giovedì 22 gennaio 2009

Prove tecniche di repressione dell’Onda

fonte:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/140109-tecniche-di-repressione/

14.01.09
Il diario dal movimento di Gaia Benzi, studentessa di lettere e filosofia all'Università La Sapienza di Roma.

Ogni tanto si parla di fascismo, di democrazia in pericolo e di regime. Ogni tanto si teme e si paventa questo o quello, ci si interroga sul futuro dei propri diritti, si aspetta il giorno in cui la "voce contro" finirà in galera. Come la sera del quattordici aprile: le mie amiche mi guardavano basita, affacciate alla finestra e in attesa di chissà quale strano evento, quale assurda epifania. Nulla di tutto ciò accadde, ovviamente: le strade rimasero uguali, la brezza la stessa, il sibilare macchinoso dei tram continuò a conquistarsi quel poco di silenzio che resta a una città.
E così oggi, in questa farsa di democrazia - che, a mio parere, monca lo è sempre stata -, tutto sembra tale a ieri; eppure tutto peggiora, giorno dopo giorno. La repressione è subdola, è culturale, è indotta anche in chi, razionalmente, se ne tira fuori. Non ha né un volto né un mandante, non si sporca mai le mani, non lascia tracce evidenti né indizi che la inchiodino come assassina.
E' un clima. Una sorta di nuovo vizio nazionale. Quando la censura era uno scandalo, ci si guardava bene dal praticarla apertamente; la si lasciava a loro, a quelli di destra, a quelli che, tanto, non se n'erano mai vergognati. Oggi no; oggi è un'arma politica come le altre, uno stratagemma che può sempre tornare utile qualora il silenzio mediatico, le forze dell'ordine e l'indifferenza generale non bastino più.
Durante queste vacanze, il neo-rettore della Sapienza Pierluigi Frati si è prodigato in una strana kermesse polemica nata e cresciuta senza l'apporto di uno studente che fosse uno: il caso Morucci. Ecco i fatti: un docente di letteratura angloamericana, su consiglio di un ufficiale della polizia di Stato, aveva invitato l'ex-brigatista Morucci a tenere una conferenza dal titolo "Cultura, violenza, memoria". Subito tutti si sono indignati moltissimo, e hanno iniziato a strillare: "Non sia mai un brigatista in cattedra!". Il non possumus è così rimbalzato fra le pagine dei vari quotidiani, e non se n'è più fatto nulla. Ciononostante, il polverone è bastato al rettore per rilasciare dichiarazioni molto istituzionali e molto sagge, approvate da parlamentari del PdL e anche da esponenti del PD, ribadite da membri dell'Udc e dal responsabile degli "Studenti per le Libertà" - un gruppo universitario la cui originalità nella denominazione non lascia adito a fraintendimenti.
Anche perché, com'è stato sottolineato da più parti, non sarebbe stato pensabile far parlare indisturbato un assassino dopo che, l'anno scorso, si era negata la parola al Papa. Malgrado Ratzinger - sembra superfluo ricordarlo, eppure a molti sfugge - non fu certo sequestrato dai collettivi, tantomeno fisicamente imbavagliato da un gruppo di studenti mitomani e bisognosi d'attenzione; semplicemente rinunciò, di sua pontificia volontà, all'invito, poiché la sua sacra persona non poteva rischiare di essere oggetto di contestazioni. Ma non importa; l'italiano e la semantica sono superflue in questi casi. Sostituire "rinuncia" con "proibizione" non è grave dal punto di vista del resoconto fattuale, e poi l'espressione "parola negata" rende meglio lo smottamento emotivo di chi quella situazione l'ha vissuta male, di chi è si è sentito ferito da una democratica manifestazione di dissenso come tante altre.
Senza contare che, accostando il Papa al brigatista, si ottiene un effetto mediatico importante. "La tiara e l'assassino": sembra il titolo di uno di quei romanzi da quattro soldi che la gente legge sotto l'ombrellone. Il richiamo al Papa, d'altronde, non serviva mica a scomodare il Vaticano, bensì a richiamare nella mente dei lettori l'idea di "Sapienza in mano a pazzi sinistroidi violenti e liberticidi" - tanto di moda l'anno scorso. Se non fosse stato per il rettore e quei prodi parlamentari che l'hanno incitato con le loro dichiarazioni, chissà cosa sarebbe successo... E difatti: "Il Papa no e Morucci sì? Il vero problema della Sapienza sono quei gruppuscoli di professori e assistenti marxisti-leninisti che hanno impedito al Papa di partecipare all'inaugurazione dello scorso anno" - Volontè, Udc; oppure: "Che questo avvenga nella prestigiosa università che negò di tenere la lectio magistralis a Benedetto XVI non deve stupire più di tanto." - Bonivier, PdL (Il Tempo, 03/01/09).
Era stato raggiunto l'obiettivo: colpire gli studenti; che, per la cronaca, di tutta questa storia hanno potuto leggere sui giornali, essendo - come tutti - a casa, con la famiglia, a mangiare il panettone.
Come per la Pantera, l'idea dei "brigatisti in cattedra" ha provato a far breccia nel cuore di un'opinione pubblica ancora stordita dallo spumante e dai pacchi natalizi. E mentre Frati rinnovava l'invito a Benedetto XVI, il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha dichiarato da Cortina: la Sapienza è ostaggio di "trecento piccoli criminali", gente di cui "dobbiamo liberarci".
A chi si riferisse di preciso, non è dato saperlo. Si può solo pensare che abbia fonti sconosciute e più accurate delle nostre. Noi, un po' scossi - beh, in fondo era il quattro gennaio, non il primo di aprile - l'abbiamo presa a ridere, giocando sui numeri: perché proprio trecento? Per richiamare i trecento valorosi spartani delle Termopili? "Questa è la Sapienza!", urlammo scherzando da alcuni manifesti. Eppure ricordiamo: "Criminale è chi distrugge l'università", non chi la difende con la lotta.
E' inutile: in questa battaglia all'ultima dichiarazione il nostro contributo non era richiesto. Subito si sono accalcate le voci contro e le voci pro: Alemanno ha esagerato, Alemanno ha ragione, Alemanno non si deve permettere di criminalizzare le opposizioni sociali con dichiarazioni siffatte. Il Presidente del X Municipio, Sandro Medici, ha denunciato la "volontà repressiva" di una frase del genere. Tutto sembrava uguale alla solita, infinita bagarre para-politica a cui siamo stati abituati in questi ultimi anni: un inseguirsi spasmodico di idiozie senza senso, rivelazioni aberranti, cose a caso dette per riempire il buco di trenta secondi di un tg a scelta; un copione sgangherato, tanto delirante da non tornare utile nemmeno per una di queste fiction scadenti con cui ogni giorno annichiliamo le nostre intelligenze.
Ma - c'è un ma. Il rettore Frati, a sorpresa, ha difeso il sindaco: "Credo che quella di Alemanno sia stata solo una battuta". Un po' come una goliardata di fine anno. Frati ha ipotizzato inoltre a quale dei tanti nemici del suo magnifico governo universitario potesse far riferimento Gianni: magari ai senza casa che occupano abusivamente Regina Elena, o a quelle forme di microcriminalità diffusa all'interno dell'ateneo oppure, dulcis in fundo, agli occupanti delle varie facoltà. Per poi aggiungere: "Comunque non commento". Già, in effetti non ha commentato.
E arriviamo così all'ultimo capitolo di questa affascinante storiella natalizia. Dalle pagine di "La Repubblica Roma", il cinque gennaio Frati ha chiarito una volta per tutte la sua ferrea intenzione di mantenere l'ordine e la disciplina all'interno dell'università. "La mia linea è che si faccia sempre e solo ricerca e didattica nell'Ateneo"; "Ribadisco che l'istituzione universitaria non può essere, come le sue attività, ostacolata o peggio, 'autorizzata', da parte degli occupanti"; e ha concluso, rifacendosi alle polemiche sorte l'anno scorso per la visita del Papa, accompagnate allora dallo scontro sulla questione Galileo-Feuerbach-Ratzinger: "All'Università di un argomento ne parlano i competenti".
Ed è dunque in questo modo un po' rocambolesco che, nelle prime assemblee dell'anno nuovo, voci di corridoio hanno cominciato a segnalare la volontà, da parte del rettore, di regolamentare a sua immagine e somiglianza i dibattiti interni all'ateneo. Probabilmente - si è aggiunto - attraverso un'apposita commissione di fantomatici "esperti" che giudichi di volta in volta quali voci ospitare e quali no, quali argomenti trattare e quali invece lasciar perdere. L'ultima parola sulle iniziative dovrebbe averla sempre lui; tanto più se le iniziative in questione potessero avere un sentore di politicità. Se aggiungiamo tutto ciò alle intimidazioni e alle minacce di sgombero di questo dicembre, il quadro è completo.
Il movimento, ovviamente, non si ferma né si lascia intimidire. Noi andremo avanti; anzi: lo stiamo già facendo, con nuove assemblee, nuove date e nuovi incontri. Continueremo ad invitare chi ci pare e piace e ad occupare le aule necessarie a ospitare le conferenze, nonostante le grandi tarantelle di questi incravattati, suscitate per compiere un gesto di censura che, vista la nostra determinazione, otterrà l'unico effetto di renderci ancora più uniti.
Questa vicenda non è che uno dei tanti esempi di come alcune autorità stiano reagendo per frenare l'opposizione sociale, proprio adesso che questa si sta riorganizzando per essere ancora più potente e incisiva. Riguarda la Sapienza perché è la realtà che vivo, e che - attraverso me - ha voce. Ma sono certa che in tutte le città si potrebbero fare simili esempi, raccontare storie altrettanto grottesche di follia e costrizione.
Utilizzare i media e le loro parole contate, le battute entro cui debbono contenere le voci dei protagonisti amputandone i pensieri, iniziare gazzarre assurde apparentemente gratuite e senza scopo serve per far passare alcune parole chiave estrapolate dal contesto, indirizzare l'indignazione. Brigatista, assassino, Papa, criminali, esperti: nero, nero, bianco, nero, bianco; male, male, bene, male, bene. Studenti: neutro; occupanti: male. Trecento perché? Perché sono l'avanguardia, la bugia che ha plagiato gli altri. In fondo, bamboccioni eravamo, e bamboccioni dobbiamo rimanere; se diventassimo nemici autentici, tutti insieme, tutte le migliaia di noi che sono scese in piazza in questi mesi, il castello di carte crollerebbe: non ci sarebbe più spazio per minimizzare, zittire, nascondere sotto il tappeto. Dovrebbero confrontarsi con noi in veri scontri dialettici; e noi, sui contenuti, siamo più forti.
Come dissi alla mia amica, quella sera del quattordici: non ci sarà nessuna epifania, nessun segno eclatante, nessuna marcia in camice nere. Non è così che lavorano. Un po' non ne hanno bisogno, un po' - forse - non vorrebbero nemmeno. Ed è più comodo per chi la attua fingere che la repressione sia un banale esercizio del potere; normalizzare la violenza verbale per far apparire scontata, in un secondo momento, la violenza nascosta nelle loro leggi.
Non si tratta di agire sulle azioni, ma sui pensieri che quelle azioni generano, azzoppandoli, negandoli in partenza. Ancora più efficace e, se vogliamo, più deprimente.

Gaia Benzi