di Antonietta Gatti Ieri sono andata a Bologna per una trasmissione radiofonica ed ho usato l’automobile. di una malattia così terribile, con una diagnosi uscita da due importanti ospedali su esami inappuntabili, condotti anche su base genetica, sia ritornata dall’inferno? Antonietta Gatti
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sabato 16 maggio 2009
Una storia (stra)ordinaria
L'Europa perde il Pil ma non il vizio
Complessivamente nei primi tre mesi dell’anno il Pil europeo ha registrato un calo del 2,5 %. La Germania, da sempre considerata “locomotiva d’Europa”, ha perso nel primo trimestre 3,8 punti di Pil, l’Italia ha fatto segnare un pesantissimo –5,9%, In Spagna la discesa è stata del 2,9% e la Francia dopo 6 mesi di calo continuo è ufficialmente entrata in recessione con una diminuzione del Pil dell’1,2%.
L’Europa è in crisi e ad ogni nuovo trimestre le stime negative redatte in precedenza devono essere riviste al ribasso, mentre gli economisti ed i mestieranti della politica continuano a spostare più in là (fine 2009, inizio 2010, fine 2010) la data d’inizio della fantomatica ripresa che dovrebbe concretizzarsi in virtù di un qualche esercizio alchemico la cui origine resta sconosciuta.
L’ologramma della crisi finanziaria, utilizzato per tentare di raschiare il fondo di un barile ormai svuotato, attraverso sempre più ingenti trasfusioni di denaro pubblico, all’interno di un sistema bancario ben più tossico di quanto non lo siano i titoli ritenuti tali, sembra ormai prossimo a dissolversi. Scomparso l’ologramma non tarderà a palesarsi la vera crisi, quella del modello di sviluppo basato sulla crescita infinita e sull’incremento del Pil. Un modello di sviluppo che ha iniziato a disgregarsi, vittima della presunzione in esso contenuta, di potere crescere indefinitamente all’interno di un mondo finito che pone dei limiti fisici invalicabili.
Solo un folle potrebbe pensare sia possibile incrementare all’infinito il numero di automobili prodotte e vendute, di autostrade costruite, di barili di petrolio consumati, di terreni cementificati. Così come solo un folle tenterebbe di curare un malato di obesità, attraverso l’assunzione bulimica di cibo.
Nell’Europa della delocalizzazione industriale, della disoccupazione in crescita esponenziale e degli alchimisti finanziari, una classe dirigente fatta di burocrati privi di fantasia, ma pronti ad obbedire agli ordini dei propri padroni, continua a recitare un copione sgualcito e stantio. Un copione dove si promette la ripresa economica ormai prossima (2009? 2010? 2011?) da realizzarsi attraverso l’incremento della produzione, dei consumi e naturalmente del Pil, vera panacea che tutto guarisce come per incanto. Poco importa il fatto che il Pil e la crescita siano ormai solamente gli elementi di un modello di sviluppo in fase di disgregazione, del quale stiamo iniziando a pagare le conseguenze in maniera sempre più pesante. Così come poco importa l’evidenza in virtù della quale solamente cambiando radicalmente strada si potranno porre le basi per la “ripresa”di un’economia diversa da quella di rapina praticata fino ad oggi.
venerdì 15 maggio 2009
Le aziende petrolifere sapevano tutto
Le industrie petrolifere americane, seppure a conoscenza degli effetti climalteranti delle emissioni di CO2, invece di investire fondi per trovare dei modi per ridurne la portata, hanno preferito (ridurre comunque i loro profitti per) finanziare gruppi di pressione negazionisti, la cui unica attività è stata per anni quella di diffondere dubbi nell’opinione pubblica e notizie riguardanti presunti disaccordi all’interno della comunità scientifica.
di Andrea Bertaglio
Le industrie petrolifere USA, a conoscenza degli effetti delle emissioni di CO2, hanno finanziato gruppi di pressione negazionisti.
Ad affermarlo non è un qualche ambientalista sul suo blog, ma il New York Times, che in un articolo dello scorso 23 aprile ne svela i retroscena.
La Coalizione in questione avrebbe volutamente e pubblicamente diffuso le notizie riguardanti il disaccordo della comunità scientifica sull’argomento, mentre il suo stesso comitato scientifico aveva concluso in un rapporto redatto nel 1995 che l’evidenza per il “potenziale impatto delle emissioni di gas-serra di origine antropica come la CO2 sul clima è ben fondato e non può essere negato”.
Ciò non sorprende se si pensa che la “Global Climate Coalition” era finanziata da grandi gruppi industriali e commerciali operanti nel settore petrolifero, automobilistico e del carbone. Gruppi risaputamene molto potenti, se si pensa che la sola Exxon Mobil fattura ogni anno più di tutte le industrie automobilistiche del mondo messe assieme (The 11th hour di Leonardo diCaprio), e che nel suo “piccolo” la stessa Coalition aveva un budget, nel 1997 (anno del protocollo di Kyoto), di 1.68 milioni di dollari.
La Exxon Mobil e altri hanno riconosciuto che il riscaldamento globale è anche dovuto all’attività umana
Anche lo scrittore, giornalista ed attivista ambientalista britannico Gorge Monbiot ha affermato che promuovendo il dubbio, l’industria si è avvantaggiata ed ha letteralmente preso tempo, anche grazie alle norme che richiedono ai media la neutralità nel dare notizie.
La “Global Climate Coalition” si è sciolta nel 2002, ma alcuni suoi membri, come la “National Association of Manufacturers” e l’“American Petroleum Institute”, continuano con la loro attività di lobby contro ogni legge o trattato che vogliano o possano ridurre le emissioni di CO2. Per fortuna altri, come la succitata Exxon Mobil, hanno riconosciuto che il riscaldamento globale è anche dovuto all’attività umana, riducendo notevolmente il suo supporto finanziario a gruppi che si oppongono all’evidenza scientifica di queste affermazioni.
Ciò a cui siamo di fronte è ancora una volta una “guerra di informazione”
L’educazione perché nel momento in cui si è capaci di pensare con la propria testa, si è in grado di valutare con maggior padronanza l’enorme e forse eccessiva mole di informazioni ricevute dai media quotidianamente.
Il buonsenso perché anche nel caso in cui i cambiamenti climatici o lo scioglimento delle calotte polari dovessero essere solo una storia inventata da qualche scienziato o da qualche scrittore per vendere libri (molta gente la pensa ancora così), il fatto di ridurre le quantità di anidride carbonica (o altri gas) nell’atmosfera migliora semplicemente la qualità della nostra vita, e può ridurre la nostra possibilità di contrarre il cancro di cui sopra.
Se sono imbottigliato nel traffico e non “credo” ai cambiamenti climatici, dovrei almeno pensare che sto respirando non pochi veleni.
giovedì 14 maggio 2009
Il Senato italiano cancella con una mozione i cambiamenti climatici
Il Senato della Repubblica italiana ha cancellato dalla sua agenda il problema dei cambiamenti climatici, dopo l’approvazione di una mozione, proposta dagli esponenti del Pdl Marcello Dell’Utri, Domenico Nania e Adriana Poli Bortone, che nega esplicitamente la responsabilità umana nel riscaldamento climatico.
Il documento, firmato da 34 senatori della maggioranza e approvato all’inizio di aprile, contesta in primo luogo:
l’attribuzione della responsabilità del riscaldamento globale in atto da circa un secolo nell’atmosfera terrestre all’emissione dei gas serra antropogenici (e tra questi soprattutto all’anidride carbonica prodotta dall’uso dei combustibili fossili)
Certezza che è poi alla base di tutte le politiche internazionali sull’argomento, ultimamente sostenute anche dagli Stati Uniti e dalla maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, a partire dall’accordo “20-20-20″ della Commissione Europea, che punta:
ad un drastico cambiamento della politica energetica finalizzato all’ottenimento di una rilevante riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
che a sua volta potrebbe comportare:
un rilevante aumento del costo dell’energia termica e in particolare dell’energia elettrica, con pesanti conseguenze sulla capacità competitiva internazionale degli Stati membri dell’Unione, in mancanza del coinvolgimento di importanti paesi industrializzati e in via di sviluppo.
I firmatari della mozione hanno quindi chiesto al governo di:
intervenire con urgenza presso la Commissione europea e anticipatamente presso i paesi partecipanti al G8 per segnalare come una parte consistente e sempre più crescente di scienziati studiosi del clima non creda che la causa principale del peraltro modesto riscaldamento dell’atmosfera terrestre al suolo finora osservato (compreso fra 0,7 e 0,8 gradi) sia da attribuire prioritariamente ed esclusivamente all’anidride carbonica di emissione antropica.
Le previsioni climatiche a lungo termine sarebbero:
ben lontane dall’essere affidabili, non essendo ancora sufficientemente conosciuti gli effetti climatici dovuti ad importanti elementi della fisica terrestre, quali ad esempio nuvole, vulcani, oceani, eccetera, nonché gli effetti climatici delle variazioni cosmiche e solari.
Colpa della variazioni della stelle e del sole, insomma, se i ghiacciai si sciolgono e il pianeta è soffocato dall’effetto serra. Una posizione in totale controtendenza con gli USA di Obama e tutti gli altri paesi avanzati, che isola completamente l’Italia nel momento in cui ci sarebbe da fruire, anche in termini economici, delle possibilità offerte dalla lotta ai cambiamenti climatici e dallo sviluppo delle energie rinnovabili.
A questo punto, ci si chiede cosa aspetti il governo a cancellare il ministero dell’Ambiente e tutti gli Istituti, enti e strumenti di controllo ad esso collegati, che secondo Dell’Utri e colleghi sono evidentemente una spesa inutile.
Cose dell'altro mondo
«A che serve un altro giornale di sinistra?». È buona la domanda con cui Piero Sansonetti, apre il suo editoriale sul primo numero de "l'Altro", il nuovo quotidiano capitanato dell'ex direttore di Liberazione, in edicola da martedì 12 maggio. Meno buona, anzi pessima, è però la risposta. Secondo Sansonetti l'Altro servirà a «diffondere idee» e «esprimere pensieri». E in effetti di pensieri a scorrere le 12 pagine del quotidiano se ne trovano parecchi. Peccato però che non si trovi neanche una notizia. Perché qualcuno debba spendere un euro per conoscere il Sansonetti pensiero, quando lo stesso viene quasi quotidianamente espresso nelle trasmissioni della cosiddetta informazione del duopolio-monopolio Rai Mediast, resta dunque un mistero.
Più chiaro è invece il motivo per cui la Mondadori di Silvio Berlusconi ha accettato di distribuire il giornale in 80 diverse città. Le opinioni, specie se espresse sulla carta stampata e perciò destinate a raggiungere poche, anzi pochissime persone, non hanno mai dato fastidio a nessuno. Quello che disturba sono i fatti. Senza conoscerli è impossibile avviare qualsiasi tipo di ragionamento.
Se poi su "l'Altro" ci trovi persino un articolo in cui al grido di «Abbasso Santoro, viva le veline» ci si lamenta, al pari de "Il Giornale" di Mario Giordano, di un inesistente «linciaggio pubblico» operato da Annozero nei confronti della favorita del Cavaliere, Noemi Letizia, ecco che le opinioni da ininfluenti diventano addirittura musica per le orecchie del premier.
Sansonetti merita dunque un consiglio, se non altro perché dà lavoro a una dozzina di colleghi. Smetta di elecubrare teorie per «la sinistra da buttare» e cominci a fare il giornalista.
Chi pagherà la ricostruzione in Abruzzo?
Si stanno gradualmente spegnendo i riflettori dell’attenzione mediatica intorno ai terremotati d’Abruzzo. Si stanno spegnendo, dal momento che dopo avere costituito una passerella senza paragoni per faccendieri politici di ogni risma e colore, recatisi all’Aquila come tanti Re Magi a portare in dono “parole di solidarietà”, ora il tempo delle parole sembra essere terminato, mentre sta sopraggiungendo quello della ricostruzione, per realizzare la quale occorrono i denari che la politica della commozione televisiva non sembra avere alcuna intenzione di scucire.
Proprio in merito ai finanziamenti per ricostruire le case crollate e gravemente lesionate, la situazione si sta facendo ogni giorno che passa più surreale, con il governo impegnato in complessi esercizi di equilibrismo, volti a salvaguardare i risultati della campagna elettorale. Risultati che rischierebbero di venire compromessi qualora fosse chiaro a tutti che i cittadini abruzzesi si vedranno costretti a sovvenzionare la ricostruzione di tasca propria, attingendo ai propri risparmi o indebitandosi con le banche.
In un emendamento al decreto legge per L’Abruzzo il governo ha scritto che "il contributo è determinato in ogni caso in modo tale da coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, la ricostruzione nello stesso comune, o l'acquisto di un alloggio equivalente che rispetti le misure antisismiche". Quanto basta per potere affermare trionfalmente in TV e sui giornali che lo Stato coprirà al 100% le spese di ricostruzione per i terremotati.
All’interno dello stesso emendamento si può però leggere che l’erogazione dei contributi funzionerà “anche con le modalità del credito di imposta e di finanziamenti agevolati". Ed ecco l’inghippo, probabilmente destinato a concretarsi dopo la chiusura delle urne, in virtù del quale i cittadini abruzzesi scopriranno di essere costretti a “tirare fuori” in prima persona la maggior parte dei denari necessari per ricostruire le loro abitazioni.
Immaginando un “contributo statale” di 150.000 euro (limite massimo fissato dal governo) questo sarà infatti ripartito con tutta probabilità in tre parti. Un acconto di 50.000 euro verrà anticipato realmente e costituirà l’unico contributo sul quale il disgraziato terremotato potrà effettivamente contare. Altri 50.000 euro verranno offerti sotto forma di credito d’imposta. Il terremotato potrà cioè scalarli man mano dalle tasse che dovrà pagare negli anni a venire, sempre che egli continui ad avere un lavoro e pertanto a percepire un reddito sul quale pagare le tasse.
Gli ultimi 50.000 verranno concessi per mezzo di un mutuo agevolato. Il terremotato potrà insomma farsi carico di un mutuo presso le banche, da restituire in prima persona, detraendo la rata del prestito dai suoi redditi futuri, sempre ovviamente che questi esistano.
I terremotati abruzzesi che possiedono sufficienti risorse finanziarie potranno insomma ricostruire le proprie case a loro spese, con un contributo dello Stato che andrà da uno a due terzi, a seconda del fatto che essi abbiano o meno la fortuna di continuare a percepire un reddito negli anni a venire. Quelli che non posseggono le risorse finanziarie, saranno destinati ad albergare a tempo indefinito nelle baracche, nelle tende o nelle cuccette delle carrozze ferroviarie dimesse, continuando a chiedersi come sia potuto accadere, dal momento che il governo aveva assicurato la copertura del 100% delle spese di ricostruzione, prima delle elezioni.
mercoledì 13 maggio 2009
Un nuovo Rinascimento per il terzo millennio
Come disse Bob Kennedy nel 1968 «il Pil misura di tutto, tranne quello che ci serve per essere felici». Proprio qui, alla parola “felice”, si inserisce la peculiarità italiana della Decrescita: non una nuova tendenza settaria, magari di sapore new age, ma una vera e propria ridefinizione antropologica di priorità. Una rivoluzione culturale, ispirata dal bisogno di un nuovo umanesimo.
di Giorgio CattaneoLa decrescita è l’unica soluzione per guarire i mali del nostro sistema basato sul culto del PIL
Primo obiettivo: smascherare il falso mito dello sviluppo illimitato, fonte di tutti i nostri guai. Ma è possibile concepire un futuro senza sviluppo?«Certo. Perché non c’è alcun progresso, nello sviluppo», afferma Maurizio Pallante, ideologo italiano della Decrescita. «Il concetto di sviluppo illimitato è una mistificazione. In realtà, non può esistere nessuno sviluppo sostenibile: perché lo sviluppo è di per sé il problema, non la soluzione».
Saggista e scrittore, ecologista della prima ora, allievo dell’economista Claudio Napoleoni e fondatore con Tullio Regge del Cure, comitato per l’uso razionale dell’energia, Pallante è ora l’ispiratore in Italia del Movimento per la Decrescita Felice, proposta culturale e sociale che punta a creare riflessione, networking, comunicazione, solidarietà informata e consapevole. Una specie di rivoluzione culturale. «La Decrescita – sostiene Pallante – è davvero l’unica soluzione per guarire i mali del nostro sistema, basato sul culto del prodotto interno lordo». E spiega: «La salute dell’economia viene ancora misurata in base all’andamento del Pil, che in realtà è soltanto un indicatore del valore monetario delle merci commercializzate».
"Il Pil misura di tutto, tranne quello che ci serve per essere felici", Robert Kennedy
Proprio qui, alla parola “felice”, si inserisce la peculiarità italiana della Decrescita: non una nuova tendenza settaria, magari di sapore new age, ma una vera e propria ridefinizione antropologica di priorità. “A una vita fondata sul mercato dei beni di consumo e su un “fare” di origine industriale, finalizzato a “fare sempre di più” – afferma Pallante – dobbiamo prepararci a sostituire un’esistenza fondata su valori autentici, e cioè sullo scambio genuino di beni d’uso; su un “fare bene”, che innanzitutto ci dia soddisfazione e ci renda, appunto, felici”.
Sembra una sottigliezza, ma non lo è. Togliendo al mercato il suo potere mitologico, ora peraltro messo in crisi dal terremoto finanziario mondiale, e restituendo capacità e responsabilità dirette agli individui, certamente si ridurranno gli sprechi, i consumi energetici, il business del trading e i trasporti delle merci: fatalmente, si comprimerà il Pil.
Malgrado ciò – anzi, proprio per questo – si costruirà «un orizzonte pulito, abitabile, alternativo allo scempio speculativo: l’unico possibile orizzonte, ormai, nel quale sia ancora pensabile la sopravvivenza di questo pianeta».
Il nuovo movimento italiano guidato da Maurizio Pallante si collega per alcuni aspetti ad altre tendenze europee, come quella rappresentata dall’economista francese Serge Latouche, autore di analisi che negli ultimi anni hanno elaborato una severa critica nei confronti del modello occidentale basato sull’ideologia di uno sviluppo potenzialmente illimitato:
«In natura, lo sviluppo illimitato non esiste. Negli ultimi tre secoli, il mito dello sviluppo inarrestabile ha minato le risorse del pianeta. E la situazione è ulteriormente peggiorata negli ultimi quarant’anni, con l’avvento dei prodotti “usa e getta”, concepiti per durare il meno possibile e pronti per essere trasformati in rifiuti che è sempre più costoso, difficile e pericoloso smaltire: pensiamo alle discariche-colabrodo o agli inceneritori, che sono fabbriche di tumori».
E' necessario invertire la rotta, o la Terra non reggerà al collasso che si profila all’orizzonte
La Decrescita Felice “fai da te” è il primo passo verso un network evoluto, una società più solidale e consapevole. Come quella che lascia intravedere l’associazione dei Comuni Virtuosi, che promuove progetti esemplari: grazie ai quali si migliora la qualità dei servizi in tutti i campi (energia, rifiuti) salvaguardando l’ambiente e pesando meno sul bilancio economico delle comunità. «E’ un processo complesso, una riconversione globale che richiede tempo – aggiunge Pallante – ma, proprio per questo, l’azione dei singoli può contribuire moltissimo ad accelerare i tempi, inducendo la politica a compiere finalmente le scelte giuste».
Da sempre sostenitore delle “tecnologie di armonia” al servizio dell’ambiente e grande fautore di ogni forma di prevenzione (il risparmio su tutto: meno costi, meno rifiuti, meno dispendio energetico, meno inquinamento), Pallante sintetizza in modo poetico il suo ideale di Decrescita Felice: «In fondo, si tratta si recuperare l’antico sapere dei nonni: il falso progresso l’ha scartato come obsoleto, ora invece ne sentiamo la mancanza».
"E' tempo di riprendere per mano il nostro futuro, con fiducia: insieme, malgrado tutto, possiamo farcela"
Decrescita Felice, dunque. «Per ricreare socialità, riscoprire valori essenziali, ridurre le dipendenze, gli sprechi e i costi ambientali. E migliorare la qualità della vita». Una rivoluzione culturale, ispirata dal bisogno di un nuovo umanesimo.
«Dobbiamo riappropriarci della nostra esistenza, dei nostri ritmi vitali e del destino della Terra. Ci servono nuovi strumenti pratici, nuove consapevolezze, nuovi saperi». L’obiettivo? «Essere felici, partecipi. Aderendo alla Decrescita, ognuno sa di poter cominciare a fare finalmente qualcosa di concreto, da subito, senza attendere i tempi eterni delle strategie globali».
Non è poco, in un mondo che si pretende costituito di soli numeri, di masse inerti e rassegnate di tele-consumatori dove gli individui non contano niente. Maurizio Pallante e la sua Decrescita Felice fanno mostra di ottimismo: «E’ ormai evidente a tutti che un’epoca di errori disastrosi si è conclusa. Ora è tempo di riprendere per mano il nostro futuro, con fiducia: insieme, malgrado tutto, possiamo farcela».
Coralli addio? In gioco la sopravvivenza di milioni di persone
Presentato oggi alla Conferenza Mondiale sugli Oceani uno studio WWF sui rischi legati alla perdita delle barriere coralline.
Presentato oggi alla Conferenza Mondiale sugli Oceani uno studio WWF sui rischi legati alla perdita delle barriere coralline.
In occasione della Conferenza Mondiale degli Oceani, che si è aperta ieri a Manado (Indonesia), il WWF ha presentato uno studio su quest’area – “Il Triangolo dei coralli e i cambiamenti climatici: ecosistemi, persone e società a rischio di estinzione” - che si avvale di oltre 300 analisi scientifiche già pubblicate, includendo il lavoro di più di 20 esperti nei campi della biologia, economia e scienza della pesca. L’analisi mostra chiaramente come le barriere coralline potrebbero sparire dal cosiddetto Triangolo dei Coralli entro la fine del secolo a causa dei cambiamenti climatici, vale a dire rapido aumento della temperatura degli oceani, del livello dell’acqua e della sua acidità, siccità e burrasche.
Se la comunità internazionale non corre ai ripari nella lotta ai cambiamenti climatici, potrebbe non esistere più l’ambiente marino più ricco di biodiversità al mondo e le conseguenze ricadrebbero sulle stesse popolazioni della regione: circa 100 milioni di persone di fatto non avrebbero più fonti di sostentamento.
Una perdita di così vaste proporzioni potrebbe essere evitata se da subito si intraprendesse un’azione globale sul riscaldamento del pianeta, con un’attenzione maggiore all’eccesso di pesca e alla prevenzione dell’inquinamento.
Foto WWF
“Decine di milioni di persone dovranno spostarsi dagli insediamenti rurali e costieri a causa della perdita di case, risorse alimentari e reddito, facendo così pressione sulle città della regione e sulle nazioni sviluppate circostanti come l’Australia e la Nuova Zelanda”.
Tuttavia il rapporto dimostra che c’è una possibilità di evitare lo scenario negativo in questa regione, contribuendo a mantenere un Triangolo dei Coralli in buona salute, in cui vengano mantenuti la crescita economica, la sicurezza alimentare e l’ambiente naturale, a patto che si riducano le emissioni di gas serra con investimenti internazionali che rafforzino l’ambiente naturale della regione.
“Tuttavia anche nello scenario futuro positivo le comunità dovranno affrontare la perdita di parte delle barriere coralline, l’aumento del livello del mare, l’aumento delle bufere, della siccità e la ridotta disponibilità di cibo ricavato dal pescato costiero. La differenza sostanziale consiste nel fatto che le comunità rimarranno ragionevolmente intatte e saranno in grado di affrontare le difficoltà. Una gestione efficace delle risorse costiere, che includa reti regionali, ben gestite localmente, di aree marine protette, la protezione delle mangrovie e dei letti dei fiumi e una buona gestione del pescato si tradurranno in un declino più lento di queste risorse” .
Per il WWF i leader mondiali devono sostenere i paesi del Triangolo dei Coralli nei loro sforzi diretti a proteggere le comunità più vulnerabili dall’aumento del livello del mare e dalla perdita di cibo e sostentamento, raggiungendo un forte accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra alla Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, che si terrà a dicembre a Copenhagen.
Vauro, il censurato che sorride
Vauro è una persona estremamente umile e simpatica che di lavoro disegna le vignette, con le quali raffigura la politica dissacrandone le contraddizioni e mettendone a nudo i lati oscuri.
Con i suoi sferzanti schizzi di inchiostro davanti alle telecamere di Annozero, più taglienti di qualunque ossimoro scientifico, Vauro si è tirato addosso il plotone di servi mascherati da giornalisti infiltrati in tutti i media di regime. Televisivi e cartacei. Non a caso risulta essere refra gli ospiti più sgraditi, temuti e anche censurati della televisione italiana.
Assieme a Beatrice Borromeo, Vauro si è visto tagliare l’intervista rilasciata a Daria Bignardi per Rai 2, durante la presentazione del suo libro “Italia annozero” edito da Chiarelettere.
Quasi ogni giorno ci sono articoli di giornale che lo riguardano che rasentano la calunnia, nel tentativo fin troppo scontato di screditarne l’immagine, affinché un eventuale censura totale sia prontamente ringraziata da qualche ciambellano di turno alla Mario Giordano.
Nell’intervista che mi ha concesso a Marsala, in occasione del Festival del giornalismo d’inchiesta, Vauro rivela un’intima passione per il suo mestiere e un attaccamento ai valori che dovrebbero essere comuni a tutti i cittadini di una normale democrazia. Riesce a sorridere nonostante tutto. Nonostante l’Italia di berluscopoli.
Come si fa a non essere ottimisti?
Credo sia difficile non provare ribrezzo e paura davanti a certe manifestazioni.
Per allevarsi i clienti, le catene di locali fast food aggiungono zuccheri alla carne o al pane, così rendendoli dipendenti da quella sorta di cibo. E gli spacciatori di droga si piazzano davanti ad una scuola e regalano caramelle opportunamente trattate.
Per modificare geneticamente i bambini e renderli sufficientemente cretini così da poter continuare a massacrarli non solo ora ma per saecula saeculorum, e farlo addirittura con il loro consenso entusiasta che cosa c’è di meglio di un bel trattamento del cervello?
Guardate un po’ a che punto è arrivato il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano
(http://www.youtube.com/watch?v=BidcrAHRUCQ) e traete le vostre conclusioni.
Vi prego, mettetevi alla tastiera e scrivete due righe al direttore (direzione @museoscienza.it).
Di tanto in tanto qualcuno se la prende con me perché bisogna “infondere ottimismo” e io non lo faccio. Certo: dal punto di vista di chi ha come finalità la vendita di un prodotto, quello è l’approccio giusto. È così, infondendo ottimismo per immotivato che sia, che si acquisiscono fatturati e consensi.
Io, però, non vendo niente. Io
comunico semplicemente ciò che è impossibile non vedere nell’aria, nel cibo, nei farmaci e nei tessuti malati della gente. Io comunico quello che è il risultato di ricerche ed esperimenti che nessuno ha confutato.
Dall’altra parte, solo cialtronerie che non vanno più in là di quel “bisogna fidarsi” pronunciato senza vergogna da chi viene spacciato per uomo di scienza con la stessa disinvoltura con la quale si rifila un qualunque prodotto adulterato.
Ieri ero a Roma e, per caso, ho incontrato Piero Angela.
Confesso che non sono un suo telespettatore ma, di tanto in tanto, qualcuno mi manda qualche filmatino suo o la trascrizione di qualche sua affermazione. Da lì la mia convinzione che Angela sia in malafede, almeno quando si lancia sull’argomento dell’incenerimento dei rifiuti. Ebbene, ho sbagliato. Angela non è in malafede: semplicemente non sa di che cosa parla e non ha gli strumenti culturali per capirlo. Nel corso della breve conversazione, mi sono accorto che non conosce la differenza tra particolato biodegradabile e non biodegradabile, che non ha la minima nozione relativa alle reazioni da corpo estraneo nell’organismo, che non ha conoscenze o, forse, ha mai sentito parlare, di nanopatologie nonostante l’impegno ormai in corso da anni da parte della Comunità Europea sull’argomento.
Ebbene, queste sono le fonti del sapere popolare, quel sapere popolare occhiutamente distorto che, poi, porta ad ottenere consensi ed occasione di business.
Il mio consiglio è quello di cambiare canale quando la RAI ci ammannisce le favolette di Angela, ma temo che l’efficacia della contromisura di disinquinamento culturale che propongo sia molto modesta.
Comunque, come si fa a non essere ottimisti?