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sabato 14 febbraio 2009
Cosmetici: il trucco è non torturare gli animali
di Giovanna Di Stefano
Conigli stabulati in attesa di essere sottoposti ai test cosmetici
Questi test sono finalizzati ad identificare i potenziali effetti negativi di specifiche sostanze chimiche e per legge devono essere eseguiti su animali. I malcapitati, in ambito cosmetico, sono in genere i conigli (la maggioranza), i topi, i cani o i gatti, i quali sono sottoposti a trattamenti molto crudeli per la frequente assenza di anestesia, a volte richiesta proprio dall’esperimento, altre volte per negligenza del vivisettore.
I metodi per identificare la tossicità sono diversi: da quelli sull’infiammazione della cute e degli occhi a quelli sugli effetti subacuti e cronici, sulla cancerogenesi (insorgenza di tumori) e sulla mutagenesi (comparsa di anomalie genetiche).
I test cosmetici consistono nel somministrare all’animale l’ingrediente da testare in dosi massicce. Quest’ultimo non viene applicato nel modo in cui lo faremmo noi utilizzando il rossetto o la crema, come ingenuamente si potrebbe pensare, cioè spalmandolo dolcemente sulla pelle dell’animale e tutt’al più facendogli un’energica frizione…
Purtroppo i metodi di somministrazione sono ben diversi: la sostanza viene applicata, in dosi concentrate, direttamente sulla superficie oculare dei conigli(Draize Test oculare), oppure sulla pelle (Draize Test cutaneo) dopo che questa è stata abrasa al vivo, oppure ancora inalata.
Le sostanze da testare sono applicate in dosi concentrate direttamente sulla pelle
Questa sostanza può anche essere inalata sotto forma di gas: in questo caso si parla di LC50 (concentrazione letale 50%). Gli animali vengono lasciati soffrire fino a 2 settimane, nel corso delle quali accusano i seguenti effetti: vomito, diarrea, sanguinamento dagli occhi o dalla bocca, spasmi, convulsioni, soffocamento.
A questo punto si cerca, basandosi sul peso corporeo, di determinare la dose ottimale sicura per l’uomo. I metodi di trasposizione dei risultati sull’uomo e quindi i tentativi di predirne gli effetti su di noi sono rudimentali e approssimativi, quindi inaffidabili. L’unico risultato sicuro che emerge da questi test è l’effetto che la sostanza in questione produce sulla specie utilizzata, ma non su altre specie, tanto meno sull’uomo…
I risultati dipendono da età, sesso, specie utilizzata (addirittura i risultati cambiano utilizzando diversi ceppi della stessa specie), dieta, stato di salute, stabulazione e temperatura ambientale.
Dopo essersi documentati sulle pratiche di sperimentazione animale nel campo cosmetico, visto foto e filmati di animali sfigurati e sofferenti, sicuramente la parete della profumeria e la serie infinita di prodotti che la riempiono ben ordinati nei loro scaffali ci appariranno sotto una luce diversa.
Draize Test oculare
Viene da chiedersi come sia possibile che per truccarsi o spalmarsi una semplice crema idratante si debba necessariamente contribuire a questo massacro infinito di animali, che si consuma silenziosamente, ogni giorno, tra le pareti dei laboratori delle case di cosmetici.
Benché come detto tutti i prodotti che troviamo in profumeria siano accomunati da questo macabro e triste iter di produzione vi è un altro genere di negozi –le erboristerie - dove, accanto ai cosmetici crudeli, se ne trovano anche di altri, assolutamente “cruelty free” (non crudeli, appunto) in quanto realizzati nel massimo rispetto di tutti gli esseri viventi. Dell’essere umano prima di tutto, in quanto sono prodotti di qualità e assolutamente sicuri, ma anche degli animali, ai quali non è stato torto nemmeno un capello. Infine dell’ambiente, perché si tratta di composizioni ottenute con erbe e piante, quindi a base di essenze naturali.
Le erboristerie offrono tra i loro prodotti quelli di ditte (Erbolario, D’Aymons, Helan, I Provenzali e molte altre visionabili nel sitowww.consumoconsapevole.org) che utilizzano solamente ingredienti di base già validati, considerati sicuri, e quindi utilizzabili liberamente senza dover ricorrere alla sperimentazione animale.
Un'altra immagine di test cutanei
Il motivo per il quale le case di cosmetici sono sempre alla frenetica ricerca di nuove formule non sta nella volontà di ‘scoprire’ chissà quale crema dai poteri miracolosi, per il reale beneficio per il consumatore, ma sta in una mera tattica di marketing. Si mette a punto la nuova linea di shampoo a cui è stato cambiato solo il profumo per poter dire che è ‘nuovo’ (la classica dicitura‘nuova formula’) e poter costruire la campagna pubblicitaria di lancio del nuovissimo e impareggiabile (!) prodotto. La Procter&Gamble è maestra in questa politica aggressiva di marketing e non a caso tristemente famosa proprio per contribuire in maniera massiccia all’industria della vivisezione.
La normativa che regola la sperimentazione animale ad uso cosmetico si sta lentamente evolvendo verso metodologie eticamente più accettabili, introducendo, gradualmente, il divieto ai test su animali, previa validazione di metodi alternativi. A partire dall’11 marzo 2009 (D.Lgs. 50/2005 che recepisce la Direttiva CE 2003/15) sarà vietata l'immissione sul mercato di prodotti cosmetici la cui formulazione finale, e i singoli ingredienti che la compongono, sia stata oggetto di sperimentazione animale, ad eccezione di tre tipi di test di tossicità, che rimarranno in vigore ancora fino al 2013.
Il logo Icea Lav, garanzia di cosmetici non testati su animali
Conviene quindi non fare troppo affidamento su questi traguardi legislativi bensì attrezzarsi per cominciare a prendersi cura del proprio corpo senza che questo comporti inutili sofferenze per tanti animali. E’ sufficiente individuare i prodotti ‘cruelty free’ e scegliere di rifornirsi solo da quelle aziende che si sono impegnate in una politica commerciale di tipo etico. Il marchio che rende riconoscibili i prodotti non testati è la dicitura “Stop ai test animali / Controllato ICEA per LAV ",spesso accompagnata dal logo di un coniglietto.
Il Lavatricista
fonte:http://www.decrescitafelice.it/?p=441
13/12/2009
di Diomede Corso
Da sempre appassionato di lavatrici, mi definisco oggi “lavatricista” e se questo oggetto d’uso quotidiano per molti è abbandonato e dimenticato a fare il “lavoro sporco” in qualche garage o in qualche ripostiglio per me rappresenta qualcosa di molto importante che mi segna profondamente. Nel 2006 scrivo la mia storia sul mio primo blog ignorando di essere in compagnia di altri a cui grazie a quella finestra ho dato sfogo. Nasce così il club (o il popolo) dei lavatricisti e il lavatricismo, fatta di passione e tempo dedicato a questo oggetto in tutte le sue forme.
Mi sono laureato al Politecnico di Torino con una tesi in Ecodesign sull’uso sostenibile delle risorse domestiche nel lavaggio e ho riversato le conoscenze apprese con gli studi in un settore poco diffuso in Italia e in Europa ma molto praticato ad esempio negli USA definito come “restauro” (in inglese restoration) degli elettrodomestici, in particolare delle lavatrici come tutti gli altri elettrodomestici (sito ufficiale).
Gli italiani abitano in una casa magari per trenta o quaranta anni e di lavatrice ne cambiamo una ogni 10 anni o forse anche meno ultimamente, e diciamo “consumisti” agli americani che ogni stagione a causa dei un uragano magari loro malgrado sono costretti a ricostruirsi tutta la casa per intero ma la lavatrice è sempre la stessa di trentacinque anni fa perché semplicemente restaurano anche quella. E non diventa osbsoleta perché è talmente basilare e semplice che si adatta alle abitudini di una famiglia che nel tempo cambiano e si evolvono.
Non ho mai abbandonato i restauri in quanto proprio il primo in cui mi sono cimentato è la prova che il progetto del prodotto industriale non necessariamente deve portare alla creazione di qualcosa di nuovo ma che ripercorrere le strade abbandonate in passato può farci magari ricredere sulle scelte fatte. Oggi la mia Ignis Superautomatica ha 46 anni e funziona perfettamente, come anche l’ultimo dei miei lavori una Indesit 092 dell’inizio degli anni 80 e altri ancora.
Non si trovano più i pezzi!? Si rigenerano quelli vecchi o si fa cannibalismo da una macchina identica… o si ricostruiscono con il virtuosismo e la buona volontà che sono le doti estremamente necessarie per fare questo lavoro più d’ogni altro.
Consumano!? Ma la domanda che mi faccio è… “consuma di più la mia superautomatica che lava 2 volta a settimana a pieno carico e dopo mezzo secolo in discarica non c’è ancora mai finita oppure tutte queste ultramoderne lavatrici in classe A con la pretesa di fare un bucato in mezzo secchio d’acqua per tre o quattro volte al giorno mezze vuote e poi dopo nemmeno dieci anni mandate al rimpasto!?”
Silicone marino, Olio minerale e acido cloridrico e ipoclorito di sodio sono alcune delle sostanze che si usano durante i restauri che sono un vero processo di de-produzione che riportano ciascuna apparecchiatura ad un’insieme di componenti disassemblati per ciascuno dei quali bisogna sapere come comportarsi… pompe, cestelli, vasche, crocere, bobine e motori ciascun pezzo trattato singolarmente, alcuni sostituiti, altri semplicemente lavati con acqua e sapone! E poi di nuovo si rimonta tutto.
Invano ho tentato in passato di appellarmi alla legge 151/2005 sui RAEE per evitare lo scempio quotidiano (chiedevo solo un’autorizzazione a qualche ritiro per macchine ancora “salvabili” come dice la legge stessa ma tutti negano!!) delle migliaia di elettrodomestici che finiscono “rifiutati” perchè non più “beni durevoli” ma “beni di consumo” per i quali non esiste più alcuna traccia del concetto di riparazione.
Io invece mi oppongo e non le chiamo riparazioni bensì restauri e per ogni lavoro che faccio porto agli occhi della gente la prova che è possibile invertire la rotta di questa tendenza che definisco “del popolo dei butta-butta”. Siamo pochissimi in Italia a fare ciò, ma cercando in rete si possono trovare alcuni colleghi che mostrano orgogliosi il loro operato…, anche su questo blog recentemente si è cominciato a parlare di questa cosa.
E nemmeno ci aiuta l’industria magari accogliendo questa nuova forma di (ri)produzione, ben sapendo che proprio in tempi di crisi come questo, il mercato chiede qualità e qualcuno ha già imboccato questa strada.
Bello sarebbe se per una lavatrice oggi, invece di doverla buttare quando si guasta e non conviene ripararla, l’azienda che l’ha prodotta offrisse come alternativa il servizio di restauro. In fondo è quello che fanno riciclando i singoli materiali ma così si eviterebbero costi e conseguenze di tutto il processo di smaltimento… e si tornerebbe a dare lavoro ai riparatori.
Ancora forse i tempi non sono maturi per questi scenari ma io non mi arrendo e continuerò a fare questo meta-mestiere e sperando di aver dato con queste parole il mio contributo alla Decrescita Felice torno a vasche, crocere, cestelli e supporti.
Il kebab e l’oscurantismo
Ci sono momenti di profonda cesura nella storia dei popoli, momenti in cui forme culturali e costumi codificati tramontano e si introducono elementi nuovi. Se la tradizione fosse qualcosa di immutabile, adoreremmo ancora Giove e Apollo. Il cristianesimo, la più consolidata delle tradizioni europee, ci viene dal Vicino Oriente semitico. Gli spaghetti, il più italico dei piatti, in realtà vengono dalla Cina. Concepire una tradizione gastronomica come qualcosa di puro che non deve essere contaminato è come pretendere di difendere la purezza della razza. Per fortuna siamo tutti bastardi.
La tradizione da riproporre come valore è invece una struttura formale, un modo di essere, uno stile di vita, non i contenuti legati a una civiltà contadina e clericale oggi non riproducibile. In nessun modo può essere intesa come un complesso di riti e di costumi, anche gastronomici, che si ripetono immutabili. Pretendere di fossilizzare una comunità significa voler mummificare un organismo che vive e si trasforma.
Quella struttura formale che chiamiamo tradizione e alla quale ci richiamiamo è il radicamento nel territorio, la rivitalizzazione dello spirito comunitario, il rispetto dei ruoli e l’assunzione piena e consapevole delle responsabilità che a quei ruoli competono, un’economia quanto più possibile basata sull’autoproduzione e l’autoconsumo(senza teorizzare gli eccessi dell’autarchia), l’adozione di ritmi di vita più naturali e alieni dalla competizione frenetica, forme politiche che coinvolgano direttamente i cittadini nella gestione della cosa pubblica. Queste sono le cose che contano. Sono tradizione in quanto in parte si realizzarono nelle polis dell’antichità e neiComuni medievali.
Questo intendo per tradizione da riproporre come antidoto all’orrore della Modernità. Concepirla come difesa della mozzarella e della pizza contro il couscous e il kebab è ridurre una proposta seria alle dimensioni del grottesco. Le buffonate lasciamole alla Lega.
Le massicce migrazioni avranno effetti sconvolgenti. E’ un processo imponente e inevitabile. E’ legittimo dispiacersene ma volerlo impedire è la vana pretesa che spinse negli anni ’50 e ’60 tanti padroncini del Nord a esporre il cartello “non si affitta ai meridionali”. I figli e i nipoti di quei meridionali oggi sono integrati e molti di loro votano Lega. L’Europa che va delineandosi vedrà sorgere sensibilità religiose, costumi, regimi alimentari diversi dal passato. Dobbiamo accettarli tranquillamente come il nuovo contenuto di quella struttura formale che è la tradizione in cui crediamo. Non vogliamo rivedere nelle nostre città le processioni con in testa i simulacri dei Santi né vogliamo bandire il couscous. Essere antimoderni non significa essere oscurantisti.
Luciano Fuschini
venerdì 13 febbraio 2009
“Noi non segnaliamo”.
12/02/2009
Le otto del mattino. Comincia la mia giornata di lavoro in ospedale. C'è sempre molta gente in ambulatorio. Da qualche giorno, meno immigrati. Questa mattina solo due signore moldave, badanti, con le loro "nonne" in carrozzella e un ragazzo ucraino che deve ritirare i suoi esami.
Ci sono dei cartelli affissi alla porta dell'ambulatorio e dell'accettazione: "noi non segnaliamo".
Molti ci chiedono spiegazioni, chiarimenti, leggono il testo integrale del giuramento di Ippocrate.
L'emendamento che cancella il divieto di "denunciare" i "clandestini" che si rivolgono alle strutture sanitarie, approvato in Senato il 5 febbraio scorso, non è ancora in vigore, ma si registra già una sensibile diminuzione degli accessi agli ospedali e agli ambulatori da parte degli immigrati cosiddetti "irregolari". Molti pensano che la legge sia già operativa, molti hanno paura e preferiscono, in ogni caso, non rischiare. E la paura li spinge a mettere in secondo piano la propria salute. Ormai è esperienza comune, lo abbiamo letto sui giornali negli ultimi giorni.
Gli immigrati irregolari si recano di meno al Pronto Soccorso, vanno di meno anche agli ambulatori delle associazioni di volontariato che, per definizione, sono più "amichevoli".
Me ne rendo maggiormente conto al pomeriggio, all'ambulatorio Sokos: la sala d'aspetto non è vuota, ma ci sono, stranamente, delle sedie libere. Ci sono giovani donne e uomini, madri e bambini, anziani, sono le badanti, le collaboratrici domestiche, i muratori che lavorano nei cantieri e nelle nostre case, gli uomini dei traslochi, i loro figli, i loro padri.
Penso che la norma con cui si vuole permettere ai medici di denunciare i loro pazienti "clandestini" (e con cui si tenta di incoraggiarli a farlo) sia contro l'etica e la deontologia, contro la civiltà e il buon senso. Penso che questa mattina ho visitato in ospedale una trentina di persone, credo di essermi comportata secondo "scienza e coscienza" e non ho mai pensato, davanti ad un paziente: sarà un evasore fiscale? avrà qualche pendenza penale? sarà "irregolare"?
Penso che i nostri ospedali e i nostri ambulatori debbano essere luoghi di cura, non di discriminazione. So che gli immigrati irregolari non sono un pericolo per la salute pubblica, perché non hanno, in genere, malattie "pericolose", ma so anche che l'emarginazione, la povertà, l'invisibilità producono malattie e che queste, se infettive, possono diffondersi, ma solo se chi ne soffre non viene curato, non si rivolge alle strutture sanitarie, diventa invisibile. So che le malattie si possono non solo curare, ma anche prevenire, a meno che non sia troppo tardi e credo che, con le nuove norme, "lo stato" dovrà spendere più soldi per curare malattie altrimenti evitabili.
Il rischio concreto è che si sviluppino percorsi sanitari paralleli, non ufficiali, clandestini, pericolosi. Vi sono già molte testimonianze in proposito, anche questo abbiamo letto sui giornali in questi giorni. Rischiamo di perdere il controllo sanitario, con gravi ripercussioni sulla salute di tutti.
Le sette di sera, l'ambulatorio è finito. Al bar sotto casa il "pacchetto sicurezza" è un argomento di attualità, mi chiedono: lei cosa farà dottoressa? Nulla, continuerò a lavorare come sempre, per me non cambierà niente. Se prima non mi era mai passato per la testa di chiamare la polizia o i carabinieri, non lo farò neanche dopo, neppure se entrerà in vigore la norma che abolisce il divieto per i medici di denunciare gli immigrati irregolari. E a casa penso: come diventerà (cosa diventerà) il mio lavoro? Sarò costretta alla disobbedienza civile? Ci sono le prime discussioni con i colleghi, si continua a parlarne al bar, gli immigrati irregolari ed i loro bisogni di salute cominciano a confluire nella clandestinità più inumana e pericolosa, quella sanitaria. Ma passano anche pensieri positivi: un sentire comune, trasversale alle convinzioni politiche, che può unire tutti i professionisti della salute in una visione unica, per salvaguardare la propria dignità professionale e per garantire la salute di tutti.
Cronaca di una giornata... Già Ippocrate diceva "non siamo spie". Vado a letto più tranquilla.
E ci vediamo venerdì 13 febbraio, dalle 11 alle 18, in piazza Re Enzo, per chiedere che l'iter legislativo dell'emendamento venga bloccato, per stimolare le istituzioni locali ad impegnarsi in questo senso, perché associazioni e cittadini possano manifestare la propria opposizione contro un provvedimento ingiusto, inutile e dannoso.
Antonietta D'Antuono
Autobavaglio
(Vignetta di Natangelo)
giovedì 12 febbraio 2009
Non ci sarà nessun testamento biologico. La legge prevede il “sondino di stato” obbligatorio, anche contro la tua volontà
Asti e il consumo di territorio
Giovedì 12 Febbraio 2009 09:03 | |
A quindici giorni di distanza dall’affollata prima assemblea nazionale di Cassinetta di Lugagnano, il Movimento per lo “Stop al Consumo di Territorio” registra un altro tutto esaurito: questa volta ad Asti, in occasione della prima assemblea territoriale della sua storia (Sabato 7 Febbraio). Nel gremito parterre del Centro Culturale San Secondo si è sviluppato un profondo dibattito, durato quasi quattro ore, per iniziare a declinare a livello locale la proposta contenuta nel manifesto nazionale di questo Movimento di opinione, nato perdifendere il diritto ad un territorio non cementificato e, dunque, salvaguardare anche i suoli rimasti agricoli e boschivi. Grazie agli interventi dei primi firmatari del manifesto nazionale (il Sindaco di Cassinetta di Lugagnano Domenico Finiguerra, Gino Scarsi ed Alessandro Mortarino), del rappresentante del mondo agricolo nel Cnel-Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (Giorgio Ferrero, anche past president della Coldiretti piemontese), dell’Osservatorio del Paesaggio per il Monferrato e l’Astigiano (attraverso il suo presidente Marco Devecchi), l’incontro si è incanalato sui giusti binari diretti verso l’obiettivo di sollevare l’esigenza di una diversa pianificazione del territorio, stimolando una lunga sequenza di interventi da parte di singoli cittadini, rappresentanti di Comitati spontanei, amministratori, agricoltori, ricercatori, professionisti. Si è parlato di come portare anche nell’astigiano una nuova cultura del territorio, non più basata sull’equazione maggior consumo di territorio = maggior sviluppo; grazie alla testimonianza del Sindaco di Cassinetta di Lugagnano, primo Comune d’Italia ad essersi dotato di un piano regolatore a “crescita zero”, si sono stimolati i Sindaci presenti in sala ad avviare un simile percorso “virtuoso”, giungendo ad individuare una prima esperienza di parziale indirizzamento già in atto: il Comune di Refrancore, circa 1.800 abitanti (la stessa dimensione demografica del Comune milanese), che proprio questa sera approverà in consiglio comunale la ri-destinazione di un’area edificabile a suolo agricolo. Si è approvata una prima bozza di Ordine del Giorno da far discutere in ogni Comune astigiano, per impegnare le relative Giunte ad alcuni precisi impegni tra cui: “censire il patrimonio edilizio esistente, nel più breve tempo possibile, individuando in particolare l’esatta situazione relativa ad abitazioni e capannoni non occupati. Data la delicatezza di raccogliere questi primari dati, basilari per qualunque tipo di pianificazione possibile, si stabilisce di sospendere temporaneamente la validità di piani regolatori, lottizzazioni e varianti in corso per quanto concerne le nuove edificazioni. E ad attivare ogni iniziativa utile, coinvolgendo amministratori e cittadini (attraverso un percorso partecipativo condiviso e che preveda anche la presenza di esperti espressi dal Movimento nazionale per lo “Stop al Consumo di Territorio”), che porti all’adozione di un piano regolatore capace ! di conservare e valorizzare il territorio e le risorse esistenti senza necessariamente prevedere ulteriori espansioni”. L’assemblea ha poi deliberato all’unanimità di richiedere formalmente a Provincia e Comune di Asti, alla Regione Piemonte ed agli Enti competenti di sospendere il progetto di Tangenziale Sud Ovest e provvedere ad un preventivo ed indispensabile studio di viabilità. Si è anche proposto di sviluppare una campagna di opinione che porti alla riconsiderazione dello sviluppo urbanistico dal piano comunale ad un piano multi-comunale (in particolare per! le nuove aree artigianali, commerciali, industriali); che rappresentanti delle giovani generazioni vengano inseriti nei luoghi istituzionali per portare la voce e le aspettative dei nostri figli e nipoti; l’avvio di un’azione di sostegno e promozione del “decalogo delle buone azioni comunali” individuato dal terzo Bando per la promozione di interventi progettuali di qualità nel paesaggio astigiano e del Monferrato. Complessivamente sono 25 i punti del corposo verbale redatto al termine dell’incontro: il primo si concentra sull’organizzazione di incontri, convegni, banchetti informativi, info-camper, raccolta firme, spettacoli dedicati alla formazione di una nuova sensibilità, che qualcuno ha simpaticamente denominato “Brigate della Bellezza”. ! In ognuno dei 118 Comuni astigiani… Dal manifesto "L’Italia è un paese meraviglioso. Ricco di storia, arte, cultura, gusto, paesaggio. Ma ha una malattia molto grave: il consumo di territorio. Un cancro che avanza ogni giorno, al ritmo di quasi 250 mila ettari all’anno. Dal 1950 ad oggi, un’area grande quanto tutto il nord Italia è stata seppellita sotto il cemento. Il limite di non ritorno, superato il quale l’ecosistema Italia non è più in grado di autoriprodursi, è sempre più vicino. Ma nessuno se ne cura. Fertili pianure agricole, romantiche coste marine, affascinanti pendenze montane! e armoniose curve collinari, sono quotidianamente sottoposte alla minaccia, all’attacco e all’invasione di betoniere, trivelle, ruspe e mostri di asfalto.Non vi è angolo d’Italia in cui non vi sia almeno un progetto a base di gettate di cemento: piani urbanistici e speculazioni edilizie, residenziali e industriali; insediamenti commerciali e logistici; grandi opere autostradali e ferroviarie; porti e aeroporti turistici, civili e militari. Non si può andare avanti così !La natura, la terra, l’acqua non sono risorse infinite. Il paese è al dissesto idrogeologico, il patrimonio paesaggistico e artistico rischia di essere irreversibilmente compromesso, l’agricoltura scivola verso un impoverimento senza ritorno, le identità culturali e le peculiarità! ; di ciascun territorio e di ogni città, sembrano destinate a confluire in un unico, uniforme e grigio contenitore indistinto.La Terra d’Italia che ci accingiamo a consegnare alle prossime generazioni è malata. Curiamola!" |
Madagascar: il nuovo colonialismo è delle multinazionali
L'animale simbolo del Madagascar, il lemure
Ma il Madagascar è anche un incredibile paradiso della biodiversità: il 5% delle specie animali e vegetali del mondo si trova su questa grande isola dell'Oceano Indiano. L'80% di queste si trova solo ed esclusivamente in Madagascar: specie rarissime di orchidee e baobab, e poi camaleonti, tartarughe e gechi, fino all'animale-simbolo del Paese, il lemure.
Vastissime aree di foresta a cui però qualcuno guarda come a una risorsa da sfruttare senza pietà: per ricavarne terreno coltivabile e per impiantarvi miniere di ilmenite e nichel. E non sono i malgasci ad avere queste mire: ma società multinazionali straniere, a cui fa gioco operare in una nazione economicamente in ginocchio, pronta a svendersi in cambio di un barlume di sviluppo economico e della creazione di nuovi posti di lavoro.
Povertà estrema, risorse naturali non ancora sfruttate, multinazionali avide, biodiversità: trovare l'intruso in questo mix altamente pericoloso. Prevedibilmente, saranno i lemuri a fare le valigie.
La deforestazione è una delle minacce alla biodiversità che contraddistinguono il Madagascar
La prima è una compagnia mineraria canadese che ha avviato un progetto chiamato Ambatovy: prevede lo sradicamento di 1700 ettari di foresta per la costruzione di una delle più grandi miniere di cobalto e nichel del pianeta, attiva dal 2013 per 27 anni. La Sherritt ha promesso il trasloco delle specie a rischio e la creazione di aree protette, ma l'impatto dei lavori non è stato valutato da alcuno studio indipendente, ed è da considerarsi assolutamente imprevedibile.
La Daewoo Logistic è un colosso coreano che vuole dare il via ad un'operazione ancora più grande: prendere in concessione la metà delle terre coltivabili del Madagascar (una superficie equivalente alla metà del Belgio) per coltivare mais e palma da olio per biocarburanti. A beneficio non degli abitanti del Madagascar, ma unicamente dei consumatori coreani, che per questi beni dipendono ora in larghissima parte dall'importazione. Come se la Corea creasse una colonia in Madagascar, da usare come serbatoio per i biocarburanti delle auto coreane e per le tavole del paese asiatico, in cambio della creazione di posti di lavoro. Fortunatamente, un vasto movimento dell'opinione pubblica in Madagascar è riuscito ad imporre al governo una marcia indietro sul pericoloso accordo con Daewoo. Per il momento.
La Sherritt International Corporation, compagnia canadese, ha avviato un progetto chiamato Ambatov che prevede lo sradicamento di 1700 ettari di foresta
Sperare in questi casi in contratti equi, rispettosi dell'ambiente e delle comunità locali, si è rivelato inutile:troppa è la sproporzione fra le due parti, con Paesi poveri costretti ad accettare di dare via a poco prezzo vasti territori, in cambio di un'illusione di sviluppo economico – i cui benefici però vanno quasi unicamente ai Paesi concessionari delle terre. La sempre crescente dipendenza dalle importazioni delle nazioni più deboli apre la strada ad accordi-capestro, dalla totale mancanza di trasparenza. E i casi in cui l'opinione pubblica vince sui governi e sui consigli di amministrazione, come nel caso della Daewoo in Madagascar, sono purtroppo una minoranza.
Intervista con Montanari: gli incentivi, l'Italia e l'Europa
http://www.terranauta.it/a781/salute_e_alimentazione/intervista_con_montanari_gli_incentivi_l_italia_e_l_europa.html
Gli incentivi? Un'ennesima presa per i fondelli secondo Stefano Montanari, esperto di nanopatologie. A rimetterci come sempre gli italiani, "il popolo bue", che continua a subire fisicamente la mala-amministrazione che caratterizza da sempre il nostro paese rimanendo vittima di tumori e altre gravissime malattie causate da emissioni inquinanti di tutti i tipi.
Dottor Montanari, l’Italia è stata diffidata dall’Europa per aver superato i limiti nelle emissioni di polveri sottili. Crede che adesso cambierà qualcosa nelle scelte politiche del nostro paese relative alle nanopolveri?
"Naturalmente non cambierà nulla. Noi ci valiamo di politici come Berlusconi, Veltroni, Di Pietro, un tempo Prodi e chi più ne ha, più ne metta. Tra loro, nessuno ha la più pallida idea di che cosa significhi l'inquinamento. Se, poi, uniamo alla festa lo scienziato Veronesi che rassicura tutti giurando che gl'inceneritori sono innocui per poi ammettere candidamente che lui di questo non ci capisce niente... chiudiamo il cerchio".
L’Unione Europea ha ammesso ufficialmente che le polveri sottili hanno gravi ripercussioni sulla salute umana. E l’Italia?
"Potrà sembrare strano, ma ciò che ammazza un finlandese ammazza pure un italiano. Ripetere che io queste cose le ripeto da anni non mi dà nessuna soddisfazione".
Cosa pensa degli incentivi promossi dal governo?
"L'ennesima presa per i fondelli per il popolo bue che si lascia rapinare ed è consenziente. È urgente fare ciò che Elio Veltri grida da anni nel deserto: mandarli a casa tutti, anche a rischio di perderne qualcuno buono".
E da quelli promessi dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama?
"Non mi sono studiato a fondo la politica degl'incentivi americani".
In generale cosa pensa della politica “verde” di Obama?
"Essere verde negli USA è di fatto impossibile. Significherebbe chiudere l'America che è la prima responsabile, almeno dal punto filosofico, del guaio ambientale in cui ci siamo ficcati".
Tornando ai tristi fatti di casa nostra, se le dico” inceneritore di Acerra”, cosa mi risponde?
"Se rispondo rischio un pallettone tra le scapole".
La giustizia che non deve stupire
http://www.danielemartinelli.it/
Il 17 febbraio in un’aula della decima sezione penale del tribunale di Milano ci sarà l’udienza con sentenza del processo Mills.
La giudice Nicoletta Gandus dovrà con tutta probabilità pronunciare il suo verdetto di primo grado.
Sapremo se David Mills è stato corrotto da Silvio Berlusconi con 600 mila dollari di ricompensa, tramite conti correnti estero su estero per aver reso testimonianze reticenti nei processi. Oppure se quell’importo è stato dato illecitamente per altri motivi.
Tuttavia non mi stupirei se David Mills fosse assolto perché i giudici avranno sostenuto che quei 600 mila dollari non sono stati oggetto di corruzione. Non mi stupirei se obiettassero la provenienza e il destino dell’importo nonostante l’avvocato inglese abbia confessato in un appunto scritto al suo contabile di aver riscosso la cifra, oltre che di aver creato tanti problemi a Berlusconi.
Ammetto di essere perplesso e di non essere così sicuro in una condanna di primo grado ai danni di David Mills. Il pacchetto sfascia giustizia varato negli ultimi giorni dal governo ha alzato il livello di potere della difesa. Quindi non mi stupirei se in aula, il 17 febbraio prossimo, l’avvocato Federico Cecconi chiederà di sentire altri teste o sferrerà qualche nuova arma che allungherà ancora i tempi, già biblici, della giustizia italiana.
Semmai Mills sarà condannato per essere stato corrotto da un corruttore, ammesso sarà Silvio Berlusconi, già sappiamo che i nuovi giudici che dovranno ripartire da zero per giudicare Berlusconi, (ammesso che non avrà conquistato il Quirinale) non potranno avvalersi della sentenza del suo ex coimputato inglese. E’ una delle novità varate dal famigerato pacchetto ricordato prima.
Mi lascia perplesso il decorso di questo processo, primo fra tutti il divieto di ingresso a registratori e videocamere alle udienze.
Mi lascia perplesso che da ormai 40 giorni sto aspettando il fax con l’autorizzazione al ritiro in cancelleria della copia degli atti pubblici del pm Fabio De Pasquale, in cui ci sono tutti i motivi e i dettagli delle sue accuse. Decisione che spetta al giudice Nicoletta Gandus.
Mi lascia perplesso quel poliziotto che durante le udienze legge Libero di Feltri.
Mi lascia perplesso persino la querela che mi è stata recapitata nei giorni scorsi dal legale di Chiara Zardi, l’avvocato per un giorno di tessera loggia P2 1816. Non deve aver gradito il post in cui l’ho citata perché finita nel tritacarne del gossip dei miei colleghi giornalisti, che parlando di lei e delle sue ambizioni di giornalista hanno evitato di scrivere dello scandaloso capo d’imputazione a carico del presidente del consiglio dei piduisti. Bloccato nel limbo degli impuniti grazie alla legge del “padrino” angelino alfano, di cui aspettiamo la sentenza di costituzionalità dalla Consulta.
Anche su questo fronte, lo ammetto, non mi stuprò di nulla.
L’audace colpo del solito noto
http://www.voglioscendere.ilcannocchiale.it/
12 febbraio 2009, in MARCO TRAVAGLIO
Lui fa sempre così: impone un tema a tutti i giornali e tg per nascondere qualcosa di losco. Stavolta ha usato il corpicino di E.E. mentre si metteva al riparo dal processo Mills. Occhio alle date. Il 6 febbraio la Corte costituzionale stabilisce che le sentenze definitive «valgono» come prova nei processi in corso. Il 7 febbraio il governo infila nel ddl Alfano-Ghedini sulla giustizia un codicillo che dice il contrario: salvo che nei processi di mafia e terrorismo, le sentenze definitive non valgono più. Ciò che ha accertato irrevocabilmente la Cassazione dev’essere ridimostrato ogni volta, richiamando tutti i testi già sentiti nel processo chiuso. Norma incostituzionale (cancella una sentenza della Consulta) che, per giunta, allunga i tempi dei processi. Indovinate un po’ chi si avvantaggerà di questo cavillo da azzeccagarbugli? Ma l’imputato Berlusconi, naturalmente, se e quando tornerà in tribunale per corruzione del testimone Mills. Fra sette giorni il processo a carico di Mills arriverà a sentenza. Supponiamo che sia di condanna e che venga confermata in appello e in Cassazione: i giudici avrebbero in mano un giudicato definitivo su Mills corrotto da Berlusconi. Giudicare Berlusconi per aver corrotto Mills sarebbe un gioco da ragazzi, senza richiamare decine di testi. Di qui il provvidenziale salva-Silvio. Lui chiedeva di rimettere il sondino a E.E. e intanto lo staccava ai giudici. L’altro giorno, a Torino, due tizi hanno rapinato una banca mascherati da Berlusconi e Dell’Utri. Sulle prime il cassiere era terrorizzato. Poi ha capito che erano solo maschere.
mercoledì 11 febbraio 2009
Caro Professore...
http://www.stefanomontanari.net/index.php?option=com_content&task=view&id=1613&Itemid=1
mercoledì 11 febbraio 2009
Caro professor senator Veronesi,
È molto malvolentieri che le scrivo.
Da giorni sono tempestato da mail e da telefonate di persone che mi chiedono un’opinione su quelle che qualcuno definisce irrispettosamente comparsate e devo, pur riluttante, rispondere. A dare occasione a tutto questo è un breve video pubblicato da Piero Ricca nel quale lei si rende protagonista di una parte che, mi permetta, vista da fuori non suona propriamente dignitosa. Si guardi: trova tutto all’indirizzo http://www.pieroricca.org/2009/02/04/umberto-veronesi-e-gli-inceneritori/.
Il motivo per il quale scrivo malvolentieri è il rispetto che mi è stato insegnato nei confronti della vecchiaia, per arzilla e a piedi caldi, come nel suo caso, che questa sia. E a ciò si aggiunge l’umana pietà che provo verso una persona certo sofferente in cuor suo per ciò che è costretto a mettere in scena e per l’inevitabile imbarazzo che una persona intelligente deve per forza sentire quando qualcuno gli fa sbattere il naso contro sue contraddizioni e non trova altra via d’uscita se non quella d’arrampicarsi goffamente su specchi sempre più scivolosi.
Molti ricordano la trasmissione televisiva (da alcuni aggettivata Faziosa) in
cui lei sparò quell'ormai troppo famoso “zero” riguardante la nocività degl’inceneritori e in cui favoleggiò delle ricerche e dei “libri e libri” che, stando a lei, dimostrerebbero, venendo al sodo, come tutta la fisica, la chimica e la tossicologia che si trova da anni e anni su milioni di libri e libri crolli al cospetto del giuramento dei suoi “esperti”. Chi siano questi esperti e quali siano le loro credenziali non è dato sapere né è dato sapere quali siano quelli che lei definisce “i nostri studi”. Che studi ha condotto lei, professore, se di polveri, per sua stessa ammissione, non capisce nulla? “Io non mi occupo di questa materia,” dice. Dunque, in base a che, se non ne sa nulla, se di questa materia non si occupa, può affermare pubblicamente che non sono in aumento i cancri intorno agl’inceneritori quando le ricerche epidemiologiche addirittura italiane la smentiscono? E che ne dice delle malattie cardiovascolari che incidono ben di più di quelle tumorali? E ha mai sentito parlare delle polveri come “endocrine disruptors” e, dunque, responsabili, ad esempio, di tiroiditi e di diabete? E della “burning semen disease” che ne dice? E delle malattie neurologiche come Parkinson e Alzheimer? E della stanchezza cronica? E del passaggio delle polveri da madre a feto con conseguenti aborti e malformazioni? Devo continuare? O ha voglia di dare un’occhiata a ciò che hanno fatto i suoi colleghi francesi?
“Io mi occupo di salute,” dice lei nell’intervista. In che senso lo faccia non ce lo rivela. “Ci deve credere,” continua poi, un po’ comicamente dopo aver confessato con tenero candore la sua incompetenza, quando la gentile intervistatrice le fa notare che c’è chi si fa bovinamente ipnotizzare dal professore in formato catodico che pontifica su tutto e che manco sa di che sta parlando per sua stessa ammissione. Ma qui, forse io sono ingenuo: lei conosce molto meglio di me il potere che i media assicurano sulle menti umane e di questo fa un pilastro della sua fortuna e di quella dei suoi numerosi sponsor milionari.
Caro professor senator Veronesi, lei si è sempre sottratto a qualsiasi confronto pubblico e, sollecitato dall’intervistatrice, non si è smentito nemmeno questa volta. “Io non vado a fare confronti,” mormora con tono paternalistico. Ma, professore, se lei avesse qualche consuetudine con la ricerca e, soprattutto, se alla ricerca riservasse un qualunque grado d’interesse che non fosse il suo ormai famoso zero, saprebbe che è proprio confrontandosi che ci si chiariscono le idee, che idee nuove sbocciano, che si mettono in evidenza i proprio errori… Senza confronto si rischia di diventare come lei, dei signori Lei-non-sa-chi-sono-io che si aggrappano grottescamente a quell’ipse dixit, morto solo ufficialmente ma ben vivo nella psicologia della massa, con cui la filosofia aristotelica fu deformata per secoli e che diede qualche grattacapo, tra gli altri, a tale Galilei da Pisa.
Un secolo e mezzo fa Rudolf Virchow, un suo collega tedesco di cui lei certo non ignora i meriti, dava del cialtrone a un tale chiamato Louis Pasteur, un chimico che, usando un microscopio, fondò una disciplina chiamata Microbiologia. Bene, Virchow, come non pochi suoi coevi, si vantava di non aver mai accostato l’occhio ad uno strumento così ridicolo come un microscopio e si faceva beffe di quel provincialotto francese che si trastullava a guardare insignificanti animaletti che si muovevano sul vetrino.
Le ricorda qualcuno?
Suo,
Stefano Montanari
martedì 10 febbraio 2009
Prima malati che clandestini
http://www.italiopoli.it/
L'indignazione non è mai abbastanza.
Vi invio il comunicato stampa della Fesmi e GPCIMI su "Prima malati che clandestini" da parte della Fesmi e della CGPCIMI.
Per favore, diffondetelo.
Grazie.
Nicola Colasuonno
«Prima malati che clandestini»
I missionari bocciano la norma del governo
Una ferita ai diritti delle persone immigrate e un pericolo per la salute degli stessi immigrati e dei cittadini tutti. Così giudichiamo la revoca della legge che impediva ai medici di denunciare gli immigrati clandestini che si rivolgono per cure alle strutture sanitarie e perciò esprimiamo la nostra indignazione.
La decisione adottata dal governo (che va ad aggiungersi a quella di rendere la clandestinità un “crimine”) costituisce un fatto grave, per di più in un momento delicato come l’attuale in cui al legislatore sono chiesti saggezza, equilibrio e lungimiranza. L’esigenza legittima di garantire l’ordine pubblico e la sicurezza non può mai far sì che siano calpestati i diritti delle persone. Una scelta di questo tipo non fa che aggravare un clima già pesante, che vede gli immigrati più vulnerabili che mai e tende a esasperare le contrapposizioni, invece di favorire l’integrazione.
Il provvedimento in questione, inoltre, si rivela miope in quanto a tutela della salute pubblica, dal momento che scoraggia di fatto gli immigrati che necessitano di cure e non hanno i documenti in regola, allontanandoli da ospedali e ambulatori. Il rischio che si diffondano malattie e che, contemporaneamente, si alimenti un mercato della salute parallelo è tutt’altro che teorico.
Per queste ragioni, condanniamo con forza l’operato del governo su questo punto e auspichiamo che la norma in questione sia ritirata al più presto. Chiediamo soprattutto che cambi l’approccio culturale a una questione come l’immigrazione. Noi, che in Africa, Asia e America Latina siamo stati immigrati, abbiamo ricevuto calore e accoglienza e abbiamo sperimentato la possibilità concreta di reciproco rispetto e condivisione di valori, tradizioni e ricchezze spirituali al di là di differenze etniche, culturali e religiose. Un popolo e uno Stato che si riconoscono nei valori della Costituzione non possono rinunciare ad avvicinare l’immigrato – regolare e clandestino – innanzitutto come una persona, con diritti e doveri. In caso contrario, stiamo scivolando a grandi passi verso la barbarie.
Federazione Stampa Missionaria Italiana
Commissione Giustizia e Pace della Conferenza degli Istituti Missionari Italiani
Milano, 6.2.2009