mercoledì 14 ottobre 2009

No-Tav, la valle di Susa mette in crisi il PD torinese

Fonte:

di Giorgio Cattaneo

Nuove complicazioni in vista per il “partito unico” che da anni sostiene la necessità di aprire in valle di Susa una linea speciale per l’alta velocità ferroviaria, contro il parere della popolazione, che pretende spiegazioni decisive (mai fornite) sull’utilità reale dell’infrastruttura. La notizia di questi giorni riguarda il Pd, che denuncia la clamorosa “diserzione” di 50 iscritti, tutti amministratori valsusini, schieratisi dalla parte del movimento No-Tav alla vigilia della temuta ripresa delle attività cantieristiche, annunciata per l’autunno dal premier Silvio Berlusconi e dal ministro Altero Matteoli: entro ottobre dovrebbe scattare il nuovo ciclo di scavi geognostici, a Chiomonte.

Le nuove prospezioni geologiche, secondo i piani, serviranno a valutare la consistenza del sottosuolo alle falde del massiccio dell’Ambin, in previsione del futuro euro-tunnel ferroviario tra Italia e Francia. Sul versante italiano, tra gallerie e trincee, l’itinerario dovrebbe svilupparsi sulla destra orografica della valle attraversata dalla Dora Riparia, sotto i rilievi del parco naturale dell’Orsiera-Rocciavré e della Sacra di San Michele, millenaria abbazia, monumento simbolo del Piemonte. I lavori verrebbero considerati di minor impatto ambientale, rispetto al progetto inziale disegnato alle pendici del Moncenisio e del Rocciamelone, bloccato nel 2005 dopo la quasi-insurrezione della valle, con 70.000 persone schierate a sbarrare strade, autostrada del Fréjus e ferrovia Torino-Modane.

Dalla grande protesta del 2005 nasce la decisione di stralciare la Torino-Lione dalla “legge obiettivo”, che prevede procedure accelerate e senza una valutazione standard dell’impatto ambientale, nonché la creazione dell’osservatorio tecnico presieduto dal commissario governativo Mario Virano, alla guida di un organismo consultivo incaricato di “dialogare” con la popolazione attraverso gli amministratori locali, nel 2005 saliti anch’essi sulle barricate indossando la fascia tricolore.

Dopo il nulla di fatto del governo Prodi, che sulla Tav non ha preso nessuna decisione grazie anche al freno opposto da Verdi e comunisti, il governo Berlusconi ha annunciato l’imminente ripresa dei lavori. Mentre nel 2005 la popolazione locale si oppose in modo anche drammatico all’avvio di un progetto ormai in fase avanzata, frutto di anni di analisi geologiche, ora si tratta di ripartire da zero, avviando una nuova serie di carotaggi, sul versante opposto della valle, per poi predisporre, successivamente, un progetto di tracciato vero e proprio.

A indispettire i valsusini, ora, è la notizia che la Torino-Lione (contrariamente alle promesse del 2005) sarebbe re-inserita nella “legge obiettivo” per le grandi opere. Di qui la crisi diplomatica con Virano e il suo osservatorio torinese. A cui si aggiunge l’aperta ribellione politica del Pd locale, che - dopo tre anni di paziente silenzio, in attesa di possibili mediazioni risolutive - alla vigilia del congresso nazionale del partito si è schierato, come già nel 2005, dalla parte del movimento No-Tav.

Non è infatti il solo centro-destra ad allarmare la maggioranza dei valsusini, che la scorsa primavera - alle amministrative - hanno arginato l’offensiva elettorale del Pdl, tesa a conquistare terreno e ridurre il numero di sindaci “ribelli”, ostili all’alta velocità. Il vero problema è che sia il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, sia la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, sulla Torino-Lione la pensano esattamente come Silvio Berlusconi: precedenza assoluta all’alta velocità in valle di Susa, sia pure minimizzandone l’impatto e contrattando con la popolazione locale un’adeguata contropartita.
Quanto basta, evidentemente, per indurre gli amministratori valsusini iscritti al Pd a sfidare dichiaratamente il partito. Non si tratta di un gesto irrilevante: sullo sfondo si profilano infatti le elezioni regionali del 2010, che si annunciano estremamente incerte, con sondaggi che attribuiscono la vittoria al Pdl. Anche qualora l’Udc si schierasse col centro-sinistra, si attende un risultato al fotofinish, nel quale potrebbe pesare - eccome - il voto della valle di Susa.

Il nodo fondamentale, purtroppo, non è mai stato risolto. Alle accuratissime contro-osservazioni del movimento No-Tav, che ha mobilitato i migliori specialisti universitari italiani, i vari governi (nazionali e regionali, di ogni colore) non hanno mai opposto ragioni inoppugnabili a sostegno dell’infrastruttura ferroviaria, definita “strategica” ma senza mai chiarirne il ruolo, l’utilità effettiva, il valore reale. Tutte le “certezze” sulla Torino-Lione, in compenso, sono negative: cantieri devastanti, impatto pericoloso sulle falde acquifere, paesaggio sfregiato per sempre, rischi per la salute (polveri), enorme investimento di denaro pubblico.

Se il movimento No-Tav ribadisce la linea della fermezza (”no al treno, senza se e senza ma”), i sindaci hanno a lungo atteso una proposta strategica per il territorio, in grado di compensare almeno in parte i sicuri danni in arrivo. Se questa partita continua a mantenersi più che mai incerta, sarebbe auspicabile - quantomeno - un pronunciamento chiaro, documentato e inattaccabile sulla reale utilità dell’opera, finora soltanto presunta e mai dimostrata in alcun modo, ancorché continuamente decantata: con un lessico imbarazzante (sviluppo, progresso) che, più che la cultura dell’attualità internazionale del 2009, richiama il dopoguerra e gli anni ‘50.