giovedì 7 maggio 2009

Milano razzista

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 Le cartine non esistono. L'abbiamo inventate. Così i confini, tratti immaginari che generano e alimentano la diversità. La Terra non è attraversata da meridiani e paralleli ma, al massimo, da corsi d'acqua e catene montuose. Eppure abbiamo perso la facoltà di muoverci liberamente. Abbiamo perso il diritto di spostarci. Chi attraversa linee inesistenti, fa scattare l'allarme. Deve identificarsi, giustificarsi, deve avere un permesso. E non è il permesso di essere uguale agli altri, ma il permesso di essere diverso.

  Facciamo entrare chi sta fuori ma non lo chiamiamo uomo, non lo chiamiamo donna. Lo chiamiamo extracomunitario. Lo autorizziamo a varcare una linea immaginaria che abbiamo disegnato noi, e poi gli togliamo lo libertà. Lo facciamo entrare in casa, ma non gli permettiamo di sedersi, di aprire il frigorifero, di usare i nostri cerotti per medicarsi. Tutt'al più, se vuole, può pulire il pavimento.

  A Milano, i mezzi pubblici potrebbero diventare privati. I posti a sedere potrebbero avere colori diversi, come i settori dello stadio. Il colore verde per i milanesi, il giallo per i cinesi, il marrone per gli africani. Magari l'azzurro per i bambini e il bianco per i vecchi, sempre che non siano bambini e vecchi nati al di là della linea di confine. Una donna incinta somala potrebbe dover cedere il posto a una donna incinta lombarda. In fin dei conti, porta in ventre un subumano.
  I clandestini, fuori a spingere. Così si risparmia carburante.

  Nel ventennio fascista, in edicola uscivano periodici che spiegavano con dovizia di particolari la differenza tra le razze. Veniva mostrato in cosa la nostra razza era superiore, e come alcuni tratti somatici dimostravano chiaramente l'inferioriorità genetica di tutte le altre. 

  Non abbiamo imparato niente.