storia, che lo faccia allora su quella della paura e dell’interesse a non perdere ciò che si ha.
Che lo faccia dunque su questa base, povera e negativa, nell’era della ricchezza.

La gente oggi deve capire che nell’atto di comprare e (forse ancor più) in quello di buttare per ricomprare ancora non c’è solo un ovvio aspetto di piacere nell’acquisire qualcosa di nuovo e di simbolicamente significativo, ma ce n’è anche un altro di dovere, di fare la propria parte o, se la si vuol mettere diversamente, di realismo, di interesse personale nel tenere in piedi “la baracca”- che è poi ciò che ognuno ha in comune con gli altri, in una sorta di solidarietà nell’egoismo (che può anche funzionare, fino a che tutto gira comunque abbastanza bene e le vacche son ancora grasse, ma non credo altrettanto in caso contrario).

Si ripropone ancora una volta la solita formula, secondo la quale, per risolvere i problemi causati dallo sviluppo, ci vuole più sviluppo, per quelli del mercato, più mercato, per quelli della tecnologia, più tecnologia…ecc… Non è tempo di scantonare, dunque, ma di concentrarsi sul continuare a camminare (o correre) in avanti, rimandando ad oltranza il momento di chiedersi perché e verso dove si stia andando.
Dev’esser chiaro a tutti che i consumi vanno mantenuti, ed anzi rilanciati, aumentati. Che non venisse in mente a nessuno di diminuirli. Ché nella stessa barca consumistico-tecnologica ci stiamo dentro tutti, nessuno si faccia illusioni di chiamarsi fuori e se questa affonda ci affoghiamo tutti insieme…. ché ormai qui le braccia per nuotare non le sa usare più nessuno.
In altre parole, se qualcuno non capisce l’importanza del consumare agli attuali e crescenti livelli con le (ragioni) buone, deve capirlo con le cattive.

Ma non c’è solo la paura: c’è anche la speranza; ora si affaccia la deflazione, ora sembra esserci una certa ripresa, magari non tale da sentirsi sull’occupazione e sui prezzi, ma che permette agli economisti di presumere un qualche punto percentuale in più a partire dall’anno prossimo…. salvo che poi i calcoli potrebbero dover esser rivisti al ribasso…..ecc..ecc.. Non so: io non ho le conoscenze di “scienze” economiche sufficienti per immaginare cosa effettivamente potrebbe accadere da qui a un anno. Ma il punto è che la stragrande maggioranza delle persone (e temo - seppure a un altro livello - anche degli stessi economisti) non lo sanno, non ne possono proprio avere gli elementi. E neppure su cosa davvero stia accadendo ora.
In ogni caso, tranne che quando il tracollo non sarà divenuto manifesto, c’è da aspettarsi che le notizie saranno sempre altalenanti, perché sarebbe troppo pericoloso il diffondersi di un pessimismo finanziario e di una depressione consumistica. La minaccia della Crisi non ha solo la funzione di previsione di qualcosa che ha più o meno probabilità concrete di accadere, ma ha precisamente quella di minaccia. La minaccia permanente, alternativamente accompagnata da momenti di speranza di segno opposto, così come il sistema pedagogico del bastone e la carota, hanno proprio l’effetto di alimentare attaccamento ed identificazione in qualcosa da cui altrimenti si potrebbe sentir ormai maturo il tempo per distaccarsi, emanciparsi. Si potrebbe pensare di esser diventati “grandi” e poter finalmente guardare a sé stessi, a ciò che veramente è la propria reale esperienza vissuta e alla realtà. Invece dobbiamo ancora restare bambini e credere alle favole.
Ma qual’è la favola di cui si sta parlando?
Il punto non è se la Crisi sia vera o no (ho già detto che non avrei la competenza per discutere questo), né mi interessa più di tanto analizzare in che misura può o meno trattarsi di una di quelle campagne cosiddette d’informazione orchestrate ad arte. Per chi veramente è in grado di liberare la propria vita non è sempre così necessario individuare un oppressore. Il fatto sostanziale è che la paura di perdere una condizione materiale (un livello di consumi) che viene ritenuta l’unica degna di esser vissuta e il desiderio (necessariamente insoddisfabile) di avere sempre di più e d’altro sono (insieme) elementi strutturalmente portanti del lato interno/vissuto di questo sistema e di questo modello di società.
E’ un po’ come se, diventati dipendenti da un farmaco palliativo da prendere a vita, ne accettassimo i pesantissimi effetti collaterali anziché cercare un’alternativa meno impattante (o magari anche la salute) perché già la notizia che questo farmaco sta diventando scarso, che le riserve stanno diminuendo, ci spaventasse a tal punto da impedirci di considerare ogni altra possibilità.

Così la paura delle conseguenze di una crisi economica profonda può far sì che molte persone si identifichino col sistema, nel proprio stile di vita e in quelli che ritengono i propri interessi, anche se ne danno un giudizio sostanzialmente negativo, subendo la pretesa necessità di sostenerlo nei fatti, anche se non nelle parole. Ma questa identificazione avviene essenzialmente solo in un’ottica passiva: così da non vedere quanto davvero siano la stessa cosa, quanto davvero stia nelle loro mani il crearlo e ricrearlo ogni giorno, come parti dei suoi meccanismi. Quanto, in realtà, questa emergenza e questo pericolo che il nostro “tutto” (ma cosa poi, esattamente?) possa andar perduto siano tali solo nella nostra testa e in quella di chi non sa immaginare altre forme di vita, né vuole che altri le immaginino, agitando così lo spauracchio di una crisi che c’è - nessuno lo nega - ma che, se non ci fosse, bisognerebbe, appunto, inventarla. Proprio per le buone opportunità che può dare a chi ha interesse a mantenere in vita questo sistema.

Come anche le dà - d’altra parte - a chi ci trova delle buone ragioni per abbandonarlo, superarlo, e costruire fin da ora (quale che sarà l’esito di questa paventata Crisi) forme di vita ed economia diverse basate su ciò che veramente abbiamo, come esseri umani, e non sulle molte illusioni che ci sono sempre state vendute.

Questo post è la versione ridotta (per motivi di spazio) di un articolo più ampio che, chi volesse leggere per intero, può trovare su
http://ecofondamentalista.blogspot.com/2009/06/stato-di-emergenza.html

mercoledì 17 giugno 2009

In ginocchio Bertin, colosso brasiliano che distrugge l'Amazzonia

Fonte:

Il colosso brasiliano Bertin che sta distruggendo l’Amazzonia non riceverà più l’ultima parte del prestito dall’International Finance Corporation. Le principali catene di supermercati in Brasile stanno cancellando i propri rapporti con la grande azienda, mentre in Italia i pochi clienti rimasti continuano a tacere. Dopo tanti crimini compiuti contro l’ambiente e le popolazioni indigene è giunta l’ora della giustizia

foresta amazzonica
Bertin, il colosso brasiliano che sta distruggendo l'Amazzonia è in ginocchio dopo la denuncia di Greenpeace
L’International Finance Corporation, l’istituzione del Gruppo Banca Mondiale a sostegno degli investimenti privati nei Paesi in Via di Sviluppo, ha cancellato il prestito di90 milioni di dollari che era stato concesso al gigante della carne e della pelle brasiliana: Bertin. La decisione del IFC arriva due settimane dopo il lancio dell’inchiesta di Greenpeace “Amazzonia che macello!” nel quale l’organizzazione rivela che, dietro il finanziamento del settore dell’allevamento bovino da parte del IFC e del Presidente Lula attraverso la banca governativa per lo sviluppo economico (BNDES), hanno fatto sì che questo settore diventasse la più importante causa della deforestazione dell’ultimo polmone del nostro Pianeta e una pericolosa fonte di emissioni di gas serraa livello globale.

Il prestito che IFC aveva concesso a Bertin è, infatti, stato utilizzato per espandere le attività di allevamento di Bertin nella regione amazzonica causando deforestazione illegale e accelerando il cambiamento climatico.

“Che la Banca Mondiale abbia cancellato il prestito è senz’altro una buona notizia – commenta Chiara Campione, responsabile della campagna Foreste di Greenpeace Italia – ma è scandaloso che dei prestiti per cifre così importanti siano stati concessi per foraggiare le attività di un’azienda che si è macchiata di gravissimi crimini ambientali. Finanziando Bertin la IFC si è resa corresponsabile della distruzione dell’Amazzonia: un rifugio per labiodiversità e una delle più importanti armi al mondo per combattere il cambiamento climatico”.

Gli ultimi 30 milioni di dollari del finanziamento non saranno quindi più erogati a Bertin, il quale, secondo quanto dichiarato da IFC dovrà restituire anche i 60 milioni che ha già ricevuto in tempi molto più brevi di quelli stabiliti all’erogazione del prestito. Greenpeace ritiene che anche la banca governativa BNDES debba immediatamente tagliare i finanziamenti a Bertin e a tutte quelle aziende del settore zootecnico che stanno deforestando l’Amazzonia e distruggendo il clima del Pianeta.

La giustizia brasiliana, in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta di Greenpeace, apre un'indagine su Bertin e si appresta a richiedere all’azienda e agli allevamenti illegali che deforestano l’Amazzonia e riducono in condizione di schiavitù i lavoratori e le popolazioni indigene, un indennizzo milionario per danni ambientali e le principali catene di supermercati in Brasile, comeWal Mart, Pao de Azucar e Carrefour, cancellano i propri contratti con Bertin in seguito ad una azione civile del Ministerio Publico Federal che ha imposto multe di circa 200 euro per ogni chilo di carne proveniente dalla distruzione dell’Amazzonia commercializzata nel Paese.

In Italia, i clienti di Bertin per la carne come Kraft Foods Italia e per la pelle come le concerie Rino Mastrotto, Gruppo Mastrotto e i produttori di divani Chateau d’Ax, continuano a tacere ritenendo di non dover prendere posizione rispetto ai loro rapporti commerciali con aziende colpevoli di crimini gravissimi come la deforestazione, il lavoro in condizione di schiavitù e il cambiamento climatico.

Il Partito democratico e i notabili nel formaggio

Fonte:
di Paolo Flores d'Arcais

Un avvocato di 38 anni non è un “giovane”. Se poi entra in politica, e raccoglie una mole di preferenze che quasi doppia il risultato del capolista, l’avvocato in questione è già potenzialmente un leader. A 36 anni Zapatero era segretario del Psoe e John Fitzgerald Kennedy a 35 viene eletto senatore (diventerà presidente appena un po’ “meno giovane” della nostro avvocato). Debora Serracchiani, perché di lei si tratta, deve solo decidere di rischiare come leader, o ripiegare – già ora, così “giovane”! - sul tranquillo tran-tran della carriera di notabile.
Debora Serracchiani ha deciso, non correrà da leader, non si candiderà alla segreteria del Partito democratico. Sarà uno dei notabili di Franceschini. Per i media continuerà a passare per “giovane”, ma ha già fatto la scelta più vecchia e di sempre, nella partitocrazia di destra, di centro, di sinistra: la cooptazione.
David Sassoli, giornalista, di anni ne ha 53, non lo si può far passare per giovane nemmeno con gli argani (bisognerebbe assumere come metro della vita umana quello delle promesse del dott. Scapagnini al suo più illustre paziente, e anche così sarebbe ormai di mezza età), e avendo preso 400 mila voti, uno strabotto, è ipso facto un candidato alla leadership del Pd. Ma anche lui ha preferito un futuro di rassicurante carriera “nel formaggio” della cooptazione di nomenklatura. Prosit.
Se questo è il “nuovo” del Pd, resta solo l’’abusato “si stava meglio quando si stava peggio”, ma risalendo assai indietro, ad Occhetto e anche prima.
Al possibile rinnovamento del Partito democratico ho personalmente smesso di credere, definitivamente, dopo le prime dichiarazioni/invocazioni di Veltroni sconfitto: “dialogo, dialogo, dialogo, Berlusconi non respinga la nostra preghiera di dialogo!”. Ma altri cittadini democratici (nel senso che, come noi, stanno con la Costituzione repubblicana, senza se e senza ma), assai autorevoli nel mondo della cultura e/o del giornalismo, continuano a ritenere che “extra Pd nulla spes”: se vogliono poter continuare a sostenere l’ipotesi del rinnovamento di tale partito, sarà il caso che riescano a convincere qualcuno di veramente estraneo alla vecchia combriccola dei cooptatori-cooptati-cooptandi (l’intero vecchio gruppo dirigente, insomma), a farsi avanti, perché nessuno crederà a un partito nuovo con segretari “sempre quelli”, e se un nome fuori dai giochi non correrà alle primarie, finiranno per dover dar ragione a girotondini, giustizialisti e altri pericolosi estremisti, perché nel Pd l’emorragia diventerà esodo biblico.

Progresso io ti odio

Fonte:

martedì 16 giugno 2009

Nucleare Alessandria, l’udienza slitta al 30 giugno

Fonte:

di Giorgio Cattaneo

Senza esito l’udienza del 16 giugno: il Consiglio di Stato riesaminerà il caso del nucleare ad Alessandria solo il 30 giugno, dopo aver visionato documenti forniti all’ultimo minuto. Nuovo colpo di scena, quindi, nella complessa battaglia politica e legale che oppone gli ambientalisti alessandrini, sostenuti da Beppe Grillo, alla Sogin di Bosco Marengo, società pubblica (ex Fabbricazioni Nucleari, Enea) attraverso cui il governo Berlusconi, con il consenso della Regione Piemonte, intende procedere alla dismissione dell’impianto, trasformandolo di fatto nel primo deposito autorizzato di materiale radioattivo d’Italia, sia pure “temporaneo”.

«Si tratta di un espediente - afferma Lino Balza di “Medicina democratica” - per aprire la strada al ritorno del nucleare in Italia, anche senza il sito speciale per le scorie, previsto da una legge del 2003 e non ancora individuato. Se il governo la spunta su Bosco Marengo - aggiunge Balza - è poi possibile che, a cascata, vengano trasformate in discariche autorizzate “temporanee” anche le altre installazioni nucleari italiane».

Per questo, gli ambientalisti alessandrini (tra cui “Medicina democratica”, Legambiente, Pro Natura, Movimento per la Decrescita Felice) attraverso una sottoscrizione popolare erano riusciti a raccogliere i 4.000 euro necessari a ricorrere al Tar del Piemonte, che aveva dato loro ragione: dismissione “illegittima”, perché in contrasto con la legge del 2003 sullo stoccaggio di materiali nucleari (a Bosco Marengo sono custoditi 550 fusti di ossido di uranio).

Gli enti locali, dalla Regione alla Provincia, non hanno condiviso l’allarme: dato che nel 2020 l’Italia dovrà riprendersi le scorie nucleari parcheggiate in Francia al tempo in cui le centrali atomiche italiane erano in funzione, si presume che, per allora, sarà trovato il sito nazionale in cui mettere in sicurezza il materiale radioattivo. «Ad Alessandria il materiale è attualmente già presente: seppellirlo nel cemento non comporta rischi ulteriori». Secondo gli ambientalisti, invece, lo stoccaggio “provvisorio” a Bosco Marengo rischierebbe di diventare permanente, in un sito che, secondo la legge, non è idoneo alla conservazione “sicura” di materiali radioattivi.

Di qui, il ricorso al Tar. Contro cui si è opposta la Sogin, che si è appellata direttamente al Consiglio di Stato, mettendo in crisi gli ecologisti, costretti a racimolare in pochi giorni i 20.000 euro necessari a presentarsi al tribunale amministrativo romano. Decisivo quindi l’intervento di Beppe Grillo, che la scorsa settimana ha annunciato il suo impegno personale. Rappresentati dall’avvocato Mattia Crucioli, gli ambientalisti si sono quindi potuti presentare in aula il 16 giugno. Peccato però che l’udienza sia stata aggiornata.

«Si è trattato dell’ennesima, grave scorrettezza della Sogin - afferma Balza - che ha presentato documenti all’ultimo minuto, provocando le proteste del nostro avvocato e l’irritazione degli stessi consiglieri, impossibilitati all’esame dei nuovi atti». Invitabile quindi il rinvio, fissato per il 30 giugno. Secondo il legale degli ecologisti, la documentazione prodotta potrebbe rivelarsi addirittura un boomerang per la Sogin, «in assenza delle autorizzazioni previste per lo smantellamento», già avviato, dell’impianto di Bosco Marengo.

La sostanza, però, è che l’azienda prende tempo e costringe gli ecologisti e i loro sostenitori a una nuova raccolta-fondi per affrontare i costi dell’ennesima udienza. «Con questa rinnovata tattica del rinvio - spiega Balza - la Sogin ha impedito al Consiglio di Stato di confermare o revocare la precedente ordinanza, e noi a questo punto andiamo in seria difficoltà: non sul piano del merito, che ci vede sicuri e convinti, ma per il fatto di dover sostenere ulteriori spese».

Sperando che Beppe Grillo mantenga il proprio (clamoroso) impegno, che ha permesso agli ambientalisti di presentarsi il 16 giugno a Roma, gli ecologisti rilanciano in ogni caso la sottoscrizione popolare: «Dobbiamo innanzitutto moltiplicare i nostri sforzi, e tentare di raccogliere il denaro necessario per proseguire la battaglia legale».

Indicando la causale “nucleare Alessandria”, è possibile effettuare versamenti sul conto corrente bancario 10039 di “Medicina democratica Scrl” (Abi 05584, Cab 01708, Cin W, codice Iban IT50W0558401708000000010039) o sul conto corrente postale 22362107 intestato a Pro Natura Torino, via Pastrengo 13, 10128 Torino (info: www.medicinademocratica.org).

All'uragno ci pensa il dottore

Fonte:

Scritto da Stefano Montanari
martedì 16 giugno 2009

Lo avrete già letto o sentito tutti: noi importiamo legna radioattiva contaminata dal cesio 137, l’isotopo di Chernobyl, e ce ne accorgiamo per puro caso, semplicemente perché un signore trova che quella roba non brucia bene e avverte le autorità. Quanto “bio-combustibile” del genere abbiamo importato? E chi lo sa? Da noi i controlli non si fanno. Al massimo si taroccano. Meglio, comunque, gli atti di fede. Poi, quando c’è l’“incidente” e nessuno è riuscito a nasconderlo, ecco che arrivano i nostri. Adesso tutte le stufe che bruciavano quel legno tossico dovranno venire distrutte (come, resta un mistero, essendo radioattive), e chi ha provocato il guaio (enti di “controllo” per nulla esclusi) avrà tante italiche probabilità di farla franca.
Di seguito una delle mail che ho ricevuto:
“Sono A. di Aosta. Volevo farvi notare che questa cosa, per noi, è un vero casino, soprattutto per la necessaria distruzione delle stufe contaminate.
Una stufa a pellet è piuttosto costosa. Per darvi un'idea:una mia collega ne ha comperata una molto piccola, delle dimensioni di una catalitica a gas, che, montata su rotelle, ha appunto la funzione di stemperare piccoli locali. Costo:1400 euro. Una stufa a pellet buona, adatta a fungere da riscaldamento centrale in una casa di montagna, non costa meno di 2500. In questo settore la qualità rappresenta una scelta obbligata. Chi ha comperato articoli più economici poi se ne è pentito e spesso li ha sostituiti.
Le stufe a pellet sono utilizzate soprattutto fuori Aosta, dove non esiste metanizzazione. Molti proprietari di casa hanno dotato gli alloggi da affittare di questo tipo di impianto ed hanno aumentato gli affitti, perché viene considerato pregiato ed economico per chi lo usa .Per non parlare di chi vive nella propria casa, che ha investito per acquistare le stufe.
Insomma, nutro seri dubbi che tutte le stufe verranno distrutte, come dovrebbero. La gente in questi casi parla di allarmismi eccessivi, non vede le possibili conseguenze a lungo termine...Spero solo che chi deve faccia dei controlli seri...”
A me viene da sorridere, e da sorridere amaro, quando penso alle cento e cento volte in cui ho detto alle mie conferenze che non è affatto raro che il legno da bruciare come “biomassa” (virgolette) ha ottime probabilità di essere

radioattivo, così come spesso è radioattivo il carbone che qualche burlone definisce comicamente “pulito”.
Ma la radioattività non si vede e non puzza. Dunque, perché preoccuparsene? E poi, chissà quanta roba radioattiva è già arrivata negli anni: magari scorie mescolate al minerale di ferro che compriamo all’estero! Se non ci fosse qualche rompiscatole che sta a fare il pignolo su tutto, nessuno se ne accorgerebbe. Intanto, fingiamo che non sia successo niente, che non sia mai successo niente, e diamo il via al programma nucleare, quel programma che gli Stati Uniti hanno abbandonato da trent’anni perché, nella loro ingenuità e a seguito di una lunga esperienza evidentemente mal condotta, l’hanno etichettato come antieconomico, aggressivo per la salute, impraticabile per motivi tecnici (esempio, lo smaltimento impossibile delle scorie) e senza futuro (le scorte di uranio sono alla frutta). Fallimentare sotto ogni punto di vista, lo definiscono di fatto loro. Certo, gli Stati Uniti non hanno a disposizioni menti eccelse come le nostre. Chi ha letto o sentito le parole dello scienziato Franco Battaglia dell’Università di Modena e Reggio Emilia sa di che cosa parlo. E ancor di più lo sanno i giovani che lui, con lena indefessa, sta formando come gli ovini indispensabili per costruire il mondo luminoso da Mulino Bianco che ci attende.
Ma noi non abbiamo solo il privilegio di avere dalla parte del tricolore il professor Battaglia. Genio e cultura sono nel nostro DNA e queste caratteristiche risplendono fin nelle cellule meno vistose. Tanto per fare un esempio solo apparentemente piccino, in Piemonte, nella tanto grande quanto remota provincia di Cuneo, presta la sua opera un chirurgo, primario nel suo ospedale, che ci illumina sull’
uragno (chiamato confidenzialmente così dal luminare stesso) e sul suo destino. “In Francia – ci fa sapere il dottore che la sa lunga - hanno oltre 60 centrali nucleari, e producono, al massimo, fra tutte, una tonnellata di scorie l’anno. E nulla vieta di seppellire le scorie sotto terra: tanto l'uragno nella terra c'è già. Oppure – e qui sta il vero colpo di genio - possono benissimo sparare le scorie sul Sole.” Al cospetto di una mente siffatta sorretta da una cultura tanto raffinata si resta ammutoliti con reverenza.
Insomma, sulla scorta delle indicazioni di fari della scienza come il mai abbastanza lodato professor Zero (siamo ancora indignati dalle bacchettate ingenerose che gli diede il Premio Nobel Carlo Rubbia), il frizzante professor Battaglia, gli scienziati che Federambiente, grande mecenate, sostiene e che ricambiano firmando opere che resteranno nella storia della scienza, compresa la psichiatria, il politico Antonio Di Pietro che, per non impressionarci, nega ciò che sta facendo il suo braccio armato, l’onorevole Misiti, e tanti altri personaggi solo in apparenza minori come, ad esempio, il sindaco di Nonantola che, nel suo piccolo, fa quello che può, noi daremo una spinta all’evoluzione della Natura. Sì: tra polveri e radioattività, magari addirittura con polveri radioattive (paghi uno, prendi due), riusciremo addirittura a modificare l’ormai noioso genoma umano e a generare specie innovative che la fantasia della Natura non sarebbe mai stata in grado di partorire. E daremo pure un impulso vivace alla ripresa economica favorendo l’attività delle industrie farmaceutiche e di tutto quell’universo meraviglioso che a quelle ruota intorno.
Questo con buona pace dei catastrofisti che, prima o poi, riusciremo a mettere in galera.

Scritto da Stefano Montanari
martedì 16 giugno 2009


Udienza processo Dell'Utri

Fonte:


Marcello Dell’Utri, senatore della repubblica, è imputato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. In primo grado è stato condannato assieme all’ormai defunto mafioso Gaetano Cinà a 9 anni di carcere. La sentenza che risale al dicembre del 2004, ricostruisce rapporti a dir poco agghiaccianti del senatore che nessun paese, nemmeno una dittatura sudamericana potrebbe pensare di avere tra le fila dei propri parlamentari.

Nel procedimento d’appello cominciato in maggio, il nome di Dell’Utri appare in un paio di intercettazioni telefoniche (che tra un po’ di tempo non si potranno più utilizzare) fra alcuni presunti mafiosi sotto indagine per altri reati, e di cui i giudici hanno chiesto l’acquisizione delle bobine.

Nel video il riassunto della vicenda e il punto del processo che è alla fine della fase istruttoria. Le prossime udienze nell’aula della seconda sezione penale della corte d’appello del tribunale di Palermo sono previste venerdì 19, venerdì 26 giugno e se tutto andrà come previsto, si entrerà nel dibattimento venerdì 10 luglio. In ogni data a partire dalle 9 del mattino.

domenica 14 giugno 2009

Obsolescenza pianificata

Fonte:

Molti dei prodotti che utilizziamo quotidianamente hanno una durata molto breve. Vi siete mai chiesti il motivo? Dietro questa scadenza pianificata si nascondono delle logiche di mercato appositamente create dai geni del marketing e dell'informazione.


di
Andrea Bertaglio

elettrodomestici
Molti degli elettrodomestici di nuova generazione hanno durata molto breve
Avrete sicuramente notato come i prodotti che ci ritroviamo ad acquistare ed utilizzare abbiano una durata sempre più breve. Borse e zaini o scarpe e vestiti che si scollano, rompono, sfilacciano dopo poche settimane o nella migliore delle ipotesi, dopo pochi mesi. Pentole e padelle antiaderenti (che già non amo particolarmente, nonostante l’incredibile praticità e comodità, perché vanno contro lo spirito stesso del cucinare – che richiede abilità e pazienza – che è un’arte del saper aspettare e dell’avere continuamente cura di qualcosa), che si scrostano letteralmente al decimo lavaggio; asciugacapelli, lavatrici ed elettrodomestici vari che si inceppano (o in certi casi prendono addirittura fuoco!) sempre e comunque “in giovane età”; telefoni cellulari e fotocamere digitali che si rompono misteriosamente anche dopo sei mesi… Si potrebbe andare avanti all’infinito.

Ma perché accade tutto ciò? Perché il frullatore che ho in casa, risalente agli anni cinquanta e che ho avuto in dono, o meglio, in eredità, non da una nonna, ma addirittura da una bisnonna, funziona benissimo dopo più di mezzo secolo mentre la fotocamera, acquistata l’anno scorso, non dà più segni di vita dopo che il suo “display” si è rotto semplicemente stando in una borsa e che, a parere del negoziante vicino casa, non può essere assolutamente riparata (a meno che non si vogliano spendere cifre esorbitanti), ma può solo essere sostituita in toto? (E poi ci si stupisce delle “emergenze rifiuti”!). Perché non possiamo più riparare qualcosa ma solo sostituirlo?

Le risposte sono varie e più o meno complesse, ma a parte il fatto che nella maggior parte dei casi abbiamo perso ogni capacità, anche solo di iniziativa, riguardante la riparazione degli oggetti che ci circondano (come si può poi avere la competenza di riparare una fotocamera elettronica?), i motivi principali sono dovuti al fatto che ai geni del marketing e dell’informazione far apparire ogni cosa obsoleta dopo poche settimane l’uscita sul mercato non basta più, le merci (tutte, dalla più semplice alla più tecnicamente avanzata)devono avere una scadenza programmata.

scadenza prodotti
Tutte le merci presenti nel mercato devono avere una scadenza programmata
Ci sono già fior di studi e ricerche a riguardo che non sto a citare in questa sede, ma sarei pronto anche senza di essi a scommettere che ormai si progetta la stragrande maggioranza dei prodotti in modo che si guastino o addirittura si debbano sostituire entro periodi sempre più brevi.

Penso (e francamente spero) che sempre più persone abbiano iniziato ad essere insofferenti a questo comportamento che arreca danni non solo all’intero villaggio globale, dai lavoratori sfruttati nei paesi in via di “sviluppo” per produrre questa merce-spazzatura ai consumatori dei paesi “sviluppati”, ma anche ovviamente all’ambiente.

Sempre più persone hanno iniziato a sentirsi profondamente infastidite dallecontinue promesse di frivola felicità propinateci quotidianamente dai paladini della società dei consumi e della crescita economica (gli stessi, per intenderci, che con le loro speculazioni finanziarie e privatizzazioni selvagge ci hanno portato alla situazione attuale, al “1929 reloaded”, come lo ha definito di recente Maurizio Blondet).

Sempre più persone sentono la naturalissima esigenza di sfuggire a queste“logiche illogiche” ed a queste tensioni e frustrazioni che ne conseguono, anche se in moltissimi casi ancora non sembrano rendersene pienamente conto.

Che fare, allora? Le uniche due risposte che mi sento di poter fornire sono due:

- re-imparare gradualmente a prodursi il più possibile i propri beni (cosa che urge anche al sottoscritto).

- Smettere di comprare. Bandire il più possibile lo “shopping” dalle nostre vite.

shopping
Bandire il più possibile dalle nostre vite lo shopping è un'alternativa alla crisi
Questo non come ripudio totale della società in cui viviamo, non come voto di rinuncia, ma come allenamento per ciò che ci attende nei prossimi anni (che per l’appunto non sarà recessione, ma depressione), ossia una decrescita che per i più sarà forzata, e probabilmente non così felice. È forse l’unica forma di reazione, o addirittura di rivoluzione, che ci è rimasta nei confronti dei signori del marketing, della politica, della finanza e della crescita, che giocano sempre più con le nostre vite e che, più che delle persone, ci ritengono da parecchio tempo solo dei meri consumatori.

Quando dobbiamo comprare qualcosa, almeno, teniamo presente i vecchi proverbi, sempre molto validi e molto attuali, tipo quello che dice “che chi più spende, meno spende”, provando a ridare in generale più importanza alla qualità che alla quantità.

A costo di ripetermi, ribadisco che la decrescita è già iniziata in tutto l’Occidente, e sta a noi renderla felice.

Gigante americano rivoluziona produzione suina nel mondo

Fonte:

Smithfield Foods, il più grande allevatore americano di maiali, si è servito dei sussidi europei per diventare il maggior produttore del mondo. Rivoluzionando l’allevamento, Smithfield ha cancellato tradizioni secolari e posti di lavoro. Ne soffrono anche gli animali e l’ambiente circostante.


di
Elisabeth Zoja

maiali uccisi
Maiali uccisi dopo l'epidemia di febbre suina
Milioni di maiali passano la vita al chiuso, sotto luci accese che ne stimolano la crescita. A 300 giorni dalla nascita pesano 120 chili, e sono pronti per la macellazione.Ogni pezzettino di carne e grasso viene poi prelevato per riempire salsicce. Carne a prezzi ridicoli, con i quali neanche gli allevatori africani riescono a competere.

Sono i maiali di Smithfield Foods, il più grande produttore suino del mondo. Un gigante americano che ha iniziato ad espandersi nel ‘98 e ora possiede fabbriche in Messico, Cina, Gran Bretagna, Francia, Spagna, ed Europa dell’est, soprattutto in Polonia e in Romania.

Dove ha trovato il finanziamento necessario? Si è servito di milioni di euro di sussidi dell’Unione Europea. Il pretesto era quello di investire nell’innovazione agricola dei paesi dell’est.

Anche la Romania paga dei sussidi: ogni maiale vale 30 euro. Qui ogni anni Smithfield produce 600,000 suini (dall’allevamento alla macellazione per finire con l’esportazione) e riceve quindi 18 milioni di euro di sussidi nazionali all’anno.

In meno di cinque anni Smithfield si è aggiudicata non solo i sussidi europei, ma anche una certa influenza politica. In Polonia e Romania è riuscita a far eleggere politici ‘amici’ allontanando così l’opposizione. Grazie a questi aiuti in qualche anno è riuscita a creare una rete di granai, mattatoi e baracche contenenti ciascuna migliaia di maiali.

A questo ritmo di crescita però, Smithfield non sempre è riuscita ad ottenere i permessi ambientali necessari, e spesso non ha informato le autorità sulle morti dei maiali. Nel 2007 la febbre suina ha colpito tre dei loro allevamentiin Romania, due dei quali operavano senza permessi.

smithfiled produttore suino
Il gigante americano ha sbaragliato totalmente gli allevatori locali
“È impossibile sapere perché i maiali si siano ammalati” afferma Smithfield, facendo però notare come il governo abbia ridotto la distribuzione dei vaccini. Anche i difensori di Smithfield ammettono come il business fosse sopraffatto dalla propria crescita e dai ritmi di riproduzione dei maiali.“Sono nati migliaia di maialini, ma non c’era posto per loro: le nuove baracche non erano pronte” spiega Seculici, l’ingegnere di Smithfield.“Nessuno lo ammette, ma è stata questa la causa dell’influenza suina.”

Per evitare l’espansione dell’influenza che ha colpito Cenei, a ovest della Romania, sono stati uccisi e bruciati 67.000 maiali, sia infetti che sani.

Quel tipo di influenza colpisce solo i maiali, ma alcuni scienziati dell’ONU di stanza in Messico hanno trovato elementi del virus suino nel codice genetico che sta alla base dell’influenza A (H1N1), che ha allarmato il mondo nell’ultimo mese.

I danni ambientali causati da Smithfield però, non si limitano all’influenza suina. Nell’ovest della Romania il business possiede quasi 40 allevamenti; si libera del letame iniettandolo nel terreno. “Stiamo impazzendo per gli odori”, afferma la direttrice di una scuola a Masloc, nel distretto di Timis.

Le fabbriche di Smithfield a Timis sono tra le principali fonti di inquinamento di terra e aria, afferma un rapporto del governo locale. Il metano presente nell’atmosfera sarebbe cresciuto del 65% dal 2002 al 2007.

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Proteste delle popolazioni locali contro la Smithfield
La compagnia è inoltre stata multata per aver rovesciato letame su un’autostrada (9.000 euro), per aver avviato senza permessi quattro allevamenti nel distretto di Arad (35.000 euro) e per la mancata prevenzione dell’inquinamento dell’acqua (18.500 euro). Ma sono cifre che non dovrebbero causare grandi problemi ad un’impresa che nel 2008 ha fatturato più di 11 miliardi di dollari.

Sorgono invece problemi per gli allevatori di suini locali, che non riuscendo a competere, cercano lavoro nell’edilizia oppure emigrano. In Romania sono diminuiti del 90%: da 477,030 nel 2003 a 52,100 nel 2007 (statistica dell’UE).

Simile è il destino di molti allevatori suini di Costa d’Avorio, Liberia e Guinea Equatoriale: i sussidi hanno aiutato Smithfield ad esportare gli scarti di maiale surgelato in Africa. Anche lì le salsicce vengono vendute a prezzi ridicoli, impedendo la concorrenza.

Perfino negli Stati Uniti Smithfield è riuscita a tagliare di un quinto i prezzi del maiale, permettendo ai consumatori di risparmiare in media 29 dollari all’anno.

Resta il dubbio se questi risparmi giustifichino i costi per ambiente e popolazioni locali.


Noi non dimenticheremo

Fonte:
Mussolini e Hitler

La rete li attacca, li minaccia, li costringe a difendersi. E loro attaccano la rete, la minacciano, e la costringono a difendersi.
Questa è una guerra, ha le sue strategie, i suoi colonnelli, i suoi arsenali e i suoi eserciti. Loro non molleranno mai, noi neppure. Nel frattempo, l'informazione muore.

Muore perchè nessuno ha il tempo di occuparsi di lei. Levi, la Carlucci, D'Alia, Barbareschi, Alfano sparano. Grillo, Travaglio, Byoblu, Martinelli, Di Frenna, Punto Informatico contrattaccano. Tonnellate di carta. Di cellulosa quella dei DDL, digitale quella dei blog. Fiumi di caratteri spesi in trincea. Per le notizie, quelle vere, lo spazio si riduce. Lo scopo è raggiunto. La gente non vuole più scendere in piazza per manifestare contro il portatore sano di pedocrazia, per chiedere le dimissioni di un governo che ha messo cittadini in divisa a pattugliare le strade, che respinge e affonda imbarcazioni di disperati, che mette fuorilegge i giornali, che espone l'Italia al ludibrio internazionale, che accoglie dittatori con tutte le onorificenze. La gente ormai scende in piazza solo per non divenire muta, sorda e cieca.


Se le leggi fossero fatte dai cittadini per i cittadini, con l'intento di dare un servizio, sarebbero frutto di un confronto. Sarebbero il condensato delle proposte migliori, e non dell'ignoranza di pochi. Vogliamo estendere una legge del 1948, pensata per un mondo dove nessuno aveva la televisione, dove il telefono aveva le dimensioni di un frigo bar e per andare in America ci volevano settimane di navigazione? Vogliamo prenderla tale e quale ed applicarla al mondo iperconnesso, all'era di internet, dei social networks, dei cellulari sottili come un bigliettino da visita, delle carte di credito, dei supercomputer e degli aerei Milano - Londra a 29 euro? Neppure un boscimano o un uomo di Neanderthal riportato alla vita con la tecnica del DNA arriverebbe a realizzare uno scempio simile.

La blogosfera è il
luogo delle rettifiche per eccellenza! Si vive immersi in un fuoco incrociato di informazioni che nascono, si evolvono e muoiono come organismi autosufficienti, in risposta ad altre informazioni a loro volta cresciute in armonia o in dissonanza con informazioni precedenti. A cosa serve un meccanismo ad ingranaggi ottocentesco, da azionare con leve e pulegge? Qual è il vostro problema? Non sapete aprirvi un blog a costo zero? Non sapete scrivere un commento a un post? La tastiera vi confonde? Non sapete programmare neppure un videoregistratore? Non c'è problema. Quanto costa una raccomandata con ricevuta di ritorno? Allo stesso prezzo, potete recarvi in un internet point e chiedere al commesso di inserire una rettifica alla tal informazione che reputate lesiva della vostra dignità. Un internet point farà le vostre veci informatiche, per legge. Esattamente come un avvocato fa le vostre veci legali, o come ci si reca da un notaio per certificare un qualsiasi atto. A una frazione infinitesimale del costo dei suddetti professionisti. Al costo, cioè, della raccomandata con ricevuta di ritorno che avreste dovuto inviare all'autore del blog.

Se l'esigenza fosse quella di dare un servizio, basterebbe mettere insieme dieci persone di buon senso e fare quattro ragionamenti in croce. Una leggina di mezza paginetta da promulgare in un paio di giorni. Ma l'esigenza è quella di dare alla rete
qualcosa a cui pensare, per evitare che pensi troppo a ciò che non la riguarda. Per evitare che, con questa storia dell'informazione libera, si esageri troppo.

I grandi dittatori, di cui Berlusconi è amico e dai quali, al contrario dei leader europei,
è rispettato e stimato, sono già un passo avanti. Hanno cominciato prima. Nel Myanmar le reti 3G erano state chiuse, per evitare che venissero mostrate al mondo le violente repressioni dei monaci. In Iran Ahmadinejad è appena stato rieletto. Siccome sono state elezioni libere, la voce degli oppositori e di milioni di cittadini che gridavano ai brogli elettorali è stata tacitata mettendo fuori uso internet e i cellulari per interminabili ore. Hanno spento tutte le reti. Altrimenti gli iraniani, che usano Facebook per restare in contatto, si sarebbero potuti organizzare. In Cina sappiamo tutti come funziona e, in Egitto, Mubarak incarcera i blogger.

In
Italia, il più sudamericano dei paesi finiti in Europa per sbaglio, è in atto unaferoce guerra mediatica, sotto gli occhi inconsapevoli degli italiani inebetiti dalle trasmissioni RaiSet. Internet sta crescendo, fa passi da gigante, presto raggiungerà e surclasserà il piccolo schermo. YouTube ha appena creato una versione del suo portale pensata appositamente per le televisioni domestiche, per i salotti. Un domani non troppo lontano, le massaie potrebbero guardarsi i video di tutti gli informatori liberi di questo paese comodamente sdraiate sul loro divano. Potrebbero scoprire che il TG4 è diretto da Emilio Fido, che Berlusconi era il Discepolo 1816 di Licio Gelli, che non è vero che Giuliani aveva predetto un forte sisma a Sulmona. Potrebbero scoprire di essere stati presi per i fondelli e diventare essi stessi la rete.

E,
come dice qualcuno, se questa legge passa «non dimenticheremo chi l'ha firmata, chi l'ha votata e chi, eventualmente, la controfirmerà. La Rete non è unballo delle debuttanti, questi golpisti se ne accorgeranno. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure