
6 giugno 2009
Grazie alle amichevoli pressioni del l’Ordine dei Giornalisti nazionale, della Federazione della Stampa e di un bel po’ d’opinione pubblica in Sicilia e fuori, i di rigenti del l’ordine dei giornalisti siciliano hanno fi nalmente concesso il tesserino di giornali sta al giornalista Pino Maniaci di Teleja to.
Tutto è bene quel che finisce bene. Adesso, però, si pongono delle questioni. Telejato è una tv d’inchiesta e Maniaci è un giornalista antimafioso, più volte mi nacciato. I giornalisti siciliani “ufficiali” invece sono in genere tutt’altro che anti mafiosi, né scrivono per giornali d’inchie sta ma per i fogli - o gli uffici stampa - dei vari politici e imprenditori locali. I quali naturalmente l’inchiesta la vedono come il cane vede il bastone.
E allora? E’ Maniaci che deve paziente mente imparare ad adulare i politici e a chiudere tutt’e due gli occhi sui mafiosi, o sono i giornalisti perbene che debbono di ventare indipendenti e riscoprire (o sco prire da zero) il giornalismo vero?
Perché di qua non si scappa: Maniaci - grazie a quel tesserino – ormai è un gior nalista d’ordine siciliano, un collega per fetto, uno di loro. E mica si può tenere nello stesso cesto frutta e calzini sporchi, non va bene. O tutti in un modo, o tutti nell’altro.
Personalmente, preferiremmo che fosse Maniaci a diventare orbo e muto. Intanto per farlo campare un po’ meglio, coi soldi per pagarsi il telefono e senza rischio di revolverate. E poi perché sarebbe troppo crudele, per i colleghi dell’establishment, obbligarli a fare sul serio questo mestiere. Ci sarebbero ulcere, inappetenze, esauri menti nervosi e crisi coniugali. No, no, non siamo così barbari. Conti nuino pure a lavorare così, come sanno e vogliono. In compenso, però, ci facciano una cortesia: chiudano benignamente un occhio, perlomeno ogni tanto, sulle attivi tà del Maniaci. Quando attacca i notabili, quando accusa i mafiosi, quando fa fatti e nomi. E’ vero, non sarebbero cose che si fanno, fra professionisti tesserati e perbe ne. Ma che ci volete fare, non è colpa sua: è solo la sua malattia, il suo vizio, il giornalismo