sabato 18 luglio 2009
venerdì 17 luglio 2009
Silvio, Bernardo e le voci nel cassetto
Fonte:
17 luglio 2009, in MARCO TRAVAGLIO
Appena si scopre un magistrato fannullone o ritardatario, che non deposita sentenze o
dimentica qualche carta nei cassetti, si scatena la polemica politica e s'invocano sanzioni esemplari dal Csm contro scarcerazioni e assoluzioni 'facili'. Purché, beninteso, gli imputati siano delinquenti comuni.
Quando invece si tratta di indagati eccellenti, negligenze e sbadataggini diventano titoli di merito. E fanno curriculum per la carriera. Prendiamo l'inchiesta sul tesoro di Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo, e di suo figlio Massimo, condannato in primo grado per riciclaggio e ora imputato in appello in base a intercettazioni del 2003-2004 e a carte sequestrate in casa sua nel febbraio 2005.
Ora si scopre che tra quei nastri c'erano pure alcune telefonate che coinvolgono gli onorevoli Cuffaro, Romano e Cintola (Udc) e il senatore Vizzini (Pdl). E, tra quelle carte, la lettera (peraltro strappata) che nel 1993-94 Bernardo Provenzano fece avere a Ciancimino padre tramite il figlio, perché la recapitasse all''on. Berlusconi' tramite Marcello Dell'Utri.
Nastri e carte che sembrano contenere indizi decisivi a carico di Ciancimino jr. e di Dell'Utri (quest'ultimo condannato in primo grado a nove anni per mafia e in attesa della sentenza d'appello): eppure vengono 'dimenticati' per quattro anni nei cassetti della Procura di Palermo.
I nastri, mai trascritti né inoltrati al Parlamento per l'autorizzazione all'utilizzo, sono stati ritrovati pochi mesi fa dai pm antimafia che, dopo averli ascoltati, hanno indagato i quattro parlamentari. La lettera, sepolta in uno scatolone di quella che in Procura ormai chiamano'la stanza dei misteri', è saltata fuori per puro caso un mese fa ed è stata inoltrata appena in tempo ai giudici d'appello che stanno processando Dell'Utri e Ciancimino. Ancora qualche mese e i giudici avrebbero sentenziato sui due imputati eccellenti senza conoscere quegli importantissimi elementi d'accusa.
Con il rischio di commettere irreparabili errori giudiziari. Nel verbale della perquisizione del 2005, i carabinieri avevano puntualmente annotato: "Pezzo di foglio manoscritto contenente richiesta a Berlusconi perché metta a disposizione una rete televisiva".
Ma l'allora procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, che per conto del capo Piero Grasso coordinava le indagini, aveva interrogato Ciancimino jr. per 150 pagine su ogni carta sequestrata in casa sua, fuorché sulla lettera di Binnu a Silvio.
Una cosina da niente. Solo ora la Procura, retta da due anni da Francesco Messineo, ha disposto perizie calligrafiche sul documento e interrogato il figlio dell'ex sindaco sul suo iter, scoprendo che il boss scrisse altre due volte al Cavaliere fra il 1991 e il '92, a cavallo delle stragi. Ce n'è abbastanza per chiedere spiegazioni al dottor Grasso, ora procuratore nazionale Antimafia, e al dottor Pignatone, ora procuratore capo di Reggio Calabria. Ma sicuramente il Csm sta provvedendo. O no?
martedì 14 luglio 2009
L’arroganza suicida dei cacicchi del Partito democratico
Fonte:
di Paolo Flores d’Arcais
L’articolo 2, comma 8, dello Statuto Pd è chiarissimo: “Sono esclusi dalla registrazione nell’Anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori le persone che siano iscritte ad altri partiti politici o aderiscano a gruppi di altri partiti politici all’interno di organi istituzionali elettivi”. Beppe Grillo non è iscritto ad un altro partito e non è membro di alcun “organo istituzionale elettivo”, nel quale aderire a un “gruppo di un altro partito politico”. Se non gli venisse data la tessera dalla sua sezione territoriale si tratterebbe di una violazione smaccata dello Statuto da parte di coloro che lo hanno formulato. Sarebbe insomma una “interpretazione ad personam” degna delle berlusconiane leggi ad personam, azione con la quale la nomenklatura del Pd confesserebbe coram populo la sua assimilazione dei “valori” del regime berlusconiano.
Chiunque abbia a cuore la democrazia, perciò, ha il dovere di ribellarsi a un atto che suonerebbe infamia verso tutti i militanti del Pd e verso tutti coloro che intendono iscriversi. Chi stabilisce una regola deve poi rispettarla, questo è l’abc di chiunque pretenda di usare il termine “democrazia” e “democratico”. Il resto è feccia.
Lasciano perciò increduli gli “argomenti” usati per impedire a Grillo di iscriversi. “Per iscriversi al Pd bisogna condividerne il progetto politico”, ha detto il tale. Ma i contenuti di questo progetto, e il leader che lo dovrà realizzare, lo stabiliranno milioni di cittadini il 25 ottobre, e potrà essere un progetto indigeribile per i Franceschini e i Bersani, i D’Alema e i Veltroni e i Marini, perché così stabilisce lo Statuto che essi stessi hanno imposto. Chi pretende di escludere qualcuno a priori pensa di essere il proprietario del partito (ecco un altro tipico tratto berlusconiano), la cui linea invece dovrà essere decisa da tutti i liberi “elettori” tra alcuni mesi, con il voto nei gazebo.
“Il Pd non è un taxi”, ha detto il talaltro. No, non è un taxi, dove si sale e si scende quando fa comodo. Ma volendo stare alla metafora, non è stabilito in anticipo chi lo guida e quale sia l’indirizzo a cui si reca. Ambedue le cose verranno decise il 25 ottobre, e a trattare il Pd da taxi non è stato Grillo ma la signora onorevole Binetti, Opus Dei, che ha già detto che se vince Marino lei se ne va.
Infine, questi inveterati signori delle tessere confondono evidentemente il Pd con il regime dei mullah iraniani, dove per candidarsi bisogna prima essere approvati dal “Consiglio dei Guardiani”.
Insomma, cercando di impedire a qualcuno, in regola con lo Statuto, di iscriversi, i dirigenti del Pd dimostrano di avere la vocazione dei cacicchi anziché dei leader, e facendo strame della legalità trascinano il Pd nel fango. Si disonorano rispetto alla democrazia di cui si riempiono la bocca. Ma sono anche stupidi: violando le regole che essi stessi hanno stabilito, otterranno l’unico risultato che per settimane si parli solo di questa loro indecente illegalità, e Berlusconi potrà sguazzare tranquillo nella sua, perché i “dirigenti” del Pd con il loro comportamento avranno legittimato la peggior opinione qualunquista che recita “il più pulito c’ha la rogna”.
Sappiano, questi signori, che proprio in questi giorni ci sono cittadini democratici che a decine di migliaia si stanno iscrivendo al Pd proprio per liberarlo dalla nomenklatura e dai gerarchi che lo hanno ridotto al lumicino in cui è. E per trasformarlo di nuovo in una forza di opposizione degna del nome.
L’articolo 2, comma 8, dello Statuto Pd è chiarissimo: “Sono esclusi dalla registrazione nell’Anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori le persone che siano iscritte ad altri partiti politici o aderiscano a gruppi di altri partiti politici all’interno di organi istituzionali elettivi”. Beppe Grillo non è iscritto ad un altro partito e non è membro di alcun “organo istituzionale elettivo”, nel quale aderire a un “gruppo di un altro partito politico”. Se non gli venisse data la tessera dalla sua sezione territoriale si tratterebbe di una violazione smaccata dello Statuto da parte di coloro che lo hanno formulato. Sarebbe insomma una “interpretazione ad personam” degna delle berlusconiane leggi ad personam, azione con la quale la nomenklatura del Pd confesserebbe coram populo la sua assimilazione dei “valori” del regime berlusconiano.
Chiunque abbia a cuore la democrazia, perciò, ha il dovere di ribellarsi a un atto che suonerebbe infamia verso tutti i militanti del Pd e verso tutti coloro che intendono iscriversi. Chi stabilisce una regola deve poi rispettarla, questo è l’abc di chiunque pretenda di usare il termine “democrazia” e “democratico”. Il resto è feccia.
Lasciano perciò increduli gli “argomenti” usati per impedire a Grillo di iscriversi. “Per iscriversi al Pd bisogna condividerne il progetto politico”, ha detto il tale. Ma i contenuti di questo progetto, e il leader che lo dovrà realizzare, lo stabiliranno milioni di cittadini il 25 ottobre, e potrà essere un progetto indigeribile per i Franceschini e i Bersani, i D’Alema e i Veltroni e i Marini, perché così stabilisce lo Statuto che essi stessi hanno imposto. Chi pretende di escludere qualcuno a priori pensa di essere il proprietario del partito (ecco un altro tipico tratto berlusconiano), la cui linea invece dovrà essere decisa da tutti i liberi “elettori” tra alcuni mesi, con il voto nei gazebo.
“Il Pd non è un taxi”, ha detto il talaltro. No, non è un taxi, dove si sale e si scende quando fa comodo. Ma volendo stare alla metafora, non è stabilito in anticipo chi lo guida e quale sia l’indirizzo a cui si reca. Ambedue le cose verranno decise il 25 ottobre, e a trattare il Pd da taxi non è stato Grillo ma la signora onorevole Binetti, Opus Dei, che ha già detto che se vince Marino lei se ne va.
Infine, questi inveterati signori delle tessere confondono evidentemente il Pd con il regime dei mullah iraniani, dove per candidarsi bisogna prima essere approvati dal “Consiglio dei Guardiani”.
Insomma, cercando di impedire a qualcuno, in regola con lo Statuto, di iscriversi, i dirigenti del Pd dimostrano di avere la vocazione dei cacicchi anziché dei leader, e facendo strame della legalità trascinano il Pd nel fango. Si disonorano rispetto alla democrazia di cui si riempiono la bocca. Ma sono anche stupidi: violando le regole che essi stessi hanno stabilito, otterranno l’unico risultato che per settimane si parli solo di questa loro indecente illegalità, e Berlusconi potrà sguazzare tranquillo nella sua, perché i “dirigenti” del Pd con il loro comportamento avranno legittimato la peggior opinione qualunquista che recita “il più pulito c’ha la rogna”.
Sappiano, questi signori, che proprio in questi giorni ci sono cittadini democratici che a decine di migliaia si stanno iscrivendo al Pd proprio per liberarlo dalla nomenklatura e dai gerarchi che lo hanno ridotto al lumicino in cui è. E per trasformarlo di nuovo in una forza di opposizione degna del nome.
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