lunedì 30 marzo 2009

La terra nera degli Indios cattura la Co2

Fonte:
Il biochar, ovvero la Terra Nera che da millenni viene utilizzate come fertilizzante dagli indios, potrebbe salvarci dal riscaldamento globale. La si ottiene carbonizzando residui organici: metà delle emissioni di carbonio di questi residui viene catturato e sottratto all’atmosfera. Alcuni paesi in via di sviluppo sperano che il biochar venga già preso in considerazione nell’incontro di dicembre per il protocollo “post-Kyoto”.

di 
Elisabeth Zoja

Biochar, la terra nera degli indios
Gusci di noce, paglia, pula di riso e stocchi di mais hanno in comune una semplice caratteristica: sono inutilizzabili. Eppure, se venissero trasformati in biochar, questi resti inutili potrebbero salvare il pianeta.

Secondo il teorico dell’Ipotesi GaiaJames Lovelock, infatti, questo materiale simile, alla carbonella del barbecue, è la sola speranza contro le catastrofi causate dal cambiamento climatico. Ma andiamo con ordine.

La carbonizzazione dei residui organici in biochar viene attualmente testata in centri di ricerca scientifica in Australia, Stati Uniti, Germania e Italia. Questa tecnica, però, ha origini antiche. Si basa su una tecnica agricola che viene praticata da migliaia di anni nelle terre brasiliane.

Non è un caso, quindi, se alcuni terreni dell’Amazzonia si sono rivelati fino a 70 volte più ricchi di biochar dei terreni circostanti. Questo materiale carbonioso è stato prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali“introdotte volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali”, spiega il dottor Franco Miglietta, dell’Istituto di biometeorologia di Firenze.

Biochar fatto in casa
Biochar fatto in casa
Quel che oggi chiamiamo biochar quindi è la terra preta de los indios:la Terra Nera che gli indios utilizzavano come fertilizzante. La loro tecnica agricola è divenuta attuale da quando si è scoperto che il biochar trattiene la CO2 dei residui organici carbonizzati. Miglietta spiega il principio con semplicità: ”È noto che le piante assorbono CO2 dall'atmosfera, per poi rilasciarla quando terminano il loro ciclo di vita.Invece, interrandole, la CO2 viene trattenuta nel terreno per migliaia di anni.

>Ottenere il biochar, però, non è così semplice: la decomposizione termochimica dei residui organici – chiamata pirolisi - necessita di una lenta combustione in assenza di ossigeno a più di 300 gradi.

I vantaggi del materiale comunque sono notevoli. Gli studi svolti in Toscana dall’apposito progetto dell’Ibimet Italian Biochar Initiative, rivelano che aggiungendo 10 tonnellate di biochar ad un ettaro di terreno si sottraggono all’atmosfera 30 tonnellate di CO2.

Forno biochar
Un piccolo forno biochar
Immettere biochar nel terreno significa però “innanzitutto sbarazzarsi di residui organici (…) che oggi vengono bruciati”, spiega Miglietta. Anche i pochi residui che vengono mandati al compostaggio anziché agli inceneritori, inoltre, nel giro di qualche anno liberano il loro carbonio nell’atmosfera. Ricerche dell’università di Cornell, suggeriscono che sotterrare biochar, invece, raddoppia la capacità del suolo di trattenere carbonio.

Oltre al carbonio, la Terra Nera trattiene sostanze nutritive, e - essendo porosa - attira vermi: per questo gli indios la utilizzavano comefertilizzante. Secondo recenti studi dell’università di Bayreuth il biochar può raddoppiare la crescita di piante su terreno non fertile.

I gas liberati durante la carbonizzazione dei residui organici permettono di generare energia, ma solo un terzo di quella che si otterrebbe bruciandoli in modo convenzionale. In cambio il biochar cattura la metà del carbonio contenuto nella biomassa.


Come mostra il grafico, il biochar cattura la metà del carbonio contenuto nella biomassa

Data la semore crescente richiesta di energia, però, vi è purtroppo generalmente più interesse per l’incremento della produzione energetica che per la ritenzione di CO2. Pochi sono dunque pronti a investire nel biochar, eppure il suo sfruttamento necessita ancora di ricerca, soprattutto per ridurre i costi delle tecnologie necessarie per la combustione.

Nonostante queste difficoltà, sono già stati sviluppati parecchi “forni biochar”, soprattutto per paesi in via di sviluppo: il Belize e alcuni stati africani, ad esempio, chiedono che il loro utilizzo venga accettato come misura contro i cambiamenti climatici per il protocollo “post-Kyoto”, che verrà firmato a Copenhagen a dicembre.

Insomma, tra le tante proposte iper-tecnologiche e futuristiche, forse quella basata su un’antica terra nera potrebbe rivelarsi tra le più sensate.